Claudia Gerini, l’eterna studentessa

A pochi metri da un compleanno importante e da un nuovo debutto, Claudia Gerini si racconta in esclusiva a DiLei.

Foto di Andrea Bertolucci

Andrea Bertolucci

Giornalista esperto di Lifestyle

Classe 1990, Andrea Bertolucci è un giornalista e autore specializzato in cultura giovanile, lifestyle, società ed economia dell’intrattenimento. La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali. Andrea è considerato uno dei maggiori esperti di cultura Trap nel nostro Paese.

Pubblicato: 24 Novembre 2021 16:35

Con quel sorriso un po’ così, Claudia Gerini ci ha stregato mezza Italia. Quello che non capisci bene se sta per trasformarsi in una risata, o smorzare in un pianto. Lo stesso camaleontico sorriso che le ha permesso di spaziare dai ruoli drammatici – come quello in “La sconosciuta” di Giuseppe Tornatore – fino a quelli più esilaranti – come in “Sono pazzo di Iris Blond” di Carlo Verdone – lungo una carriera irripetibile per un’attrice italiana.

Una strada che inizia per gioco ad appena tredici anni, quando vince il concorso di bellezza “Miss Teenager” al quale partecipa ritagliando un coupon sul settimanale Cioè. Da lì iniziano a piovere le prime esperienze sul set, prima piccoli ruoli, che diventano sempre più grandi e numerosi. Ma la vera svolta arriva con “Non è la Rai”, il programma di Boncompagni che la fa conoscere al grande pubblico. In televisione Claudia ci metterà i piedi spesso nell’arco della sua carriera, ma il suo primo vero amore è e rimane il cinema. Primo e anche ultimo, a quanto pare. Visto che la sta portando ad essere contemporaneamente davanti e dietro alla macchina da presa.

Abbiamo parlato con Claudia a pochi giorni dalla fine delle riprese di Tapirulàn, il film, in uscita la prossima primavera, di cui non è solo protagonista ma anche – per la prima volta – regista.

claudia gerini
[Claudia Gerini sul set di “Tapirulàn”]
Un nuovo debutto.
Eh sì, abbiamo appena terminato di girare e a brevissimo inizieremo il montaggio: tutte cose nuove e stimolanti per me. È stata un’esperienza sicuramente entusiasmante, seppur faticosa e impegnativa. Mi è piaciuto dirigere gli altri attori, prendere decisioni e avere delle responsabilità in più. Ho vissuto tutto in maniera molto naturale: i colleghi mi hanno detto che sul set infondevo tranquillità e sicurezza. Direi che già questo è un buon risultato.

Era nell’aria questo passaggio dall’altro lato della macchina da presa?
Non è mai stato un mio sogno o un mio capriccio, ma la storia di questo film – che mi avevano proposto come interprete – mi è piaciuta talmente tanto, che ho deciso anche di dirigerlo.

Cosa racconta Tapirulàn?
Racconta la storia di Emma che di lavoro fa la counselor, ovvero la terapista, e risponde ai suoi pazienti tramite video call mentre corre appunto su un tapis roulant. È una donna tormentata, ma al tempo stesso è una terapeuta professionista, che decide di isolarsi dal resto del mondo.

Una situazione che abbiamo vissuto un po’ tutti, anche se non per scelta.
Nel film non facciamo riferimenti specifici alla pandemia, è proprio il modo che Emma ha di relazionarsi con il resto del  mondo.

Quanta Claudia c’è nel personaggio di Emma?
Emma vive in un perenne stato di auto-reclusione: si è creata una vita parallela dentro casa. Esce poco e fa tutto online, lavora da remoto e si allena sul suo tapis roulant. È iperconnessa, ma in realtà disconnessa dalle vere relazioni della vita. È una donna che ascolta i disagi psicologici dei suoi pazienti, quando in realtà è la prima ad averne. Io amo la psicologia: sono una che analizza, osserva e ascolta molto gli altri, proprio come Emma. E come lei, sto bene anche da sola, con me stessa. A differenza sua, però io vivo nella società, in mezzo alla gente. Non potrei farne a meno.

Secondo te perché attorno al tema della psicoanalisi c’è ancora una coltre di pudore e di tabù?
Non so, forse perché le persone hanno paura a scoprirsi e a mostrare il proprio lato più fragile. Quella in cui viviamo una società fatta di vincenti, di persone che sono giovani, sono energiche, sono belle, sono colorate, sono su Instagram. La nascita e la diffusione delle app di counseling, come quella in cui lavora Emma, evidenziano però che le persone ricorrono sempre più spesso a questi pronto soccorso online, forse perché sono spaventati dalle loro stesse fragilità.

Tu stessa sei stata in analisi per quasi sette anni.
Ancora oggi sento la mia psicologa, ormai la reputo quasi un’amica e le ho anche chiesto una consulenza per questo script. Personalmente ne sono uscita con un po’ di consapevolezza: penso di essermi evoluta in questo percorso ad una Claudia un po’ più consapevole. Più consapevole di chi sono e di quello che voglio, di quali sono i miei punti di forza e i miei punti di debolezza. Crescendo penso di essere migliorata.

Tra l’alto, mancano poche settimane ad un compleanno importante.
Eh, sì…(sorride)

Che effetto ti fa pensarci?
Mezzo secolo fa sicuramente effetto, ma io mi sento sempre la stessa da tanti anni. Anzi, a questo punto mi sa che non cambierò più: vivo la vita con eterna fanciullezza e con gli occhi della meraviglia, che mi permettono di non essere mai troppo adulta nel ragionare. In particolare noi attori dovremmo sempre mantenere questo approccio fanciullesco. Che non vuol dire rimanere dei bambini o essere cretini, ma meravigliarsi della vita, essere curiosi, voler sempre imparare. Il mio approccio è proprio questo, da eterna studentessa. Mi incuriosisco sempre di tutto, mentre gli adulti normalmente danno già per scontato troppe cose. A me piace non sapere, e scoprirlo strada facendo.

Per il fisico invece cosa fai, segui qualche dieta particolare?
Cerco semplicemente un’alimentazione sana, limitando al massimo gli zuccheri e mangiando il più possibile cibi integrali e non raffinati. Poi ovviamente cerco di fare movimento, vivendo una vita dinamica e controllando l’alimentazione si riescono ad ottenere dei buoni risultati.

Oltre ai tuoi 50, quest’anno ricorrono anche 30 anni esatti da quando andava in onda “Non è la Rai”: che effetto ti fa rivedere quelle immagini?
Mi fa tenerezza, vedere quella ragazzina che aveva un sogno e ci ha creduto mi fa sorridere.

Ti è mai capitato di guardarlo insieme a tua figlia Rosa?
No, le ho fatto vedere qualche pezzettino ma purtroppo abbiamo entrambe delle vite che non ci permettono molti momenti come questi.

Qualche consiglio però troverai il tempo di darglielo.
I consigli sono l’esempio che gli dai, conta solo quello. Tutte e due le mie figlie, Rosa e Linda, hanno molta personalità. Ovviamente cerco di dar loro tutto il supporto e la direzione di cui hanno bisogno nella vita. Oltretutto Rosa ha già lavorato ad un po’ di produzioni televisive e cinematografiche, per cui avrei potuto darle dei consigli. Ma ha la sua personalità e troppe ingerenze non sono ben viste da parte sua.

Tu avevi qualcuno che ti indirizzava alla loro età?
Più che altro ho avuto esempi, o ispirazioni. Ma non avevo una mia mentore o un mio mentore, anche perché i miei genitori facevano tutt’altro e non avevano proprio idea di che mondo approcciassi. Quindi diciamo che ho dovuto fare tutto da sola.

Neanche da figure come Gianni Boncompagni e Carlo Verdone hai ricevuto consigli?
Sì, Carlo mi ha sicuramente dato un grandissimo ruolo dal quale è poi partita tutta la mia carriera di attrice brillante, che non avevo mai pensato di poter intraprendere prima. Però i suoi non sono stati consigli, sono ispirazioni di vita.

Domani è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e so che tu lotti in prima linea.
In Italia i numeri sono spaventosi. È importante dare voce, amplificare, continuare a parlarne, uscire fuori da questi silenzi e da questi equivoci, perché purtroppo le storie di violenza e di emarginazione si svolgono troppo spesso nel silenzio delle case, nella quotidianità. Spero che se ne parli sempre di più e si continui ad insistere sul fatto che la donna non è proprietà di nessuno, ma un essere libero. Le mamme, soprattutto quelle dei maschi, hanno una responsabilità in più di far capire già da piccoli il rispetto per le donne. Personalmente mi sono fatta portavoce di una campagna Action Aid che si chiama #Call4Margherita. In tante parti del mondo accade che una donna aggredita chiami la polizia fingendo di ordinare una pizza, così abbiamo preso questa pizza che salva una vita – e vale quindi come un bene di lusso – per sensibilizzare i Governi ad investire in un sistema di protezione e di tutela delle donne, come ad esempio i centri di ascolto e i centri anti-violenza. In più lo stesso giorno andrò in Senato a leggere alcune poesie di Alda Merini e a sostenere il Teatro Patologico, diretto da Dario D’Ambrosi, che ogni anno organizza un festival a Roma e che quest’anno apre proprio con un testo sul femminicidio, dal titolo “Appesa ad un filo”.