“Adotta un padre”, il progetto che ascolta il grido disperato dei papà

Sono tanti, troppi, i papà separati che vivono sulla soglia della povertà, tra il dolore e la disperazione. Ne abbiamo parlato con Luigi Ronzulli, rappresentante di "Adotta un padre"

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Da giorni, anzi da settimane, Pietro vive al freddo e al buio, in quella tenda posizionata su un prato nella città di Torino che è diventata il suo rifugio. È l’unico posto in cui può tornare ora che una casa non ce l’ha più.

Antonio ha 50 anni e da tempo si limita a sopravvivere. Ha finalmente trovato un lavoro, quello che gli può permettere di tornare a vivere, ma soprattutto di occuparsi dei suoi figli ora che non vive più insieme a loro. Purtroppo, però, a lavoro non ci è potuto andare perché non aveva i soldi per poter raggiungere la sede del nuovo impiego. Nel portafoglio ha solo 20 centesimi.

Giovanni, invece, vive da mesi in un parcheggio sotterraneo di Torino. Quel letto lì posizionato è diventato la sua casa temporanea, ora che una casa non ce l’ha più. Da quando si è separato, la metà del suo stipendio è impiegata nell’assegno di mantenimento e non può permettersi di pagare un affitto.

Questi sono solo alcuni dei racconti che ho letto e ascoltato negli ultimi giorni. I nomi sono di fantasia, ma le storie sono reali. Sono storie vere di un dolore vissuto e a volte soffocato per paura del giudizio e dell’incomprensione. Sono le storie degli uomini separati che hanno dovuto abbandonare il tetto coniugale e che non sanno come ricominciare, perché per loro non c’è tutela, non ci sono i mezzi né le opportunità.

Le loro grida sono silenziose, ma compaiono sui dati diffusi che parlano di povertà e di disperazione, dove appunto ci sono anche loro. Ed è proprio di loro che abbiamo parlato insieme all’Associazione Misericordia Spa (Società per amore) che, tra i tanti progetti avviati, si occupa anche dei papà separati che non possono e non riescono a ricominciare.

“Adotta un padre”, il progetto

I dati italiani parlano chiaro e non lasciano spazio a fraintendimenti. Secondo il report diffuso dalla Caritas, infatti, i padri separati e non collocatari rappresentano il 46% dei poveri in Italia. Sono quelli che hanno dovuto lasciare il tetto coniugale a seguito della separazione perché la casa è stata assegnata alla madre e ai figli. Sono tutti quei papà che vivono ai limiti della povertà, che non riescono a sostenere neanche le spese relative ai beni di prima necessità, figuriamoci a pagare l’affitto di una casa.

Alla base delle tante difficoltà che si trovano ad affrontare c’è anche l’assegno di mantenimento ai figli che, in molti casi, corrisponde alla metà dello stipendio percepito, quando questo c’è. La situazione è disarmante, sopratutto perché la precarietà in cui vivono questi padri non gli permette di svolgere un ruolo che gli spetta di diritto. E sembra chiaro che, a osservare il quadro generale della situazione, ci troviamo di fronte a una discriminazione tra le figure genitoriali. Per questo abbiamo scelto di tornare sull’argomento, affinché venga compreso che la figura paterna per un bambino è importante tanto quanto quella materna.

Ne abbiamo parlato con Luigi Ronzulli, rappresentante del progetto Adotta un papà messo in campo dall’associazione Misercordia Spa (Società per Amore). L’associazione, nata nel 1997, ha iniziato a occuparsi dei padri separati nel 2017 a seguito di un incontro che ha fatto affiorare un’emergenza ancora troppo silenziosa.

“Io lavoravo come volontario in quegli anni” – ci ha raccontato Luigi – “E a seguito di un incontro con un padre separato che aveva una situazione molto delicata e complicata alle spalle, ho capito che bisognava fare qualcosa anche per loro. Occorreva raccogliere e ascoltare le grida disperate di questi uomini, ma soprattutto di tendergli una mano”.

Così è nata la Casa dei padri separati, che accoglie ogni giorno tutti quei papà che non hanno un posto dove stare, gli stessi che dopo la separazione non hanno avuto l’opportunità di ricominciare, e spesso neanche di potersi occupare dei loro figli. Insieme a Luigi Ronzulli abbiamo scoperto come si muove l’associazione e come tutti possiamo fare qualcosa per aiutare i padri divorziati.

L’associazione che aiuta e accoglie i padri separati

“C’è qualcosa di sbagliato in questo meccanismo di separazione, che arriva a diventare deleterio per tutti. Perché la fine di un matrimonio non ha né vincitori né vinti. Sono tutte vittime, anche i bambini che meritano tutela più di tutti”, ha affermato Luigi. “E poi c’è questa sensazione diffusa che vede i padri come le figure più sacrificabili. Probabilmente è tutta colpa di un retaggio culturale che ancora vive e sopravvive nella nostra società, fatto sta che è un meccanismo doloroso dove tutti ne escono sconfitti”.

Come si potrebbe migliorare la situazione?

Io credo che andrebbe rivisto il problema a monte. Accompagnare la separazione con un processo consensuale e conciliante, per porre fine alle guerre e alle controversie che, come ho già detto, generano solo sconfitti. Tra questi anche i bambini, che sono in assoluto i soggetti che hanno maggior tutela.

Come si muove la vostra associazione?

Noi raccogliamo le storie di questi papà che spesso, dopo la separazione, si ritrovano senza un tetto e senza alcuna disponibilità economica che gli possa garantire la sopravvivenza. Se consideriamo che uno stipendio medio è di 1200 euro, e spesso devono dare 600 euro di mantenimento, come fanno a vivere? Noi li ospitiamo all’interno della Casa dei padri separati o nella Cascina solidale, e restano con noi per 60 giorni.

Cosa succede in questi 60 giorni?

Le persone vengono accompagnate dai volontari in un percorso di autonomia. Vedi, a volte quando arrivano la situazione è davvero disperata e loro non hanno alternative. C’è qualcosa di straordinario, però, che succede durante la loro permanenza, ed è il sostegno che c’è tra i papà che vivono nella medesima situazione. È vero, le storie sono diverse, ma è lo stesso dolore ad accomunarli. Ed è proprio parlandone con chi può capirli che quel peso sul cuore sembra alleggerirsi. L’aiuto reciproco è davvero molto importante per loro.

Durante questo periodo i papà possono incontrare i loro figli?

Lo fanno sempre certo. Purtroppo però non all’interno dell’associazione perché gli spazi non lo consentono. E questo in realtà è avvilente per un padre che non ha più una casa né un lavoro. Non sa dove portare il figlio e spesso non può comprargli niente. Non è facile per loro. Spesso, poi, gli incontri con i figli vengono vissuti in maniera negativa perché il padre si sente impotente nei confronti del bambino e del suo benessere.

E dopo?

Spesso organizziamo dei colloqui di lavoro, per aiutare le persone a riposizionarsi nel mondo professionale. Collaboriamo poi con delle fondazioni che assegnano delle borse lavoro a questi papà per permettergli di ricominciare.

E noi cosa possiamo fare per aiutarli?

Partecipare e sostenere le nostre raccolte fondi. L’ultima, per esempio, è stata supportata anche da Luca Argentero. Chiunque può aiutarci adottando un papà – tutte le informazioni sono sul sito web – facendo delle donazioni che contribuiscono ad assegnare un alloggio a un padre separato in emergenza abitativa.