L’audio della vittima di Genovese, che dovrebbero sentire tutti

La vittima 18enne di Genovese chiede soltanto "umanità e silenzio". Io aggiungo: “Niente giustifica uno stupro”

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Sara Gambero

Giornalista esperta di Spettacolo e Lifestyle

Una laurea in Lettere Moderne con indirizzo Storia del Cinema. Appassionata di libri, film e del mare, ha fatto in modo che il lavoro coincidesse con le sue passioni. Scrive da vent’anni di televisione, celebrities, costume e trend. Sempre con un occhio critico e l'altro divertito.

Barbara D’Urso ha mandato in onda, a Live, l’audio della vittima 18enne di Alberto Genovese, l’imprenditore finito in carcere con l‘accusa di violenza sessuale sulla modella diciottenne invitata a una delle famose feste nel suo attico con piscina vista Duomo a Milano. Il cosiddetto “caso Genovese” è tra i fatti cronaca più seguiti di queste ultime settimane, con tutto il corollario sul mondo sommerso (non così sconosciuto ai più e nemmeno tanto caso isolato) dei festini a base di droga, che in periodo di lockdown hanno soppiantato le feste nei locali.

Con amici con cui ho avuto modo di commentare la vicenda, leggendo la storia, ascoltando i tg, abbiamo pensato immediatamente due cose. La prima: lo squallore. La seconda: chi andava a quei festini, chi varcava quella porta al sesto piano di Piazza Maria Beltrade, sapeva a cosa andava incontro?

Una domanda che – in mani sbagliate e senza una premessa – rischia di diventare pericolosa. Uno stupro è uno stupro. Questa ragazza ha 18 anni, sarebbe stata segregata e drogata, contro la sua volontà, per 24 ore. Legata a un letto, stordita, violentata più volte e forse da più persone. “Mai visto nulla del genere“, ha raccontato il medico che l’ha soccorsa.

Non importa, ho letto e sentito da più parti: lei è andata a quella festa, lei se l’è cercata. Chi non ha mai avuto 18 anni, non ha mai pensato di essere forte e indistruttibile, di aver cercato e desiderato unicamente il divertimento fine a se stesso, ascolti questo audio e giudichi, se ci riesce. Ma poiché 18 anni li abbiamo avuti tutti, e chi più chi meno, provato le stesse sensazioni di leggerezza e onnipotenza, prima di parlare, scrive, giudicare, almeno fermiamoci a pensare.

Perché si possono non condividere i mezzi che molti giovani usano per ottenere quel divertimento, quella spensieratezza, ma non si può negare né tantomeno giudicare, quantificare e minimizzare la paura, il terrore, vissuto da una ragazza di 18 anni che va ad una festa e si ritrova all’inferno. Non si può aggiungere crudeltà alla crudeltà, violentare con le parole una persona già umiliata fisicamente.

“Quello che ho vissuto, quelle ore di paura non si possono immaginare. Ho avuto paura di morire, di non poter più rivedere mia mamma, mio papà, le mie sorelle, i miei amici.  Eppure manca molta sensibilità sull’argomento: tanti parlano speculano, commentano. Sono stata dipinta in tanti modi… io che sono la vittima mi sono offesa, attaccata ingiustamente perché dopo tutto il vissuto questa ulteriore violenza mediatica non è giusta”.

“In questo momento chiedo soltanto un po’ di umanità a tutti, io ora sono in cura con psicologi e psichiatri che mi stanno aiutando, sono fragile e tutto questo odio gratuito mi fa stare male. Sono una  ragazza di 18 anni, faccio la modella, ho appena finito gli studi e sentirmi dare della escort, leggere di gente che dice che venivo pagata per andare a queste feste, è ingiusto. Non ho mai percepito questo ambiente come pericoloso, andavo lì unicamente per divertirmi e ho trovato l’inferno. Chiedo solo di essere lasciata in pace, per favore”.

Non chiede nemmeno comprensione, non vuole né pretende sostegno o appoggio. Ma almeno il silenzio, concediamoglielo.