Dottor Sergio Carandina: «L’obesità non è una scelta. È una malattia»

Non è vero che si sceglie di essere obesi, è che a volte il dolore che hai dentro è talmente grande che per zittirlo faresti di tutto. Anche mangiarti il mondo.

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

La rinascita personale non dovrebbe essere argomento di discussione, al massimo solo i familiari stretti hanno diritto di dire la loro, di fare domande per togliersi dubbi o paure. Eppure ogni volta che una persona decide di compiere un reset, che sia fisico o mentale non importa, implacabile arriva un esercito di tuttologi che prova a metterci becco. Lo abbiamo visto nei casi di Adele e di Noemi, che sono i più recenti, con l’aggravante dell’essere personaggio pubblico e quindi per un certo tipo di commentatori seriali “costretti” secondo i loro canoni ad accettare le critiche, anche quelle che non hanno niente di costruttivo.

In realtà è proprio il volersi migliorare, il decidere di riprendere in mano la propria vita a dare fastidio, perché fino a quando ti lasci andare vai bene, ti vedo simile a me, che in questo momento non ci penso nemmeno lontanamente a guardarmi dentro, non le voglio proprio vedere le mie ferite, non voglio vedere il tuo dolore, perché potrei rispecchiarmici, e allora preferisco affondarti con le mie parole, piuttosto che tenderti una mano.

Quando ho deciso di iniziare il percorso per la sleeve gastrectomy era agosto, il 24 agosto 2020, me lo sono detta piano, dopo l’ultima volta che mi sono ritrovata con il fiatone per fare una rampa di scale, me lo sono ripetuta quando per allacciarmi una scarpa ho capito di dover fare le contorsioni. Mi sono convinta quando ho capito di essermi chiusa nell’angolo di un ring con me stessa, dopo vent’anni di diete, e una parte della famiglia con problematiche legate all’obesità, ho capito di aver bisogno di aiuto, solo che questo aiuto non poteva venire dall’ennesima restrizione alimentare, la mia testa non ce la faceva più.

Mi sono ricordata di aver incontrato una ragazza durante la presentazione del libro di Valentina Ricci, il suo nome è Cecilia Finotti e si era sottoposta a quel tipo di intervento. Così le ho scritto su Instagram chiedendole informazioni sulla clinica dove si era operata, e mi si è aperto un mondo, perché credevo di non rientrare nella casistica, di essere “troppo” magra per l’indice di BMI richiesto, perché il mio punto di riferimento è sempre stato Younan Nowzaradan e le sue vite al limite. Ma non era così.

Cecilia Finotti, prima e dopo

Sono bastate due chiacchiere e mi sono convinta a fare la prima visita con il chirurgo, Sergio Carandina. Mi sono detta al massimo faccio una passeggiata, non prima però di aver fatto una ricerca su Google e aver trovato l’ospedale di Porto Viro segnalato tra le eccellenze della chirurgia bariatrica in Italia. E prima che possiate domandarvelo, no non è una sponsorizzazione, no non è un Ad, non mi permetterei mai, questi interventi vengono passati dall’Azienda Sanitaria Nazionale dopo un percorso che può durare anche un anno, ma finalizzato a scoprire anche il minimo problema che possa dare una qualche controindicazione in sala operatoria, o semplicemente finalizzato a diagnosticare malattie che non sapevi di avere, come mi è successo dopo una polisonnografia, un esame che mi ha permesso di scoprire che soffro della sindrome delle apnee notturne, dando finalmente un nome ai mal di testa feroci che mi hanno accompagnato da quasi due anni a questa parte.

Il chirurgo Sergio Carandina

Mi sono detta che era giusto scriverne perché ancora oggi ci sono persone che si vergognano di intraprendere un percorso simile, che non lo dicono per la paura di essere giudicate, che non si guardano allo specchio perché non si ritrovano in quell’immagine riflessa, ma fanno fatica ad ammetterlo anche a se stesse. Che non riescono a parlarne nemmeno in famiglia, per paura di doversi scontare con i propri cari, ma niente si ottiene senza un po’ di sacrificio, e bisogna combattere per quello in cui si crede. Io all’inizio avevo tutti contro, dal marito ai genitori, quando hanno capito che ero irremovibile non hanno potuto far altro che decidere di starmi vicino, perché l’amore significa anche questo, temere per la salute di chi si ama, ma accompagnarla in silenzio nel percorso da lei scelto.

Il dottor Sergio Carandina è il chirurgo che il 24 marzo mi opererà. Avevo capito già dal nostro primo incontro che fosse quello giusto cui affidarmi, era lo stesso che aveva fatto rinascere Cecilia, ma dopo averlo ascoltato parlare ho deciso che le sue parole potessero dare una mano o anche solo un po’ di sollievo a chiunque si trovasse in questa condizione, decidendo di condividerle con lettrici di DiLei.

Sergio Carandina e la moglie Viola Zulian

«Le persone si vergognano di dire che si sottoporranno ad un intervento di chirurgia bariatrica perché l’obesità non è vista come una vera e propria malattia, ma una scarsa volontà e un’eccessiva golosità del paziente, e questo non riguarda soltanto la gente comune, ma spesso e volentieri è il modo di vedere di molti medici internisti – spiega Sergio Carandina – C’è ancora tanta ignoranza in merito, l’obesità è una malattia cronica e come tale necessita di un trattamento che deve essere il più lungo e duraturo possibile. Le persone si vergognano perché fino a quando ci sarà questa mentalità si sentiranno fallite nel chiedere aiuto alla chirurgia, ma la verità è che rimanere a dieta per tutta la vita è impossibile, per chiunque. L’unico modo per guarire è essere coscienti di avere una malattia e l’obesità è una malattia. C’è odio sociale nei confronti di tutto quello che viene etichettato come diverso, la nostra è una società che mostra quasi esclusivamente uomini con la tartaruga e donne perfette, il paziente obeso è portato a sentirsi diverso da quello che lo circonda, anche se quello che lo circonda è edulcorato da photoshop, o semplicemente non è la realtà. Quello che io dico ai miei pazienti è che la chirurgia è soltanto uno strumento, bisogna imparare a utilizzarlo, un paziente motivato è un paziente che cambia il suo modo di vedere le cose e prende in mano le redini della propria vita».

Poi ho chiesto a Cecilia Finotti di scrivermi due parole su come fosse cambiata la sua vita dopo l’intervento, eseguito quando lei aveva 25 anni, mi ha risposto inviandomi le foto del prima e del dopo, e queste bellissime righe di rinascita: «Presente quando sei in spiaggia sotto il sole a rilassarti o a fare l’aperitivo con gli amici, quando giochi a saltare le onde del mare, quando sfrecci sul manto bianco con gli scii ai piedi, oppure la soddisfazione che provi dopo una lunga passeggiata in montagna? Salvo non ti piaccia una delle cose elencate penso tu sappia esattamente le sensazioni che provi mentre le fai. Ma entrando più nel quotidiano: fare un bagno in vasca con l’acqua calda che ti coccola la testa (cit. Britti),  fare le scale o una salita, allacciarsi le scarpe. Sono tutte attività che da troppi anni non provavo: niente spiaggia, niente sciate, niente passeggiate in montagna, dieci anni di privazioni perché mi vergognavo del mio aspetto, perché non esistevano tute da sci della mia taglia e poi comunque il pensiero che se fossi caduta avrei di certo rischiato grosso e avrei potuto far male a qualcuno mi frenava. Le ginocchia facevano sempre più “crack” e allora niente passeggiate a alta quota, nella vasca da bagno mica ci stavo più, e le scarpe le allacciavo con il bottone dei pantaloni slacciato, se facevo le scale o una salita poi dovevo respirare profondamente per la fatica. Avevo compiuto da poco venticinque anni quando mi sono operata di Sleeve, un’enormità di problemi alimentari e una grave disfunzione ormonale che non aiutava per nulla la mia salute e tutti i tentativi di perdere peso. Ho perso ben cinquanta chili, ed ho avuto la mia rivincita, dieci anni di non vita tra il male che mi facevo io e il male che mi facevano gli altri, tra la vergogna che ho sempre provato e la voglia disperata di ricominciare a vivere. Ho sempre sognato di lanciarmi con il paracadute ma temevo per via del peso di non poterlo fare in tandem e di non trovare la tuta della mia taglia, come sempre. Questa primavera esaudirò questo grande sogno, come tutti quelli che mi son rimasti indietro in quei lunghi anni bui».

Non vedo l’ora di mostrarvi anche il mio prima e il mio dopo, finalmente libera dal peso del dolore della malattia di mio marito, quello che mi ha fatto aprire la bocca e chiudere gli occhi, quello che mi ha fatto affogare i dispiaceri in un piatto di pasta sempre più grande, quasi a tapparmi la bocca e i pensieri, quello che mi ha portato a prendere tutto il peso perso dal mio amore, come a volerlo proteggere.

Fino a quando non ho capito che sotto quei chili mi stavo ammalando anche io, fino a quando mi sono seduta davanti a una psicologa ed ho urlato tutto il male che avevo dentro, fino a quando non ho capito che l’insufficienza renale non sarei riuscita a mangiarmela, nonostante ci abbia provato in tutti i modi, quella maledetta bastarda è sempre riuscita a sfuggirmi, e finalmente abbia capito che esistono delle cose sulle quali non si può avere il controllo, avvengono, ci attraversano, ci massacrano, ci buttano a terra, e noi non abbiamo scelta. Dobbiamo rialzarci. Lo dobbiamo per prima cosa a noi stesse, e poi a chi ci ama. Io ce la farò perché sono una sopravvissuta, sono una che non ha mai smesso di lottare, e mai lo farà. Vi aspetto numerose in questo mio lungo viaggio. Insieme ce la faremo.