Quello che so sull’amore me lo hai insegnato tu

Lunedì il mio amore ha avuto un'emorragia improvvisa, ma mi aveva promesso che non mi avrebbe lasciato da sola. Ed ha mantenuto la parola.

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Lunedì ho rischiato di perdere l’uomo della mia vita, la mia metà, quante volte viene detta e scritta questa frase, tante volte anche a sproposito, a volte anche abusata, eppure lui è davvero la mia metà, quella parte di mela senza la quale io non sarei completa. E che lui lo fosse, l’ho capito dalla prima volta che i nostri sguardi si sono incrociati, da quella sera le nostre vite si incontrate e mescolate, e non ci siamo più lasciati. Siamo rimasti insieme sempre, in ogni momento bello e brutto della nostra esistenza, non ci siamo mai tirati indietro di fronte a nessuna delle prove che abbiamo dovuto sopportare, e, vi assicuro, sono state davvero tante, un mio rene è diventato suo, mentre il mio cuore, lo è sempre stato e vi assicuro, lo sarà per sempre. E perdonatemi se ci tengo a sottolinearlo, ma questa non è retorica, lui è tutto quello di cui ho bisogno, lui è quello che ha rimesso a posto i miei pezzi con un abbraccio, è quello che mi ha fatto capire che l’amore ha bisogno di fatti, che le parole se le porta via il vento, ma l’amore, quello vero, non se lo porterà mai via nessuno, e sarà sempre con te, anche nei momenti più bui, anche nelle notti che sembreranno infinite, quelle che ti strapperanno il cuore, quelle che ti faranno urlare al cielo “perché noi”, ma non c’è mai un perché al dolore della vita, non c’è mai un perché alla malattia, e se una cosa l’ho imparata in tutti questi anni, è che quando la sofferenza ti entra dentro e riesci a guardarla negli occhi, niente sarà più come prima.

Lunedì sembrava un giorno come tanti, alle 12 ho sentito Luigi al telefono, aveva appena finito la dialisi, stava aspettando la sua nefrologa, per cambiare la terapia per la pressione, cose normali per un paziente in insufficienza renale cronica, poi dopo mezz’ora arriva la seconda chiamata, mi dice che sta male, che ha un dolore fortissimo sul rene trapiantato, il mio, quello che è rimasto un teenager per sempre, che lo stanno portando a fare un’ecografia, di venire subito in radiologia. Da quel momento sono passate telefonate infinite, e litigi con chiunque mi dicesse che io non potevo andare da lui, per via del covid, e voi immaginate di sentire il vostro amore soffrire e non riuscire a parlare, e di saperlo da solo in una stanza, abbandonato a se stesso, in attesa di una tac, che sembrava non arrivare mai, fino a quando alle 16 mi chiamano dal pronto soccorso dicendo che la dottoressa voleva parlarmi, e che potevo andare da lui.

Ho capito subito che c’era qualcosa che non andava, che era qualcosa di grave, ma quando sono arrivata in quella stanza e l’ho visto, il mio cuore si è fermato, ha rallentato, ha perso i battiti, lui era completamente bianco e freddo, parlava a fatica, poi sono arrivate le parole del medico: “Signora la situazione è molto grave, suo marito ha un’emorragia attiva, significa che sta continuando a perdere sangue, si è rotta un’arteria e una vena. Dobbiamo operarlo subito, non possiamo nemmeno spostarlo, verrà appositamente un’equipe da un altro ospedale, non c’è tempo da perdere. Lei deve deve essere consapevole che per le condizioni in cui si trova suo marito non è detto che superi l’intervento.”

Immaginate che la stessa cosa l’abbia detta anche a lui, e così in quella piccola stanza piena di monitor e sacche di sangue, mi sono ritrovata ad ascoltare le telefonate che il mio amore, il mio amore grande, stava facendo alla sua famiglia per salutarla prima di essere operato, in caso non si fosse risvegliato. Nel giro di cinque minuti mi sono ritrovata sola davanti alla porta della rianimazione, con tutta la mia disperazione, e le mie domande senza risposta, ho pianto abbracciata a un infermiere di cui non sapevo nemmeno il nome, ho pianto davanti alla macchinetta del caffè, ho pianto al telefono con i miei genitori, ho pianto da sola in un angolo della mia auto, ho dovuto chiamare i miei figli e cercare di essere forte, mentre dentro ero morta. Io sono morta per cinque lunghe ore, per tutto il tempo in cui quella porta è rimasta chiusa, ripetevo le stesse cose a chi mi chiedeva aggiornamenti, io c’ero fisicamente, ma era come se mi avessero spento, come se l’interruttore della mia vita si fosse fermato. Per passare il tempo sono andata a rileggermi tutte le chat con il mister, le nostre cazzate, le nostre litigate, e le leggevo con la sua voce, e mi sembrava che lui fosse lì accanto a me, lì con me, davanti a quella porta, nel silenzio di un ospedale vuoto. C’ero solo io. Io e quella porta chiusa. Non so quante volte avrò guardato quella maniglia nella speranza che si aprisse, non so quante preghiere ho detto, sono arrivata anche a maledire il mio rene per averci abbandonato sul più bello, ma poi mi sono tornate in mente le parole del mister “il tuo rene mi ha dato i momenti più belli della mia vita”, e mi sono ritrovata anche a chiedergli scusa mentalmente.

Luigi, il marito di Irene Vella insieme alla sua squadra

Alle 23 finalmente quella porta si è aperta e ho potuto incontrare i medici che lo avevano operato, mi sono improvvisamente sentita catapultata in una di quelle puntate di Grey’s Anatomy dove i chirurghi devono aggiornare i parenti, e mi sono trovata a scrutare ogni piega di quei visi, cercando di capire prima che potessero aprire bocca, poi è arrivata quella frase “signora suo marito è un combattente, non ha mai mollato, è rimasto sempre con noi, l’intervento è riuscito e il chirurgo vascolare ha salvato anche l’arteria che servirà per il prossimo trapianto.” E io sono tornata a respirare. E io sono tornare a vivere. Luigi era in terapia intensiva, Luigi era ancora con noi. Era ancora un padre, un marito, un fratello, un figlio, un genero, un amico, un mister, un condottiero.

Il giorno successivo in ospedale tutti parlavano della sua operazione, della sua tempra, e del fatto che a tutti fosse sembrato un miracolo, anche ai medici stessi. Immaginate quando ieri sono potuta andare a vederlo attraverso il vetro, con le sue guanciotte rosse, il suo meraviglioso sorriso accennato, e la sua dannata e fottutissima voglia di vivere. Piangevo, ridevo, toccavo il vetro con le mani, e gli ripetevo in continuazione “amore mio sei bellissimo” e ricominciavo daccapo. I venti minuti più belli di tutta la mia vita. Il mio mister era lì, con me, cosciente, sveglio e stubato. Tutto quello che so sull’amore me lo ha insegnato lui, mi aveva promesso che non mi avrebbe lasciato da sola, e lui mantiene sempre quello che dice. Sarà un lungo recupero, una lunga degenza, ma il mio mister è con me. Tutto il resto non conta. Perché sì, tutto quello che so sull’amore lo devo a lui.

Ti amo amore mio. Ora e sempre.
Per sempre.