Milano, giugno 2011. Due fratelli, Ilaria e Gianluca Palummieri, vengono brutalmente assassinati a distanza di poche ore l’uno dall’altra, ad ucciderli è Riccardo Bianchi, 21 anni all’epoca, ex fidanzato di Ilaria. Il movente: la fine della loro relazione, la dinamica dell’omicidio rivela un piano lucido, premeditato, efferato.
Riccardo inizia col colpire Gianluca, 20 anni, con oltre trenta coltellate a Cesano Boscone, dopo averlo ucciso gli ruba le chiavi di casa e si dirige verso l’appartamento dove Ilaria viveva con il fratello, in via Gozzoli, Milano, entra in casa, sveglia Ilaria e le comunica l’omicidio del fratello, poi inizia l’incubo.
La ragazza, 21 anni, viene immobilizzata, legata al letto, picchiata e violentata ripetutamente per circa 14 ore, le urla strazianti vengono udite dai vicini, ma nessuno interviene. Intorno alle 17 del giorno stesso, Riccardo le infila un sacchetto di plastica in testa e la soffoca fino a ucciderla. Dopo il duplice omicidio, si ferma in casa a medicarsi una ferita riportata durante la colluttazione con Gianluca, poi avvolge il corpo del ragazzo in un copriletto, lo carica in auto e lo abbandona in un cassonetto a Rho, dove verrà ritrovato il giorno seguente. Il giorno dopo, accompagnato dai genitori, si reca al commissariato Bonola, dove inizia a rendere confessioni frammentarie e confuse.
Il pm Cecilia Vassena ascolta il suo interrogatorio per quasi sei ore, durante le quali Riccardo ammette il duplice omicidio senza fornire un movente chiaro. Durante il processo, la procura sottolinea come Bianchi non abbia mai mostrato segni di pentimento, neanche di fronte alla gravità degli atti.
Nel 2011, viene condannato all’ergastolo con rito abbreviato, una pena confermata in appello e in Cassazione. Nonostante la condanna, la legge italiana consente ai detenuti che non si sono macchiati di reati “ostativi”, come mafia o terrorismo, di accedere ai benefici penitenziari dopo 10 anni. Il femminicidio, anche se compiuto con modalità estreme, non rientra in quella categoria.
Così, nel 2024, Riccardo Bianchi, a soli 35 anni, inizia a uscire quotidianamente dal carcere di Bollate per lavorare, nei weekend dorme a casa del padre. Nessun avviso alla famiglia Palummieri, Giovanni, il padre delle vittime, scopre la notizia per caso, mesi dopo.
La vicenda genera scalpore non solo per la brutalità dei fatti, ma per l’apparente disconnessione tra la pena comminata e il suo concreto svolgimento. L’ergastolo, nella realtà, è durato poco più di 13 anni. Il dolore della famiglia Palummieri, invece, non finirà mai. Si può sopravvivere a un lutto, forse anche a due, ma non si può sopravvivere a uno Stato che ti ricorda, ogni giorno, che chi ha distrutto la tua vita è più tutelato di te.
Giovanni Palummieri non è solo un padre che ha perso due figli, è il simbolo vivente di una giustizia zoppa, che parla di ergastoli e poi, in silenzio, apre le porte del carcere. Senza bussare. Senza spiegare. Senza nemmeno la cortesia di un avviso.
Riccardo Bianchi ha ucciso Gianluca a coltellate, gli ha rubato le chiavi, ha raggiunto Ilaria con un piano in testa: farla a pezzi, dentro e fuori. L’ha legata. Violentata. Picchiata. Massacrata. Per ore. Le ha detto: “Ho appena ucciso tuo fratello”, come un trofeo, e quando si è stufato di quel corpo che urlava, le ha messo un sacchetto in testa. Come fosse spazzatura, come lo era diventato lui, da subito.
E adesso? Adesso gode di permessi premio. Lavora, nel fine settimana dorme nel suo letto, prende un caffè al bar. Magari nella stessa tazzina di Giovanni. Respira l’aria dei vivi, mentre Ilaria e Gianluca rimangono sottoterra, due vite spezzate da un uomo che la legge non definisce abbastanza pericoloso da restare dentro. È questo il messaggio? Che si può uccidere due ragazzi, torturarli, abusarli, soffocarli e poi ricominciare da capo, dieci anni dopo?
A Giovanni nessuno ha mai spiegato niente, forse chi ne era a conoscenza gli ha nascosto la verità fino all’ultimo respiro, perché sapeva che non l’avrebbe retta, perché sapeva che un padre che ha giurato “ci vediamo all’inferno, bastardo” non può accettare che l’inferno sia fuori, a piede libero, in tuta da lavoro.
A Giovanni hanno dato dei verbali da firmare, gli hanno fatto leggere l’autopsia dei suoi figli, come fosse un documento di trasloco, gli hanno detto “si comporti bene” mentre in aula sedeva a un metro da chi gli aveva massacrato il cuore.
A lui non è concesso nemmeno sapere se il giudice che ha firmato quei permessi ha dei figli, ma lui vorrebbe chiederglielo. E glielo chiede, anche se nessuno risponde: “Se al posto dei miei ci fossero stati i tuoi, saresti stato così generoso?”
No, non è giustizia. È burocrazia. È un meccanismo freddo che confonde un padre con una “parte offesa”, come se gli avessero rigato la macchina. È la legge che decide che un ergastolano ha diritto al futuro, ma le sue vittime no.
Ilaria e Gianluca non conosceranno Amsterdam, non sentiranno più il mare, non vedranno mai l’inverno. Riccardo sì. Riccardo ha una seconda possibilità, Giovanni ha solo un promemoria quotidiano: che in Italia puoi distruggere due vite, e tra un po’ magari insegnare yoga, fare il pizzaiolo o aprire una pagina Instagram con citazioni motivazionali.
“Ci rivediamo all’inferno” gli ha urlato, ma l’inferno, oggi, è qua. È a Milano. E cammina accanto a chi ha già perso tutto.