Giulia e Alessia, morire a 15 anni sui binari

Un donna ha provato a urlare con tutta la voce che aveva in corpo per avvisarle del sopraggiungere del treno, ma non hanno sentito

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Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 1 Agosto 2022 10:50

Giulia e Alessia erano due sorelle di quindici e diciassette anni. Giulia e Alessia erano, perché adesso purtroppo non sono più. Le loro vite, i loro sogni si sono infranti alle 6:40 di un 31 luglio afoso e stanco, nella stazione di Riccione, sotto gli occhi attoniti e le urla disperate dei presenti che aspettavano in banchina e che le hanno viste morire travolte dal Freccia Rossa in arrivo da Pescara. Oggi è il giorno dopo, quello dei racconti, delle testimonianze raccolte per ricostruire le ultime ore di vita di queste adolescenti, del titolare del bar che le ha viste stanche e barcollanti, di quella donna che invano ha provato a urlare con tutta la voce che aveva in corpo per avvisarle del sopraggiungere del treno, di tutti quei passeggeri che nel giro di un attimo si sono ritrovati spettatori, senza colpa, della morte in diretta. Oggi è il giorno dopo, quello in cui ci sono quelli che si ergono a giudici della vita altrui, quelli che condannano la leggerezza di un gesto così banale e, allo stesso tempo, così pericoloso, come quello dell’attraversare i binari, quelli che scavano nella famiglia, quelli che giudicano i genitori perché “eh signora mia come si fa a mandare due figlie, poco più che bambine, a passare tutta la notte da sole a Riccione?” senza sapere nulla, senza conoscere niente di loro, se non quei pochi frammenti che rimarranno indelebili, negli occhi attoniti e vitrei delle telecamere. Perché purtroppo spesso giudicare è lo sport preferito di chi rimane, di quelli che si salvano, di quelli che riescono a passare indenni l’adolescenza senza un graffio, di quelli che sopravvivono, di quelli che non sanno che, a volte, morire, è solo il concatenarsi di numerosi, tragici e sfortunati eventi.

Eh sì scegliere di attraversare i binari, scendendo dalla passerella, è un atto voluto, non è il caso che ti fa mettere un piede davanti all’altro, ma la tua testa, è una tua decisione, non della sfortuna, non del karma, ma a quindici anni si è convinti di essere immortali, a quindici anni l’idea della morte non ti sfiora nemmeno, a quindici anni alle 6:40 di una domenica mattina, dopo una notte passata a Riccione, a sentirti grande in mezzo ai grandi, non sei lucido, magari avrai preso la tua prima sbronza, che no, non si fa, che “no i miei figli non lo fanno”, già perché a morire sono sempre i figli degli altri, così come a commettere qualche cazzata, perché “ai miei tempi” certe cose non si facevano, perché ci vorrebbero più regole e qualche schiaffone in più, senza sapere minimamente come siano andate le cose, perché poi, diciamo la verità, ai nostri tempi forse non avevamo la libertà di passare tutta la notte fuori di casa, magari sulla spiaggia, eppure io ho perso decine di amici e conoscenti lungo la via, perché negli anni 80 magari non potevi rincasare la mattina senza passare indenne dagli schiaffi di tuo padre o tua madre, ma quanta gente ho visto morire per strada, con un ago nel braccio, o schiantandosi contro un muro dopo una notte in discoteca, per un colpo di sonno o per aver bevuto troppo.

Ma non sempre a morire sono i figli degli altri, non sempre i sogni infranti appartengono a teste calde che “tanto prima o poi si sapeva sarebbero finiti così”, non sempre una vita spezzata fa rima con rima con una vita sprecata, e mai, sottolineo mai a quindici anni, mai a diciassette, mai quando gli anni calpestati su questa terra rimarranno indelebili nella testa e nella memoria di chi li ha amati così tanto, che al solo pensiero manca il fiato. Ma oggi è il giorno dopo, il giorno delle congetture, il giorno in cui tutti si sentono genitori migliori, il giorno in cui il sole che sorge ha lo stesso sorriso e lo stesso sapere di quello di ieri, e di quello del giorno prima, perché i nostri figli sono nel loro letto, perché possiamo ancora vederli sorridere, piangere o incazzarsi, perché siamo stati bravi, li abbiamo educati bene, e invece, a volte, siamo stati solo fortunati. Perché io me li immagino i genitori di Giulia e Alessia, me li immagino la sera di sabato, quando, dopo mille insistenze si lasciano convincere a mandarle a Riccione “mamma, papà ci vanno tutti i nostri amici, vi promettiamo che faremo le brave, mica dobbiamo guidare.” Se chiudo gli occhi posso sentire la voce della sorella maggiore che si fa carico della voglia di vita anche della sorellina minore, che rassicura i suoi dicendo che non la perderà mai di vista, che è solo una notte, che la mattina prenderanno il primo treno disponibile, che staranno insieme al gruppo, che non faranno cazzate, di fidarsi di loro, perché orami sono grandi, e lei tra poco sarà maggiorenne.

Quelle parole è come se me le sentissi rimbombare nella testa, e chissà, forse è andata proprio così, chissà se è stata Giulia a rimanere indietro sui binari, chissà chi delle due ha scelto di attraversali, magari per fare prima, magari per paura di perdere la corsa e non arrivare in tempo come promesso a mamma e papà, un attimo, una decisione sbagliata, e Giulia e Alessia non ci sono più. Ed io l’unica cosa a cui non smetto di pensare è quella telefonata ricevuta dal papà, quella telefonata che lo avvisava che le sue bambine, entrambi le sue figlie, non c’erano più. Io me lo immagino questo papà, io posso sentire le sue urla di disperazione, i suoi pensieri, i suoi sensi di colpa, io posso immaginarmi lo strazio dei giorni che verranno, quelli senza più la voce delle sue piccoline, quelli in cui ogni giorno svegliarsi sembrerà un incubo, quelli in cui desidererà non aprirli più quegli occhi, solo per continuare a viverle, almeno nel sogno. E allora abbracciamoli forte questi genitori, facciamo sentire loro tutto l’affetto di chi può ancora abbracciare i propri figli. Oggi non è il giorno del giudizio. Oggi è il giorno del rispetto. Per tutte le Giulia e Alessia che non ci sono più.