Essere donna richiede coraggio, ogni giorno tutti i giorni. “È una sfida che non finisce mai”, scriveva Oriana Fallaci, e quanto aveva ragione. Ieri esattamente come oggi.
Perché le donne sono il soggetto preferito e costante degli stereotipi e dei pregiudizi. Perché siamo noi, e noi soltanto, a dover combattere una battaglia che non ha ragione di esistere, quella della parità di genere, di rispetto e di dignità. Dobbiamo lottare contro l’oggettificazione femminile, contro chi ci considera un bell’involucro e nient’altro, contro chi si ferma alle apparenze. Contro chi può dire e fare tutto, e poi giustificarsi, perché siamo noi le donne, non loro. Il sesso debole e gli angeli del focolare. Siamo madri e mogli, siamo ruoli già scritti dagli altri.
E poi, inaspettatamente, dobbiamo combattere contro noi stesse. Dobbiamo farlo tutte le volte che scegliamo di tradirci solo per riconoscerci nelle aspettative degli altri, quando ci rassegniamo a quella condizione di mancata libertà che ci hanno fatto credere ci appartenesse. Dobbiamo farlo tutte le volte che, stanche di combattere, preferiamo cadere nei pozzi neri e in quelli annaspare.
Tutte cascano nel pozzo, ogni tanto
Quei pozzi neri rappresentano una parabola per tutte noi, lo sapeva bene Natalia Ginzburg che proprio su questo argomento si è dedicata con una splendida lettera aperta a tutte le donne che è oggi più attuale che mai.
Scrittrice, drammaturga e traduttrice italiana, nonché una delle principali figure della letteratura del ‘900, Natalia Ginzburg si è aperta a una riflessione sul genere femminile e su tutte quelle sfide che ogni donna deve affrontare ogni giorno. Prima fra tutte la mancata libertà, soprattutto se paragonata a quella posseduta, da sempre, dagli uomini.
Un saggio, il suo, che assume tutte le sembianze di un monito e un invito, rivolto alle donne e a se stessa. Quello di non annaspare in quei pozzi in cui cadiamo, a volte perché spinte da qualcuno, altre volte perché ci sembra quasi più confortevole restare nel fondo buio che camminare sotto la luce e lì brillare.
Il Discorso sulle donne, pubblicato nel 1948 sulla rivista Mercurio, diretta da Alba de Céspedes, non è altro che un incoraggiamento a mettere da parte le insicurezze e le paure, quelle create dal giudizio della società, per ritornare a essere persone libere.
Il Discorso sulle donne di Natalia Ginzburg
“L’altro giorno m’è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po’ male. Era piuttosto stupido: quel mio articolo parlava delle donne in genere, e diceva delle cose che si sanno, diceva che le donne non sono poi tanto peggio degli uomini e possono fare anche loro qualcosa di buono se ci si mettono, se la società le aiuta, e così via. Ma era stupido perché non mi curavo di vedere come le donne erano davvero: le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che m’è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi. E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne.
Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante, ma a me non è mai successo d’incontrare una donna senza scoprire dopo un poco in lei qualcosa di dolente e di pietoso che non c’è negli uomini, un continuo pericolo di cascare in un gran pozzo oscuro, qualcosa che proviene proprio dal temperamento femminile e forse da una secolare tradizione di soggezione e schiavitù e che non sarà tanto facile vincere; m’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi indiceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai. Due donne infatti si capiscono molto bene quando si mettono a parlare del pozzo oscuro in cui cadono e possono scambiarsi molte impressioni sui pozzi e sull’assoluta incapacità di comunicare con gli altri e di combinare qualcosa di serio che si sente allora e sugli annaspamenti per tornare a galla.
Ho conosciuto moltissime donne, donne tranquille e donne non tranquille, ma nel pozzo ci cascano anche le donne tranquille: tutte cascano nel pozzo ogni tanto (…). Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con il lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi. Le donne incominciano nell’adolescenza a soffrire e a piangere in segreto nelle loro stanze, piangono per via del loro naso o della loro bocca o di qualche parte del loro corpo che trovano che non va bene, o piangono perché pensano che nessuno le amerà mai o piangono perché hanno paura di essere stupide o perché hanno pochi vestiti; queste sono le ragioni che danno a loro stesse ma sono in fondo solo dei pretesti e in verità piangono perché sono cascate nel pozzo e capiscono che ci cascheranno spesso nella loro vita e questo renderà loro difficile combinare qualcosa di serio.
Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch’io per la prima perché se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finché sarà così popolato d’una schiera di esseri non liberi.”