Brutalist design, che cos’è e quali sono i 5 edifici più famosi

Linee semplici e "aggressive", caratterizzate da un'inquietante crudezza: ecco che cos'è il brutalismo e quali sono gli esempi architettonici più famosi

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Giulia Sbaffi

Web Content Editor

Appassionata di belle storie e di viaggi, scrive da quando ne ha memoria. Quando non è in giro o al pc, riempie di coccole i suoi amati gatti.

In piena rottura con il passato, la seconda metà del ‘900 vede nascere una nuova corrente architettonica innovativa: si tratta del brutalismo, che fa delle linee semplici e della crudezza dei materiali i suoi punti di forza. Diffusosi ben presto in tutta Europa e poi oltreoceano, ha caratterizzato alcuni degli edifici più iconici dello scorso secolo. Scopriamo com’è nato e quali sono i suoi esempi più rappresentativi.

Che cos’è il brutalismo

Nato come superamento del Movimento Moderno in architettura, il brutalismo affonda le sue radici nell’Inghilterra della seconda metà del ‘900. Il suo nome è stato coniato nel 1954 e deriva dal francese “béton brut”, termine con il quale si indica il cemento grezzo. Ed è infatti questo il simbolo principale della corrente brutalista, che punta sui materiali più crudi e sulla semplicità del design. L’ispirazione alla base della nascita di questo stile deriva dal genio di Le Corbusier, uno dei più grandi architetti e urbanisti del secolo scorso.

Il brutalismo trova vigore in un’Europa che, appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, deve fare i conti con una gravissima recessione economica. L’esigenza di ricostruire nuovi alloggi ed edifici governativi a basso costo permette la rapida diffusione di una corrente architettonica che si propone di fare uso di materiali semplici ed economici, rinunciando così al costosissimo acciaio d’importazione. Il cemento si rivela la scelta più adeguata, soprattutto se lasciato a vista in maniera decisamente non raffinata. E, nel giro di pochi anni, questo stile viene portato anche dall’altra parte dell’oceano, trovando terreno fertile soprattutto in Sud America.

Non esiste un’unica visione d’insieme del brutalismo, dal momento che ciascun Paese lo fa proprio dandogli interpretazioni ideologiche molto diverse. È il caso dell’Europa orientale, che trova in questa corrente la perfetta espressione del socialismo e del potere autoritario, nelle sue forme grezze e robuste. Decisamente molto più rasserenante è invece la rappresentazione che se ne fa in Paesi postcoloniali come il Brasile, l’India e il Kenya: qui il brutalismo sembra indicare una nuova libertà, dopo un passato di soprusi. Quel che è certo è che lo stile si diffonde rapidamente, ma altrettanto rapidamente incontra la sua fine.

Già verso la fine degli anni ’70, la corrente brutalista perde il suo fascino. Alcuni degli edifici più simbolici, che sembrano sfidare la forza di gravità, vengono demoliti. Il cemento, visto dapprima come il materiale perfetto per ricostruire un mondo devastato dalla guerra, assume una connotazione negativa rappresentando il degrado urbano, complice la sua estetica grezza e usurata. Negli ultimi anni il brutalismo sta tornando di moda, soprattutto nelle sue applicazioni di design: mobili e complementi d’arredo, lampadari, sculture murarie o più semplicemente colori e linee non raffinate riprendono il sopravvento.

Le caratteristiche principali

In che cosa si distinguono gli edifici brutalisti? La loro architettura è caratterizzata dalla rudezza delle superfici, spesso ruvide e frastagliate, e dalle forme pesanti e robuste. I bordi sono netti, le linee semplici e spesso asimmetriche, le finiture patinate. C’è ampio spazio per materiali “duri” come il cemento, l’acciaio, il vetro, il bronzo e il ferro. Anche la tavolozza di colori richiama questa crudezza, con prevalenza di toni grigi e metallici. Nell’insieme, queste costruzioni sono vigorose e solide, talvolta in grado quasi di sfidare la gravità.

Questa corrente architettonica trova anche largo sfogo nelle soluzioni d’interno, confluendo nel brutalist design: gli spazi sono enormi, ma spesso sembrano rimpicciolire sotto il peso del cemento, che caratterizza pareti, pavimenti e persino soffitti. Per compensare questa scelta di design, ci sono molteplici stratagemmi. Dall’uso di materiali più caldi come il legno all’introduzione di ampie aperture per permettere alla luce del sole di entrare, sino alla scelta di un tocco di colore che vada a stemperare l’abbondanza di grigio.

Gli edifici più rappresentativi

Nella seconda metà del ‘900, il brutalismo si è diffuso rapidamente in numerosi Paesi. Sono molti gli edifici realizzati seguendo i dettami di questa corrente architettonica e, sebbene alcuni di essi siano stati demoliti, la maggior parte è ancora in piedi e merita assolutamente una visita. Scopriamo quali sono le costruzioni brutaliste più rappresentative in tutto il mondo.

Il Royal National Theatre, a Londra

Situato lungo la riva sud del Tamigi, il Royal National Theatre è uno degli edifici più controversi della storia brutalista nel Regno Unito. È stato progettato dall’architetto Denys Lasdun e completato nel 1976: caratterizzato da torri “volanti” che si innalzano da terrazze stratificate, le quali avvolgono l’edificio. Interamente realizzato in cemento grezzo, è una struttura davvero immensa: al suo interno ospita tre teatri, il più grande dei quali può accogliere fino a 1.160 persone, e poi ristoranti, bar, foyer e tutto il necessario dal punto di vista della meccanica.

Unité d’Habitation, a Marsiglia

Il quartiere residenziale progettato da Le Corbusier segna il confine tra il Movimento Moderno e l’architettura brutalista: realizzato a cavallo tra gli anni ’40 e ’50, è un parallelepipedo di cemento lungo 137 metri e alto 56 metri, suddiviso in 18 piani. Ospita 337 appartamenti, svariati negozi, scuole, palestre, piscine e persino un hotel. È una vera e propria città verticale, un progetto visionario che dal 2016 è finito sotto la protezione dell’UNESCO.

Il Municipio di Boston

Un altro affascinante esempio di architettura brutalista, questa volta dall’altra parte dell’oceano, è il Municipio di Boston: costruito nel 1968, fa parte di un più ampio progetto urbanistico degli anni ’60 volto a dare un nuovo aspetto alla città. La struttura in cemento armato e i piani superiori a sbalzo sono ripresi da Le Corbusier, in particolare ispirandosi al suo convento di Santa Maria de La Tourette a Éveux.

La Torre Genex, a Belgrado

Questo imponente grattacielo di 35 piani si trova in Serbia, ed è stato progettato sul finire degli anni ’70 da Mihajlo Mitrović. È formato da due torri, una più bassa di qualche decina di metri, unite da un ponte a due piani. Sul tetto è ospitato persino un ristorante girevole. L’idea era quella di far sì che i viaggiatori provenienti da ovest si imbattessero in questo colosso dall’aspetto di una grande porta d’ingresso.

La Torre Velasca, a Milano

E in Italia? Uno degli esempi più suggestivi della corrente brutalista è la Torre Velasca, che si trova nel centro di Milano. Realizzata tra il 1955 e il 1957, ha una base rettangolare e si eleva per 28 piani: gli ultimi hanno una superficie più ampia rispetto a quelli inferiori, e il tutto consiste in uno sbalzo di notevole impatto visivo. All’interno vi sono ospitati uffici e locali commerciali, mentre i piani superiori sono adibiti ad appartamenti privati.