La ricerca va avanti. E con passi veloci. Così oggi, grazie agli sviluppi delle terapie che vanno sempre selezionate dallo specialista oncologo caso per caso in base alle caratteristiche della donna e delle cellule che determinano il tumore, aumentano le opportunità di controllare anche il tumore al seno metastatico. Il tutto, non solo per migliorare le aspettative nei confronti della prognosi, ma anche le prospettive in termini di qualità di vita. Perché proprio grazie ai progressi della scienza oggi vivere meglio dopo una diagnosi di tumore metastatico alla mammella è possibile anche e soprattutto in famiglia. Ma quale dovrebbe essere il coinvolgimento dei figli nel percorso di cura? E come si dovrebbe comportare la donna, per vivere una vita piena, continuando a fare progetti nella vita privata, con gli amici, sul lavoro e ovviamente con la famiglia? Proviamo a dare qualche risposta in occasione della Festa della Mamma nell’ambito della campagna “È tempo di vita”, promossa da Novartis, nata per dare informazione e supporto alle pazienti che affrontano un tumore al seno metastatico.
Il momento della diagnosi
Ripetiamolo. Grazie alle nuove terapie la qualità di vita è aumentata. Ma ancora oggi sentirsi pronunciare, seppur con tutte le attenzioni possibili, una diagnosi di tumore alla mammella metastatico crea comunque un “prima” e un “dopo”. È un momento chiave nel percorso di vita della persona, quasi una spaccatura. Ed è in questa fase che le donne si trovano ad affrontare un passaggio chiave: come ne parlo in famiglia? E soprattutto, come e quanto posso coinvolgere i miei figli, magari ancora piccoli? Il tema è di grande importanza, considerando anche l’epidemiologia della patologia. I dati dicono che più o meno una donna su 7-8 è destinata ad affrontare questa patologia, ma segnalano anche che a volte il tumore in fase avanzata diventa parte del percorso di vita di giovani tra i 40 e i 50 anni. Ed occorre avere delle indicazioni, come ricordano anche le associazioni delle pazienti, che svolgono un ruolo fondamentale ascoltando la voce delle donne, mettendone in evidenza i bisogni e portandoli all’attenzione dei medici e delle istituzioni. “Nessuno può comprendere fino in fondo il dolore che una donna metastatica deve affrontare per convivere con la malattia soprattutto quando queste donne sono mamme di bambini piccoli – segnala Anna Maria Mancuso, presidente di Salute Donna Onlus –. Non è neanche immaginabile la preoccupazione di una mamma che nella gestione della malattia deve far fronte anche alla quotidianità della famiglia, ma paradossalmente è proprio la preoccupazione a darle la forza per non arrendersi al dolore e lasciarsi andare poiché l’istinto di protezione verso i propri figli le fa superare ogni ostacolo”.
Importante pensare a sé…
Per una buona comunicazione in famiglia può essere di supporto partire dal confronto con i propri medici sul percorso terapeutico e dal ricorso, quando necessario, a un sostegno psiconcologico, che aiuti anche a elaborare le proprie emozioni. «Per gestire la comunicazione in famiglia è difficile individuare un percorso di accompagnamento uguale per tutti: ogni caso e situazione famigliare è a sé e non c’è una formula prestabilita. L’unica soluzione è creare un rapporto di empatia tra curante e paziente e sapere ascoltare il malato rispondendo ai suoi dubbi e preoccupazioni», aggiunge Anna Maria Mancuso.
Gestire correttamente la comunicazione con i propri cari può addirittura essere una sorta di “supporto” nel percorso terapeutico delle pazienti, perché contribuisce al benessere emotivo della donna e permette di recuperare un senso di normalità nella vita familiare e una maggiore autostima come genitore. Ma partiamo dall’inizio, grazie all’aiuto di Laura Mazzarelli, pedagogista e fondatrice del progetto Il Cammino Pedagogico. “Il momento della diagnosi è un momento che provoca un grande shock nella donna e nella famiglia che bisogna sapere comunicare – spiega l’esperta. Ma non si può pensare di poter comunicare qualcosa ai figli se non è stata fatta una prima elaborazione di questo tsunami che investe la realtà del quotidiano delle pazienti. La prima cosa fondamentale è dedicarsi un tempo per l’attenzione alle proprie emozioni, perché senza questo passaggio non si può pensare di poter sostenere i bambini”.
…e poi parlarne con i figli
In molti casi la prima reazione che scatta quando riceviamo una diagnosi di tumore è il desiderio di protezione nei confronti dei propri cari, un sentimento legittimo e naturale che deve però tenere conto del diritto dei bambini e degli altri componenti della famiglia di conoscere la verità. “Come dice Winnicott, ai bambini la verità va presentata – prosegue Mazzarelli. Ed è molto importante che i bambini la conoscano, soprattutto se detta dalle figure di riferimento, piuttosto che captare delle informazioni che poi non sanno decodificare. I bambini percepiscono molto prima delle nostre parole le energie dell’ambiente domestico e questo diventa per loro immediatamente un motivo di allarme, col rischio di crearsi delle interpretazioni disfunzionali. Si deve, invece, offrire al bambino la libertà di poter chiedere. Inoltre, parlare rende possibile abbassare il livello di ansia e consente di avere un minimo di controllo in una situazione che ha completamente sconvolto la vita della famiglia. L’invito è quello di non tenere all’oscuro, ma di costruirsi degli strumenti emotivi, anche facendosi supportare, per sostenere a propria volta i bambini”. Insomma: è basilare anche nella comunicazione definire un percorso. Perché così si possono davvero aiutare i bambini, senza che loro abbiano la necessità di costruirsi una verità “personale”, che può risultare più angosciante.
L’evoluzione delle terapie target…
Negli ultimi anni si è assistito a progressi significativi nell’ambito dei protocolli terapeutici per il tumore al seno, in un’ottica sempre più orientata verso l’oncologia di precisione. Per questo oggi si parla di terapie personalizzate e mirate. La conoscenza delle caratteristiche biologiche della neoplasia, nella fase precoce e in quella avanzata, permette di conoscere il tumore al seno nelle sue caratteristiche e di identificare le opzioni terapeutiche più adatte. Che, va sempre ricordato, non sono uguali per tutte le donne. “Da diversi anni ci sono nuove categorie di farmaci che si sono affiancati ai trattamenti endocrini e alla chemioterapia nel trattamento del tumore metastatico, in particolar modo i farmaci biologici, detti a bersaglio o target molecolare – spiega Angela Toss, oncologa e ricercatrice presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena. Sono farmaci che hanno aumentato il livello di precisione con cui questi trattamenti vanno ad aggredire la cellula tumorale. Questo fa sì che il trattamento sia da una parte più efficace sul controllo della malattia, dall’altra meno tossico perché agisce sulle cellule sane in maniera meno impattante rispetto alla chemioterapia”.
…a favore anche di una migliore qualità di vita
Le terapie più moderne, sempre da utilizzare caso per caso, hanno cambiato completamente la tollerabilità e il vantaggio per le pazienti. E, quindi, incidono in maniera rilevante sull’aspettativa e sulla qualità della vita. L’approccio personalizzato alle terapie consente di adattare il trattamento alle specifiche caratteristiche del tumore e alla risposta individuale della paziente, migliorando l’efficacia complessiva del trattamento e riducendo il rischio di effetti collaterali indesiderati. “Oggi le pazienti vivono di più grazie a questi farmaci, perché sono più efficaci, inoltre vivono meglio perché sono meno tossici e quindi compatibili con un’ottima qualità di vita – fa sapere Toss. Le pazienti riescono ad andare a lavorare, a prendersi cura della propria famiglia a proseguire con i loro hobby, le loro passioni e le loro attività quotidiane. E questo è estremamente importante”. Conta anche, va detto, avere la vita meno “segnata” dagli accessi ripetuti in ospedale, necessari, ad esempio, in caso di chemioterapia da somministrare attraverso fleboclisi. Perché anche questo passaggio migliora la qualità di vita. “Questi farmaci danno il vantaggio di poter essere assunti per bocca e a casa e di avere accessi ospedalieri sempre più brevi e meno frequenti – segnala Toss. Fortunatamente queste nuove strategie hanno cambiato completamente la qualità di vita del percorso di malattia delle pazienti. Ovviamente piccoli problemi rimangono, come ad esempio la stanchezza, che possono essere gestiti tramite l’attività fisica, cercando di conservare nel quotidiano tutte le attività che erano abituate a fare (palestra, hobbies, attività lavorativa)”.
Insomma. Le recenti innovazioni terapeutiche offrono alle donne con tumore al seno metastatico prospettive di cura e di qualità di vita sempre maggiori. E bisogna sempre prestare attenzione al sostegno che può offrire nella cura una comunicazione aperta ed empatica all’interno delle famiglie, capace di contribuire al mantenimento del benessere emotivo della paziente e a quello dei propri cari.
Per maggiori informazioni visita il canale social “È tempo di vita”.
Con il contributo di Novartis