Puntura di zecca, come limitare i rischi e come comportarsi

Non tutte le zecche sono uguali e alcune possono trasmettere patologie anche gravi. Se si viene punti bisogna estrarre il parassita entro 24 ore

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Fa caldo, sempre più caldo. Se a questo si aggiunge il “crollo” delle gite in campagna nel periodo di lockdown, con conseguente aumento della fauna selvatica non più disturbata dall’uomo,  ecco che si creano le condizioni per il proliferare delle zecche. Questi animali sono veri e propri “nemici” delle gite in campagna e nei boschi, anche perché spesso non ci si accorge del contatto pericoloso. Ecco, in sintesi, come comportarsi.

“Attacco” con anestesia

La puntura di zecca, di questo si tratta e non di un vero e proprio “morso”, può essere del tutto impercettibile. Il motivo? L’attacco è indolore perché l’animale ha messo a punto un sistema estremamente efficiente per muoversi a dovere: prima, grazie a una sorta di “forbici” in miniatura, riesce a tagliare la pelle. Poi fa una sorta di “puntura” attraverso una specie di proboscide chiamata ipostoma. Capita di non accorgersi di quanto avviene perché nel momento dell’attacco le zecche riescono a immettere nell’area colpita una serie di composti che hanno una funzione quasi anestetica e contengono anche principi che limitano l’infiammazione. per il “nemico” questa strategia subdola ha un significato importante: per la zecca, infatti, l’importante è avere la possibilità di nutrirsi tranquillamente e quindi non essere percepita fa parte della “strategia” che mette in atto.

L’animaletto si attacca con un vero e proprio rostro alla pelle e poi emette anche un composto che ha la funzione di far aderire bene il suo corpo alla cute, per limitare i rischi di staccarsi. Infatti per “attaccarsi” alla preda questi nemici impiegano speciali “protuberanze”, chiamate cheliceri, attraverso cui provocano il primo impercettibile “foro” sulla pelle. Una volta giunte a contatto con un vaso sanguigno molto piccolo, entro cui scorre il liquido vitale, si “appendono” attraverso rostri uncinati per poi staccarsi non appena finito il pasto. Attenzione però: non tutte le zecche sono uguali.

Quelle  “dure”, che hanno una specie di scudo di protezione sul dorso nei maschi (sono queste che possono trasmettere una patologia potenzialmente grave, la meningoencefalite), e le “molli”: queste  sono più fragili, ma possono “rubare” molto più sangue perché si gonfiano a dismisura. La meningoencefalite, in particolare, viene trasmessa dalla zecca Ixodes Ricinus. L’animale può inoculare un virus nell’organismo umano attraverso piccoli morsi indolori. All’inizio questa malattia può essere confusa con una banale influenza appena fuori stagione (leggera febbre, mal di testa dolori muscolari che compaiono a una-due settimane dal morso), a cui segue (se trascurata o sottovalutata) una seconda fase con l’interessamento del sistema nervoso centrale. Ad oggi per questa infezione non esiste una cura mirata.

Inoltre la puntura di zecca può trasmettere anche altre patologie direttamente attraverso la bava del parassita, come la malattia di Lyme, causata dalla Borrelia Burgdorferi. La patologia porta inizialmente un arrossamento che si sposta lungo la pelle espandendosi progressivamente, cui si possono associare dolori alle articolazioni e qualche sintomo simile all’influenza. Dopo un certo tempo l’infezione si diffonde attraverso il sangue e può provocare meningite, polineuriti (infiammazioni del tessuto nervoso), turbe del ritmo del cuore con infiammazione delle cellule del miocardio, addirittura blocchi nella reazione dei nervi. Soprattutto i sintomi possono ricomparire anche a distanza di tempo, dopo una fase di latenza, sotto forma di artrite cronica o intermittente. Per questo è importante riconoscere il quadro e mettere in atto precocemente una terapia antibiotico mirata.

Prima regola, eliminare il nemico

Se si viene attaccati dalla zecca, la prima raccomandazione è di estrarre il parassita entro ventiquattr’ore, facendo attenzione a prelevare interamente il corpo e il rostro della zecca. In genere l’animale tende a stabilirsi nei punti più caldi e umidi, come il cuoio capelluto e le ascelle. La capacità di nascondersi, unita al fatto che quando morde la vittima la zecca emette sostanze particolari che anestetizzano la zona colpita, fa si che spesso il contatto non sia nemmeno avvertito.

Sul fronte delle contromisure, prima di tutto occorre prendere con pinzette a punte sottili la testa del parassita. Le pinze vanno posizionate il più vicino possibile alla pelle. Se necessario, l’operazione va effettuata servendosi di lenti d’ingrandimento. Quando si è “presa” la testa della zecca, occorre tirare lentamente ma con forza costante fino alla completa estrazione del parassita curando poi di disinfettare con cura l’area in cui è avvenuto il morso: se rimane una piccola parte dell’animale all’interno della pelle occorre chiedere al medico di effettuare la manovra.

È importante comunque ricordarsi di contattare il medico se dopo l’eliminazione completa della zecca permangono arrossamenti, dolore e febbre o se questi sintomi compaiono a distanza di tempo dall’incontro ravvicinato. Non serve invece tentare di asportare con forza la zecca o tentare di spostarla lateralmente. Si rischia solo che la testa rimanga incastrata nella pelle. Ricordate invece di lavorare sempre con le pinzette.