Una macchina perfetta, il cuore umano. Con un “motore” che viene sempre regolato, battito dopo battito. E che presenta dei passaggi che vanno regolati, attraverso valvole specifiche. Col tempo, o per la presenza di patologie, queste possono perdere la loro capacità di aprirsi e chiudersi correttamente.
Così magari si restringono, lasciando passare con maggiore difficoltà il sangue. Oppure possono perdere la loro capacità di tenuta, con il risultato che il sangue stesso refluisce verso l’indietro. Riconoscere ed affrontare queste situazioni è fondamentale. Lo ricordano gli esperti della Società Italiana di Cardiologia (SIC) che segnalano anche quanto e come, a fronte di casi che richiedono sempre e comunque l’intervento chirurgico classico, si possa sempre di più puntare su trattamenti “soft” di cardiologia Interventistica, come ricordano le linee guida presentate di recente dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) e dall’Associazione Europea di Chirurgia Cardiotoracica (EACTS) per il trattamento delle malattie valvolari.
Attenzione però. Questi tipi di interventi hanno però bisogno di una condivisione in team multidisciplinare che accompagni il paziente nel suo percorso e le nuove linee guida insistono su un concetto chiave: la decisione terapeutica deve essere personalizzata. Perché le classiche operazioni chirurgiche sono ancora molto importanti e mantengono precise indicazioni.
Per questo ogni caso deve essere valutato da un Heart Team, che rappresenta uno dei pilastri fondamentali per garantire ai pazienti con malattia valvolare un percorso terapeutico realmente su misura, sicuro ed efficace. Si tratta di gruppi multidisciplinari composti da cardiologi clinici, cardiologi interventisti, cardiochirurghi, cardioanestesisti, specialisti di imaging e geriatri.
Indice
Cosa fanno le valvole e come si ammalano
Tra gli atri ed i ventricoli e nel punto in cui il sangue viene spinto dai ventricoli nei vasi sanguigni si trovano delle valvole, che hanno il compito di regolare il flusso del sangue ed evitarne il viaggio a ritroso.
In perfetta sincronismo infatti queste strutture si aprono quando il sangue deve passare e si chiudono subito dopo evitando che si formino dei ritorni di sangue in senso antianatomico. Venendo alle denominazioni, parliamo di tricuspide e polmonare nel cuore destro, mitralica ed aortica in quello sinistro.
Tricuspide e mitralica si trovano tra atri e ventricoli, mentre la polmonare e l’aortica regolano il flusso di sangue dal cuore ai vasi. “Aortica, mitrale, tricuspide, in particolare sono le valvole cardiache in grado di aprirsi e chiudersi in maniera coordinata con il battito del cuore, consentendogli di pompare in modo efficace circa 7mila litri di sangue ogni giorno – commenta Pasquale Perrone Filardi, past president SIC e direttore del dipartimento di scienze biomediche avanzate dell’Università Federico II di Napoli.
Oltre metà della popolazione, andando avanti con l’età, presenta anomalie delle valvole cardiache, di grado almeno lieve o moderato, in particolare della valvola aortica e mitralica, con un impatto altissimo sulla qualità di vita e un rischio di mortalità fino al 50% a due anni dall’insorgenza dei sintomi”.
Le malattie valvolari si caratterizzano per un malfunzionamento di una o più valvole cardiache, che si restringono o non si chiudono più correttamente, impedendo il corretto passaggio di sangue dal cuore agli altri organi, con sintomi che includono dispnea, affaticamento, vertigini, dolore toracico e gonfiore agli arti inferiori, sebbene una quota significativa di pazienti rimanga asintomatica fino a stadi avanzati.
Come affrontare queste condizioni
“Le nuove linee guida europee, che aggiornano quelle del 2021 sulla base di recenti evidenze scientifiche, sottolineano l’importanza delle procedure minimamente invasive, che utilizzano microincisioni per l’inserimento di un catetere passando dalla gamba, per riparare o sostituire le valvole – rileva Ciro Indolfi, professore straordinario di Cardiologia all’Università di Cosenza e past-president SIC.
Ciò permette un recupero più rapido, con una degenza di pochi giorni, in anestesia locale, con risultati uguali o migliori rispetto alla chirurgia, con una mortalità ridotta. A beneficiare di queste nuove tecniche sarà una platea più ampia che include pazienti più giovani, a prescindere dal rischio operatorio, sia per l’impianto percutaneo di valvola aortica, che per la riparazione della valvola mitralica”.
Si tratta quindi di procedure “soft” che diventano, così, terapia standard al posto della chirurgia tradizionale. Un approccio estensivo che riguarda anche il trattamento della valvola tricuspide, per cui fino ad oggi non c’era alternativa alla chirurgia e che ora prevede la possibilità di una correzione percutanea con l’impiego di tecniche mininvasive, nei pazienti ad alto rischio operatorio.
Come si affronta la stenosi della valvola aortica nell’anziano
Gli esperti rilevano come in questo senso la TAVI, Transcatheter Aortic Valve Implantation, rappresenti un esempio classico. E diventa ora la procedura standard per il trattamento della stenosi aortica, una patologia che in Italia colpisce circa 1 milione di persone, che porta alla necessità di impianti in 250mila casi, il 2% della popolazione anziana.
Secondo Gianfranco Sinagra, presidente eletto della Società Italiana di Cardiologia e direttore della Scuola di specializzazione e della Struttura Complessa di Cardiologia dell’Università di Trieste, “la procedura consente di impiantare una valvola biologica senza necessità di intervento chirurgico e anestesia generale, con una piccola incisione nell’inguine, in cui viene inserito il catetere che raggiunge il cuore per portare la nuova valvola. La TAVI viene oggi riconosciuta come trattamento standard, già dai 70 anni, anziché dai 75. I nuovi dati hanno dimostrato che offre gli stessi risultati, se non migliori, della chirurgia tradizionale, anche in pazienti più giovani, a basso rischio operatorio”.
L’intervento si effettua in anestesia locale e consente una ripresa rapidissima. È un cambio epocale che riflette l’accumularsi di evidenze sulla sicurezza e l’efficacia della procedura, rendendola la strategia di scelta per la maggior parte dei soggetti con stenosi aortica severa e anatomia favorevole.
Cosa fare con mitralica e tricuspide
Un avanzamento altrettanto significativo riguarda il trattamento della valvola mitrale, la cui insufficienza è oggi molto diffusa. Si calcola che un qualche grado di insufficienza mitralica sia presente nel 90% dei pazienti con scompenso cardiaco e circa il 50% ha un’insufficienza di grado severo. Le linee guida 2025 consolidano il ruolo del trattamento mininvasivo, con piccole protesi, cioè pinzette metalliche in grado di avvicinare i lembi della valvola mitrale, permettendone una corretta chiusura.
“Questa procedura viene ora formalmente raccomandata come trattamento di prima scelta nell’insufficienza mitralica secondaria di tipo ventricolare, in cui la valvola non si chiude benché i lembi siano integri, poiché è dilatato il ventricolo sinistro – segnala Indolfi.
Se non si interviene, alla lunga, il cuore si scompensa e il paziente deve essere ricoverato ripetutamente, con una pessima qualità di vita e un aumento della mortalità. Sia l’impianto valvolare aortico che la correzione percutanea della insufficienza mitralica secondaria ci permettono, non solo di migliorare la qualità di vita del paziente e di ridurre le ospedalizzazioni, ma soprattutto di aumentarne la sopravvivenza”.
Infine, un capitolo del tutto nuovo riguarda le terapie transcatetere per la tricuspide, storicamente una delle valvole meno trattate e più tardivamente considerate, al punto di ricevere l’appellativo di “valvola dimenticata”, ma che vede oggi una crescente consapevolezza specialmente per via della frequenza sempre più alta con cui l’insufficienza tricuspidale colpisce i pazienti.
L’introduzione delle nuove tecniche mininvasive offre, quindi un’opzione terapeutica a chi non può affrontare il bisturi, mentre fino a poco tempo fa non c’erano alternative raccomandate al trattamento cardiochirurgico, pur con una prognosi sfavorevole. Le linee guida riconoscono in modo esplicito il ruolo delle tecniche mininvasive sia di riparazione sia di sostituzione.
“Queste opzioni sono ora considerate appropriate nei pazienti con insufficienza tricuspidale severa sintomatica che non possono essere sottoposti a chirurgia, offrendo un’alternativa nei pazienti ad alto rischio, che altrimenti sarebbero inoperabili – sottolinea Indolfi. Per la prima volta, il trattamento transcatetere della tricuspide entra in maniera strutturata all’interno del percorso decisionale raccomandato, con un approccio basato sulla valutazione multidisciplinare dei medici che seguono il paziente”.