In medicina quando si parla di tumore uroteliale si fa riferimento alle lesioni che nascono nei calici renali, negli ureteri, nell’uretra, solo per citare alcuni organi. Ma la forma più comune di questa lesione interessa la vescica, che condivide con tutti questi organi l’origine embriologica. Arrivare presto con la diagnosi è fondamentale. Ma quali sono i segnali d’allarme? E quali gli esami per scoprire la lesione.
Ecco, in sintesi, le informazioni che possono aiutare, ricordando l’impegno dell’Associazione Palinuro che ha messo in atto una campagna specifica indirizzata ai medici di medicina generale per contribuire alla costruzione di una maggiore consapevolezza riguardo alle possibili implicazioni dell’ematuria. Le donne dovrebbero essere indirizzate all’urologo sin dai primi sospetti e dovrebbero essere aiutate a familiarizzare maggiormente con questo specialista, considerato spesso tipicamente maschile.
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Le differenze tra donna e uomo
“Il tumore alla vescica è la nona causa di cancro al mondo e rappresenta circa il 3% delle diagnosi annuali di tumore maligno – spiega Sarah Scagliarini – Dirigente Medico Responsabile GOM Rene e Urotelio AORN Cardarelli di Napoli. L’incidenza del carcinoma uroteliale è di 3-4 volte superiore negli uomini rispetto alle donne”. Attenzione però: c’è il rischio che la donna sottovaluti la situazione.
“Le donne presentano spesso una malattia più aggressiva fin dalla diagnosi, che avviene in media con un ritardo superiore a 6 mesi – fa sapere l’esperta. Questo perché nelle donne, il tumore esordisce più spesso accompagnato da sintomi irritativi, che fanno inizialmente pensare a comuni infezioni del tratto urinario”. Insomma, bisogna evitare di prendere sotto gamba segnali che invece andrebbero riferiti al medico ed indagati di conseguenza.
“Bisogna ricordare alle donne che oltre allo screening collaudato per carcinoma mammario e per il tumore del collo dell’utero, è importante controllare l’apparato urinario e al primo campanello d’allarme bisogna parlarne con il medico di famiglia – commenta Scagliarini. Rispetto agli uomini, solo un terzo delle donne ritiene l’ematuria (cioè la presenza di sangue nelle urine) preoccupante. Nella maggior parte dei casi è vero, ma non bisogna trascurarla, perché i ritardi diagnostici possono avere conseguenze gravi”.
Attenzione a non ritardare la diagnosi
Il messaggio, insomma, è chiaro. L’ematuria, cioè la perdita di sangue con le urine, è il sintomo caratteristico del tumore uroteliale. Ma speso nelle donne viene attribuita a infezioni delle vie urinarie o si confonde con le perdite ginecologiche. Così, prima di arrivare ad una diagnosi, le donne devono effettuare anche più di tre consulenze urologiche, con un ritardo diagnostico maggiore di sei mesi.
Come cultura ed abitudine, l’uomo va dall’urologo mentre la donna va dal ginecologo e trascura l’ambito urologico – ricorda l’esperta. Per la diagnosi, il primo step è l’ecografia delle vie urinarie, da effettuare dopo un episodio di ematuria (soprattutto se ricorrente). Successivamente bisogna rivolgersi all’urologo, che potrà decidere di effettuare una cistoscopia diagnostica per valutare eventuali lesioni e programmare una biopsia tramite TURV”. L’importante quindi è arrivare presto.
Perché oltre a modificare la prognosi del quadro, la diagnosi precoce può consentire trattamenti meno “impegnativi” per l’organismo femminile. “Quando il tumore è troppo avanzato, infatti, vi sarà la necessità di una cistectomia radicale, che può portare nella donna, in particolare, alterazioni nervose, dispareunia, vulvodinia, vaginismo, incontinenza, devascolarizzazione e denervazione del clitoride – commenta l’esperta. Nel caso sia necessaria anche una ovariectomia, le donne vanno incontro a menopausa indotta, osteoporosi, problematiche cardiovascolari e, in alcuni casi, persino danno cognitivo”.
Consigli su misura
Se la ricerca a volte fa “torto” alla popolazione femminile, con una maggior rappresentanza maschile negli studi per i tumori della vescica e più in generale per le neoplasie uroteliali, occorre come che la donna faccia attenzione al proprio corpo. E che magari prediliga i controlli da un’urologa donna.
“Bisogna considerare che, in generale, le donne non sono equamente rappresentate nei trial clinici: sono infatti solo il 40% di tutta la popolazione inclusa nei trial di ricerca e questo numero scende sensibilmente se parliamo di studi sul carcinoma uroteliale – fa sapere Scagliarini. La donna in aggiunta ha la naturale predisposizione a dare priorità alla famiglia, rimandando le visite mediche meno piacevoli.
Il medico di famiglia può fare molto da questo punto di vista, ricordando alle pazienti la centralità della loro salute. Le donne infine potrebbero sentirsi più a loro agio confrontandosi con urologi donna, e perciò potrebbe aiutare avere più specialisti donna e più ambulatori dedicati al carcinoma uroteliale femminile”.
In ultimo, non bisogna dimenticare l’importanza della prevenzione. I fattori di rischio riconosciuti nel carcinoma uroteliale sono soprattutto due: il fumo (il tumore si riscontra più frequentemente nelle grosse fumatrici) ed esposizione professionale, che è meno impattante nelle donne.
Il problema del fumo nelle donne non è in diminuzione; nelle donne infatti non vi è nemmeno la riduzione dell’incidenza di tumore del polmone, come sta avvenendo negli uomini per la diminuzione dell’abitudine tabagica. “Al momento non sono riconosciuti altri fattori di rischio ma fanno eccezione le sindromi ereditarie familiari, come la sindrome di Lynch, nelle quali non va dimenticato il tratto urinario – conclude la specialista”.
L’importante, insomma, è conoscere e informarsi. L’Associazione PaLiNUro continua a fare informazione sulla diagnosi precoce e sui fattori di rischio, attraverso attività di divulgazione per far capire che il tumore uroteliale non colpisce solo gli uomini. Lo dicono i numeri: è in aumento proprio tra le donne e il fumo di sigaretta ne è la causa principale.