Tumore dell’ovaio, come si affronta e quanto conta la genetica

Il tumore ovarico è difficile da riconoscere precocemente perché si presenta con sintomi generici. Cure e test disponibili

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Poco più di 5000 casi l’anno in Italia. E, purtroppo, una diagnosi che difficilmente arriva quando la lesione è agli inizi, perché i primi sintomi sono spesso generici: gonfiore addominale, dolore nella parte bassa dell’addome, bisogno frequente di urinare, inappetenza. Insomma, sintomi generali. Per questo capita che il tumore ovarico sia difficile da identificare precocemente nella popolazione femminile generale.

Lo screening su ampie fasce di popolazione oggi non è possibile. Eppure, fare presto la diagnosi è fondamentale per l’approccio terapeutico. In questo senso, occorre ricordare che esistono geni predisponenti, come il classico gene “Jolie” o BRCA1, che assieme al BRCA2 incrementano il rischio di sviluppare la malattia (e anche altre patologie, come quella del seno) oltre a rappresentare per le mutazioni cellulari anche un target potenziale per le terapie, che risultano sempre più efficaci e personalizzate.

Quali sono le forme di tumore dell’ovaio e chi colpiscono

Il tumore ovarico comprende tutte le condizioni neoplastiche che originano appunto da questi organi entro cui si formano gli ovuli, dalle tube di Falloppio (che connettono le ovaie con l’utero) e dal peritoneo (il rivestimento della parete e degli organi addominali). Questi tumori vengono classificati in base alle cellule da cui originano: i più frequenti sono i tumori epiteliali.

Tra i tumori ovarici epiteliali, il sottotipo più comune è quello sieroso di alto grado.  Il carcinoma ovarico è ancora oggi tra i tumori più gravi a causa della sua elevata mortalità, legata soprattutto alla mancanza di strumenti di screening o di diagnosi precoce e alla presenza di sintomi poco riconoscibili, motivi per cui viene diagnosticato in fase avanzata in circa l’80% dei casi. In genere Nella popolazione femminile è comunque l’ottava neoplasia più frequente.

Può colpire a tutte le età, con un aumento dell’incidenza dopo la menopausa, tra i 50 e i 69 anni. Tende però a comparire più precocemente nelle portatrici di mutazioni a carico dei geni BRCA 1 e 2, che rappresentano circa il 25% dei casi. Per questo sapere di essere portatrici della mutazione dei geni BRCA1 e 2 rappresenta una strategia di prevenzione primaria perché consente di proporre alle donne portatrici della mutazione, un approccio medico o chirurgico di riduzione del rischio che consente di prevenire la malattia in un numero considerevole di pazienti.

Quando parlare con il medico e quanto pesa la genetica

Come detto, i sintomi sono generici e vengono spesso confusi con quelli di altre patologie, come la sindrome del colon irritabile. I più comuni sono: gonfiore persistente dell’addome, fitte addominali, bisogno frequente di urinare, inappetenza e/o sensazione di sazietà anche a stomaco vuoto, perdite di sangue vaginali (in assenza di ciclo mestruale), comparsa di stitichezza o diarrea. Quando questi sintomi compaiono frequentemente o sono persistenti è importante rivolgersi al ginecologo.

Tra i fattori di rischio troviamo: età; familiarità per tumore dell’ovaio, della mammella, dell’utero, dell’intestino; altri tumori pregressi agli stessi organi; alterazioni genetiche ereditarie (mutazioni del gene BRCA1 possono aumentare il rischio di sviluppare il tumore di circa il 40-50%, mentre mutazioni del gene BRCA2 possono aumentarlo del 10-30%. Esistono poi alterazioni di altri geni che concorrono a definire il rischio); vita riproduttiva (menarca precoce, nulliparità, prima gravidanza in età avanzata, menopausa tardiva).

Tra i fattori protettivi troviamo: assunzione della pillola anticoncezionale per un periodo di almeno 4 anni in giovane età, associata a una riduzione del 50% del rischio di malattia; gravidanze.

Cosa cambia a causa dei geni

Per le donne è fondamentale fare la visita ginecologica ogni anno, pur se solo attraverso esami specifici come l’ecografia trans-vaginale si può arrivare ad una diagnosi. Ma attenzione. I geni possono sparigliare le carte perché la situazione cambia quando si parla di tumori che possono avere una connotazione genetica.

In questo caso, ovaio e mammella sono i due organi “bersaglio” da tenere in grande considerazione in caso di positività per i geni BRCA1 e 2. La presenza della mutazione del gene BRCA1, mediamente, innalzerebbe dell’85 per cento per cento il rischio di sviluppare un tumore maligno al seno e del 50 per cento quello di andare incontro al cancro dell’ovaio. Ovviamente queste situazioni vanno studiate ed è importante che ogni donna sappia che ha diritto ad una consulenza genetica in caso di sospetto su questo fronte.

Soprattutto, in caso di positività per il gene BRCA1, occorra studiare protocolli di monitoraggio mirati su ogni singola donna e si può proporre, in chiave preventiva e dopo che la donna stessa ha realizzato il proprio desiderio di maternità, un’eventuale asportazione preventiva di questi organi che possa evitare lo sviluppo possibile di un tumore.

Ricercare il gene impatta sulle cure

Negli ultimi tempi, le opportunità di cura per il tumore ovarico sono costantemente aumentate. E la ricerca propone per il futuro ulteriori soluzioni oltre alla chirurgia e alla chemioterapia, grazie a farmaci “su misura” in base alle caratteristiche delle cellule. Non solo. In caso di recidiva si sta puntando anche su chemioterapici legati a un anticorpo. L’anticorpo riconosce sul tumore un particolare recettore e porta il farmaco direttamente nel tumore stesso che poi lo internalizza, con un effetto “cavallo di Troia”. Quindi, invece di immettere il chemioterapico nel circolo sanguigno e sperare che colpisca il tumore, il farmaco viene veicolato in modo mirato, in alta concentrazione e con efficacia maggiore.

Insomma, le cure aumentano costantemente. Ma attenzione. Effettuare il test BRCA rimane fondamentale, già al momento della diagnosi. Il risultato del test ha sia un’implicazione terapeutica che un valore prognostico: le pazienti con mutazione BRCA hanno una prognosi migliore e rispondono meglio in generale a specifici trattamenti. Effettuare il test ha inoltre un valore preventivo, visto che le donne con la mutazione presentano un maggiore rischio di sviluppare anche altri tumori.