Perché occorre attenzione all’osso in caso di tumore della mammella

Le terapie ormonali adiuvanti per il tumore al seno possono mettere a rischio la salute delle ossa in termini di fragilità: come proteggersi

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 22 Giugno 2022 16:07

Quando si scopre un tumore della mammella, inizia un percorso di cura. Chirurgia, radioterapia, farmaci specifici in base alle caratteristiche della cellula neoplastica. Il team che segue la donna integra al meglio queste ed altre opportunità terapeutiche, per dare la risposta mirata ad ogni paziente. Ma a volte, insita nelle stesse cure c’è anche la possibilità che ci siano effetti da monitorare, che vanno oltre al trattamento.

È il caso ad esempio di ciò che può accadere, a fronte di specifiche terapie, alla salute delle ossa in chiave di possibile fragilità. È il messaggio che emerge dalla campagna “Ora pOSSO le donne con tumore al seno contro la fragilità ossea”, che prende in esame soprattutto gli effetti dei trattamenti ormonali mirati agli estrogeni sul metabolismo delle ossa. Si tratta di una situazione da comprendere e valutare caso per caso considerando che circa otto pazienti operate al seno su dieci ricevono terapie ormonali adiuvanti.

A livello scheletrico la riduzione repentina dei livelli di estrogeni indotta dalle terapie ormonali adiuvanti espone le pazienti a un’alterazione della qualità ossea e a un maggiore riassorbimento osseo, con aumento del rischio di fratture da fragilità anche per traumi minori, spesso anche con valori di densità minerale ossea normali. È per questo importante intervenire in maniera tempestiva con terapie in grado di ridurre fino al 50% il rischio di fratture da fragilità.

Terapia ormonale e salute ossea

Come spiega Maria Luisa Brandi, Presidente dell’Osservatorio Fratture da Fragilità, “in condizioni normali, dopo la menopausa, il nostro corpo continua a produrre gli ormoni estrogeni ricavandoli dagli ormoni androgeni attraverso un enzima, detto aromatasi, che funge da trasformatore. Da un ormone androgeno potente come il testosterone viene per esempio ricavato l’altrettanto potente ormone estrogeno estradiolo, mentre da un androgeno meno potente come l’androstenedione deriva l’estrone, estrogeno dalle medesime caratteristiche”.

Nelle pazienti già in menopausa colpite da tumore al seno la produzione di ormoni estrogeni viene del tutto annullata dalle terapie ormonali adiuvanti basate sugli inibitori dell’aromatasi, nelle donne in età fertile, nelle quali le ovaie sono fonte importante di estrogeni, gli inibitori dell’aromatasi vengono associati a analoghi dell’LH-RH per bloccare la produzione di gonadotropine a livello dell’ipofisi, inducendo di fatto una menopausa precoce.

“Viene così indotta una menopausa che possiamo definire acuta, perché se per una donna il naturale passaggio a questa condizione avverrebbe invece nel tempo e in modo graduale, lasciando tra l’altro sempre una minima produzione di estrogeni, nelle donne in terapia per tumore al seno vengono invece tolti improvvisamente di mezzo tutti gli estrogeni – spiega l’esperta. Non c’è quindi da stupirsi del fatto che questo forzato e repentino cambiamento porti con sé una sintomatologia altrettanto acuta, che tocca per prima cosa le articolazioni, con le pazienti in trattamento che denunciano dolori ovunque. Successivamente compaiono i problemi scheletrici collegati a un maggiore riassorbimento osseo, con l’aumento del rischio di fratture da fragilità ossea, indipendentemente dalla densità minerale ossea”.

Come nasce la frattura da fragilità

Le fratture da fragilità sono definite proprio dal trauma che le provoca: una banale caduta da posizione eretta come da seduti, un piccolo urto, addirittura il semplice fatto di sollevare un vaso, di distendersi verso l’alto o ancora di girarsi nel letto. Tutti traumi minori, che però possono portare alla frattura dell’avambraccio (la parte più colpita in assoluto) o magari di una vertebra.

“Ma le nostre ossa non dovrebbero essere così deboli, cadiamo tante volte nella vita e per fratturarci ci vuole un trauma importante: questi infortuni sono invece la conseguenza della terapia ormonale adiuvante, fondamentale per la prevenzione di recidive del tumore al seno ma che purtroppo comporta anche questi effetti collaterali – fa sapere la Brandi. Con l’anamnesi si può indagare la presenza di altri fattori di rischio come la familiarità, l’aver già avuto fratture da fragilità, il seguire una dieta povera di calcio, l’aver avuto una menopausa precoce, l’essere stata curata in precedenza con farmaci cortisonici”.

Deve essere fatta anche un’analisi molto attenta del metabolismo osseo, per verificare i parametri di “turnover” del rimodellamento osseo, che solitamente in queste pazienti sono molto elevati. In ogni caso, quando una donna deve seguire una terapia ormonale adiuvante cronica, nel senso che va condotta per almeno 5 anni e può arrivare a 10, è indispensabile che venga anche impostata una terapia di prevenzione delle fratture, anche se purtroppo in questi casi ciò non avviene ancora di “default”.

Come comportarsi? “Esistono specifici farmaci detti antiriassorbitivi, perché appunto contrastano il riassorbimento osseo collegato al blocco degli estrogeni conclude l’esperta. I primi a essere stati rimborsati per queste pazienti sono gli aminobifosfonati, somministrabili per via orale oppure endovenosa con una frequenza che può variare da una volta la settimana a una volta l’anno, a seconda del farmaco utilizzato per la terapia ormonale adiuvante.

Oggi abbiamo anche a disposizione un anticorpo monoclonale che blocca il riassorbimento osseo molto potentemente che viene somministrato per via sottocutanea una volta ogni 6 mesi. Ovviamente le terapie antiriassorbitive vanno sempre assunte in combinazione con un adeguato apporto di calcio e vitamina D. Se serve una supplementazione di vitamina D, si suggeriscono 1.000 unità al giorno per donne in menopausa o in età avanzata, in quantità invece inferiore (a discrezione dello specialista) per donne più giovani, non ancora in menopausa. È inoltre consigliata una moderata esposizione al sole, perché sono i raggi UV a stimolare la sintesi della vitamina D da parte del nostro organismo: specie nella bella stagione 30 minuti al giorno, scoprendo braccia, gambe, collo e testa, possono essere utili ad aiutare la salute delle ossa. La supplementazione con calcio è suggerita se la dieta non ne apporta abbastanza”.