Farne a meno è difficile. Perché abbiamo bisogno della sensazione di fresco e del piacere per il palato che possono dare un cono o una coppetta ricolmi di gelato. Ed è giusto lasciarsi andare a qualche peccato di gola. Non dimentichiamo mai che il gelato è un alimento. E può essere d’aiuto per star bene a tutte le età.
Non è solamente fresco e buono, ma in qualche caso può addirittura essere indicato per la salute. E non solo per i bambini, che trovano importanti nutrienti, ma anche e soprattutto per gli anziani che vivono in città Per chi rimane solo, infatti, non sempre l’alimentazione è sufficiente ad offrire quello di cui il corpo ha bisogno. A volte si rischia di andare incontro ad una dieta povera di fattori nutritivi essenziali perché non si esce a comperare cibi freschi e nutrienti. Per tutti, quindi, il gelato può rappresentare una vera e propria sorgente naturale e gustosa di proteine e zuccheri. Facendo ovviamente attenzione ai grassi.
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Quante calorie ha il gelato?
Andiamo con ordine, a partire dalle calorie. Nonostante quello che si pensa, il gelato non è un temibile nemico della bilancia. Ma va inserito nell’alimentazione di ogni giorno e nelle sane abitudini, prima tra tutte l’attività fisica regolare, che ci consentono di mantenerci in forma e di rispettare il metabolismo.
In termini generali, ad ogni modo, il gelato contiene circa 200-250 calorie l’etto: le proteine rappresentano circa il quattro per cento (calano nei gelati di frutta che a volte vengono anche preparati senza il latte), i grassi il 12-13 per cento del totale e gli zuccheri il 20 per cento. Per cui è sicuramente meno “pericoloso” per la linea di altri dolci a base di panna o crema, in cui la presenza di acqua e liquidi è molto minore.
Come se non bastasse gli alimenti più “pesanti” possono risultare risultano meno digeribili perché più ricchi di grassi e poveri in acqua. In media un gelato infatti è costituito dal 60 per cento di acqua, e la percentuale può addirittura salire di molto quando si preferiscono i gusti alla frutta, con conseguente calo dell’apporto calorico. In questi gelati infatti si può ridurre il latte e anche fare a meno della panna, che invece è ingrediente tipico nelle creme. Non ci sono quindi particolari problemi per chi non vuol rinunciare al fresco piacere di questo alimento. Un avvertimento solo per le persone in sovrappeso, di tutte le età. Scegliete comunque gusti di frutta, per quanto già emerso. E se mangiate il gelato, rinunciate a qualcosa di altro. Altrimenti la “bilancia” del corpo può sgarrare.
Cos’è il mal di testa da gelato
Gli esperti lo chiamano “Brain Freeze”. In qualche modo lo abbiamo provato tutti, soprattutto di fronte ad un ghiacciolo o una granita, ma anche con un gelato appena tolto dal freezer. Si inizia a mangiare e compare il mal di testa. Il fenomeno è legato proprio all’introduzione del cibo o della bevanda fredda nell’organismo. Il brusco stimolo freddo infatti induce una reazione difensiva nasce da una sorta di percezione errata del cervello stesso, che in pratica cerca di reagire alla modificazione termica. Lo stimolo che viene indotto dal calo termico improvviso, “percepito” dalla grande quantità di vasi sanguigni presenti all’interno della bocca, inviai quindi una specie di “segnale d’allarme” al sistema nervoso. Quasi sempre la cefalea inizia il via in corrispondenza del naso e risale verso la fronte.
Nessuna paura, è il caso di ricordarlo: questa forma di mal di testa, sicuramente fastidiosa, è comunque destinata a scomparire in pochissimo tempo. Addirittura il meccanismo, ovviamente in modo del tutto indipendente dal gelato o dalla granita che sono del tutto incolpevoli in questo senso, potrebbe diventare un modello di studio per lo sviluppo di nuove strategie di cura di alcune forme di emicrania o per la temutissima cefalea a grappolo. Si tratta, sia chiaro, di dolori del tutto diversi e purtroppo ancora in cerca di una cura definitiva.
Cos’è il riflesso gastrocolico da gelato
Ci sono persone che, appena mangiano un gelato (magari con eccessiva fretta), sentono immediatamente stomaco ed intestino che si muovono. Ed iniziano borborigmi, a volte aerofagia, addirittura crampi e dolori di pancia. Il tutto per una sorta di “sommovimento” a carico dell’intero apparato digerente.
Come ridurre i rischi senza rinunciare al piacere? Ricordate che la fretta è cattiva consigliera, soprattutto se il gelato è a temperatura particolarmente bassa o se magari puntate sulla granita, un alimento che ancor più facilmente può interferire sulla “normalità” termica dell’organismo. La lentezza e il piacere rilassato nel consumo di gelati e alimenti refrigerati diventa fondamentale per chi soffre di qualche piccolo problema di intestino, ovvero si debbono fare i conti con quello che gli esperti chiamano colon irritabile.
In parole più semplice, se vi trovate ad affrontare la classica colite ricordate che il freddo può stimolare un particolare riflesso (si chiama gastrocolico), che favorisce i movimenti dell’intestino. E quindi la bassa temperatura potrebbe peggiorare la situazione in chi ha problemi di questo tipo. Tuttavia, basta mangiare poco a poco coni e coppette, senza troppa fretta, per evitare problemi. Ancora. Per chi ha i calcoli alla colecisti meglio i gusti di frutta. E non solo per il palato. Infatti cioccolato, uova e panna possono anche stimolare l’attività di questo organo e quindi scatenare, specie in chi già beve molti caffè, piccole coliche. Ovviamente, solo quando davvero si esagera. Per il resto, buon appetito. Anche se c’è’ qualche linea di febbre, perché il gelato può essere gradito a chi è temporaneamente inappetente. E senza “pesare” troppo sulla digestione.
Lattosio e gelato, quali sono i sintomi
Il gelato classico contiene latte o panna, presente in particolare in alcuni tipi di crema. Questi componenti, fatta salva la grande percentuale di acqua che compone il gustoso alimento, possono creare qualche disturbo in chi ha problemi d’intolleranza al lattosio, a volte non riconosciuti.
In questi casi non si riesce a digerire del tutto o in parte questo zucchero naturale che si trova nel latte e nei latticini. La produzione della lattasi, l’enzima che governa la capacità di digerire il lattosio, raggiunge il suo apice alla nascita in preparazione dell’allattamento materno e si riduce dopo lo svezzamento in funzione dell’ampliamento dell’alimentazione. I sintomi più frequenti dell’intolleranza al lattosio sono meteorismo, dolore e gonfiore addominale, diarrea, flatulenza, nausea e vomito. Ma non fate l’autodiagnosi, magari senza riflettere sul fatto che prima del delicato fine pasto avete consumato grandi quantità di alimenti ricchi di grassi e condimenti e quindi è a questi che dovete far riferimento per spiegare i sintomi.
Riconoscere una reale intolleranza al lattosio richiede un semplice controllo, del tutto indolore, che si chiama Breath Test, che rappresenta l’esame standard da proporre a chi sospetta di essere intollerante al lattosio. Il Breath Test prevede la somministrazione di una soluzione con una dose nota di lattosio e la valutazione su un apparecchio della produzione di idrogeno da parte dei batteri dell’intestino. Va fatto sospendendo sospendere gli antibiotici quindici giorni prima dell’esame e l’assunzione di fermenti lattici, lassativi o antidiarroici almeno tre giorni prima. In ogni caso, per chi presenta problemi di questo tipo, non dimenticate che alcuni gusti sono preparati senza latte e derivati, come ad esempio quelli alla frutta, ad eccezione del cocco e della banana, i sorbetti fatti con acqua ed il gelato al cioccolato extra fondente.
Intolleranza ed allergia al latte
L’intolleranza al lattosio va distinta dalla classica allergia alle proteine del latte, che interessa soprattutto i bambini e può essere ben più grave, al punto di condurre anche a shock anafilattico. Il quadro che provoca può essere molto diverso da persona a persona, e dipende molto da altre variabili, come ad esempio la quantità di lattosio che si ingerisce (è ben diverso bere un bicchiere di latte dal consumarne diverse tazze al giorno), dall’età (i bambini hanno in genere un quantitativo maggiore di enzima preposto a scindere rendere disponibile questo zucchero del latte, poi nell’adulto la produzione dell’enzima stesso è legata solamente allo stimolo indotto dall’ingestione di lattosio) e dalla velocità di svuotamento del tubo digerente.
Incide molto inoltre anche la composizione della flora batterica intestinale, quello che gli esperti chiamano microbiota: ci sono alcuni batteri “buoni”, come ad esempio i lattobacilli, che possono utilizzare il lattosio. Quindi se esistono colonie particolarmente sviluppate i sintomi possono essere anche impercettibili, pur in presenza di un’alterazione biochimica dell’enzima.