Rischio infarto nelle donne, scoperto un possibile “segnalatore” femminile

Uno studio ha individuato un possibile indicatore di rischio infarto nelle donne, specialmente in menopausa, se i livelli sono bassi

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 22 Ottobre 2024 18:43

Più si va avanti con l’età, tanto più cresce il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare. Capita a tutti, ma per le donne i pericoli dopo la menopausa crescono in modo sempre più significativo, fino a portare ad un vero e proprio sorpasso legato alla mortalità per infarto e per le sue conseguenze nelle età più avanzate.

Capire chi è a maggior rischio appare fondamentale in questo senso, anche per mettere in atto una prevenzione mirata, con particolare attenzione agli elementi che più possono danneggiare le arterie coronariche e la circolazione. In questo senso, la ricerca propone ora un possibile “indicatore” del maggio rischio femminile. Si chiama anti-PC. A segnalare questa opportunità è uno studio condotto dagli scienziati dell’Istituto svedese Karolinska, apparso sul Journal of American College of Cardiology.

Se la Anti-PC è bassa, i rischi aumentano

L’infiammazione, si sa, è un parametro fondamentale nella genesi delle lesioni arteriose che possono poi condurre all’ostruzione delle arterie coronariche e quindi ad un rischio di ischemia. Ed è proprio sul meccanismo dell’infiammazione che si concentrano le osservazioni sul nuovo possibile indicatore di rischio. Infatti lo studio mostra come l’associazione possibile tra i livelli ridotti di uno specifico anticorpo antinfiammatorio e il rischio di infarto e malattie coronariche.

In particolare, l’attenzione degli esperti si concentra sui ridotti livelli di anticorpi alla sostanza grassa fosforilcolina, chiamata anti-PC. Un basso valore di questi anticorpi (come del resto accade nei maschi) potrebbe essere quindi impiegato come possibile marcatore di rischio per le malattie cardiovascolari anche nelle donne, indipendentemente dalla presenza dei classici elementi che mettono in pericolo il cuore, dall’aumento del colesterolo LDL fino all’ipertensione, al sovrappeso, al diabete di tipo 2 e al fumo. I fattori di rischio precedentemente noti.

La presenza dell’anticorpo, con conseguente attività antinfiammatoria, potrebbe infatti giocare un ruolo importante in chiave di protezione dall’infiammazione cronica che può favorire la comparsa dell’aterosclerosi.

Occorre scoprire i valori “accettabili”

Lo studio è stato condotto utilizzando la Swedish Mammography Cohort (SMC) e ha seguito 932 donne con un’età media di 66 anni per 16 anni. Di queste, 113 donne hanno sviluppato malattie cardiovascolari. I risultati mostrano che le donne con un alto livello di anticorpi anti-PC avevano un rischio inferiore del 25 percento di coronaropatia e infarto.

Manca però un’informazione importante. Pur se si rivela l’associazione, infatti, non si è ancora in grado di definire quali debbano essere i valori che si possono considerare protettivi. E di conseguenza non si può ancora parlare di una soglia oltre la quale bisognerebbe salire per limitare i rischi. Questo è l’obiettivo delle prossime ricerche.

Cosa potrebbe cambiare

Comprendendo meglio il ruolo di questo specifico marcatore di rischio per il cuore femminile, insomma, potrebbe modificare e rendere ancor più accurato il percorso di prevenzione per il cuore femminile. Ma occorrono molte più informazioni, che possono venire solamente da studi ben più ampi.

Se tutto andasse come si auspica, peraltro, oltre a proporre una maggior attenzione nel controllo dei fattori di rischio nelle donne con valori estremamente ridotti di anti-PC si potrebbe pensare ad una sorta di terapia immunitaria, quasi una sorta di “vaccinazione” difensiva, in grado di aiutare le donne che presentano queste caratteristiche.

Al momento, comunque, non si può dire nulla sul domani. Rimane la realtà di una condizione che va comunque controllata, anche alla luce del rischio cardiovascolare, spesso sottovalutato, nelle donne. Basti pensare in questo senso agli obiettivi che sancisce il documento The Lancet Women and Cardiovascular Disease Commission. Si punta a ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione femminile a livello globale entro il 2030, partendo dal fatto che a tutt’oggi ne rappresentano la prima causa di mortalità. Per questo ci vuole un approccio ideale di prevenzione, caso per caso.