Immunoterapia per tumore al polmone, scoperta mutazione che può aiutare la cura

Scoperta la mutazione di un gene che potrebbe rendere più efficace l'immunoterapia per i tumori polmonari non a piccole cellule

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

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Arriva una scoperta importante per il futuro della sfida ai tumori polmonari non a piccole cellule, ovvero la forma più frequente. I ricercatori italiani sono in prima linea in uno studio che ha individuato una mutazione genetica, presente in circa il 5% dei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule, che risulta associata ad una risposta più efficace e duratura all’immunoterapia.

A dirlo è appunto uno studio internazionale coordinato dal Dana-Farber Cancer Institute in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE).

Perché è uno studio importante

L’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento del tumore al polmone, ma solo una parte dei pazienti ne trae beneficio. Comprendere perché alcuni rispondono e altri meno è una delle grandi sfide dell’oncologia di precisione. Lo studio ha identificato nella mutazione del gene DNMT3A un potenziale biomarcatore di risposta all’immunoterapia nei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule.

In parole semplici: è come se, nei tumori con questa mutazione, si accendessero dei “fari” che attirano meglio le difese immunitarie. I pazienti con la mutazione hanno mostrato tassi di risposta quasi doppi rispetto agli altri, oltre a una sopravvivenza globale significativamente più lunga.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Annals of Oncology, apre la strada a nuovi sviluppi terapeutici: in un prossimo futuro, potrebbe essere possibile potenziare l’efficacia dell’immunoterapia agendo proprio sul gene DNMT3A, con farmaci che ne modulano l’attività.

A chi potrebbe servire

Come detto, questa mutazione non è presente in tutti i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule. In particolare, la mutazione è presenta in circa un paziente su 20 con tumore del polmone non a piccole cellule. Il gene DNMT3A è coinvolto in un processo naturale chiamato metilazione, che regola l’attività dei geni agendo come un interruttore: può “spegnerli” senza modificare il loro codice.

La sua mutazione sembra rendere il tumore più riconoscibile al sistema immunitario e quindi più vulnerabile all’azione degli inibitori del checkpoint immunitario (PD-1/PD-L1).

Lo studio internazionale ha coinvolto oltre 1.500 pazienti in centri di eccellenza, tra cui il Dana-Farber di Boston, il Memorial Sloan Kettering di New York, il Gustave Roussy in Francia e l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, con un ruolo chiave anche del giovane ricercatore Stefano Scalera, under 40 dell’IFO, che ha contribuito alle analisi bioinformatiche.

“Questa scoperta – spiega Marcello Maugeri-Saccà, co-autore senior dello studio e ricercatore clinico presso il Clinical Trial Center dell’IFO – ci consente di identificare un sottogruppo di pazienti che può beneficiare in modo particolarmente efficace dell’immunoterapia, rendendo le scelte terapeutiche più mirate e personalizzate”.

“La nuova evidenza – sottolinea Federico Cappuzzo, Direttore dell’Oncologia Medica 2 dell’IRE – dimostra quanto sia strategica la comprensione delle alterazioni molecolari per selezionare meglio i pazienti e massimizzare l’efficacia dell’immunoterapia”.

Quanto impatta il tumore polmonare

In Italia, nel 2023, si pensa che ci siano state circa 44.000 nuove diagnosi di tumore del polmone. Soprattutto, se è vero che questa forma è la seconda per frequenza negli uomini, preoccupa la costante ascesa dei casi nelle donne. Attualmente rappresenta il 6% circa dei tumori femminili.

Sempre stando ai dati disponibili in genere il tumore compare tra i 55 e i 75 anni, anche se si riscontrano sempre di più nuovi casi in giovani adulti di 40-50 anni. La scienza, va detto, sta trovando soluzioni sempre nuove su questo fronte anche per migliorare sempre di più quanto accade: la percentuale di sopravvivenza a seguito di una diagnosi di tumore del polmone è inferiore a quella di altre neoplasie dal momento che difficilmente questo cancro viene individuato in fase iniziale.

Quindi da un lato bisogna arrivare prima possibile, dall’altro si stano studiando strategie di cura sempre più efficaci e mirate, per migliorare i dati che mostrano come la sopravvivenza a 5 anni sia di circa il 16% degli uomini e del 23% delle donne.

Le diverse forme di tumore polmonare

Ogni tipo di tumore polmonare va affrontato con un approccio specifico, sempre tenendo presente che la diagnosi precoce è fondamentale per la prognosi. La cura va quindi studiata dal Team di esperti caso per caso. In generale, nel tumore a piccole cellule (ovvero la forma più rara), l’approccio standard prevede cicli di chemioterapia e radioterapia, raramente si opera.

Nel nel tumore non a piccole cellule invece, la chirurgia resta il principale standard di cura quando possibile. Se il tumore è in fase iniziale si procede con la chirurgia e la chemioterapia spesso associata alla radioterapia. Quando il tumore è in fase avanzata o metastatica si procede con le terapie farmacologiche, come la chemioterapia, le terapie target e l’immunoterapia.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.