Favismo: come nasce l’anemia, come si presenta e come si affronta

Il favismo è un'anemia emolitica che dipende dalla carenza dell'enzima G6PD: come riconoscere i sintomi e come curarla

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Gli esperti le chiamano anemie emolitiche. Si tratta di un gruppo di malattie caratterizzate appunto dall’emolisi, un processo che porta alla distruzione dei globuli rossi. Una di queste forme è legata alla carenza o comunque alla diminuita funzione di un particolare enzima, caratterizzato dalla sigla G6PD (Glucosio-6-fosfato-deidrogenasi). In questi casi si parla di favismo.

Cosa si verifica nell’organismo

I globuli rossi sono fondamentali per numerose funzioni all’interno del corpo umano. La principale consiste sicuramente nella loro capacità di trasportare, attraverso l’emoglobina che contengono, l’ossigeno che serve per la funzione degli organi. Quando si verifica il deficit di G6PD si realizza una distruzione di un gran numero di globuli rossi e di conseguenza compaiono tutti i segni dell’anemia.

Attenzione. Stiamo parlando di un quadro estremamente diffuso, tanto da rendere il favismo uno dei più comuni deficit di enzimi. In Italia, stando alle cifre, ne soffrirebbero circa 400.000 persone, in forma più o meno intensa. Il quadro può assumere caratteristiche diverse, anche in considerazione del livello di deficit enzimatico che si realizza. L’elemento comunque è la comparsa, in condizioni di stimolo nutrizionale, di una forma acuta di anemia. Il problema è legato al fatto che il G6PD si trova in gran parte proprio dentro gli eritrociti, l’altro nome scientifico con cui si identificano i globuli rossi.

Perché di favismo soffrono soprattutto gli uomini

Quando si parla di carenza enzimatica, ovvero scientificamente di enzimopenia, la situazione non è la stessa nel genere maschile e femminile. Gli uomini rischiano di più sintomi seri. Come mai? Tutto dipende dalla modalità di trasmissione genetica del deficit di G6PD. Il corredo cromosomico maschile è infatti caratterizzato dalla presenza di un cromosoma sessuale X e da uno Y. Il gene per la produzione dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) si trova sul cromosoma X. Quindi, in presenza del gene difettoso, il problema è destinato a manifestarsi in forma più seria.

Nelle donne invece il corredo cromosomico prevede due cromosomi X, con il gene che caratterizza il difetto enzimatico presente su uno solo di questi. In presenza dell’altro gene sano, quindi, si crea una sorta di “bilanciamento” genetico che consente di limitare in genere l’intensità del quadro clinico. Sul fronte della genetica, poi, va ricordato che la possibilità di trasmissione varia se la femmina è portatrice del gene o altrimenti lo è il maschio. Nel primo caso se la mamma è portatrice del gene difettoso c’è il rischio di trasmissione per il 50% ad ogni gravidanza ai figli. I maschi trasmetteranno il gene difettoso alle figlie.

Perché si scatenano le crisi emolitiche quando si mangiano le fave

L’emolisi si scatena in presenza di due particolari sostanze che si trovano nelle fave, e non negli altri legumi, se non in quantità davvero minima. Si chiamano vicina e convicina. Va anche detto che questo effetto di emolisi, ovviamente nei soggetti predisposti, può essere legato ad alcuni farmaci e a sostanze specifiche. Per questo è sempre fondamentale avere come punto di riferimento uno specialista ematologo, che può offrire tutte le informazioni necessarie ad affrontare il quadro. Sempre ricordando che è assolutamente da evitare il contatto con le fave.

Come si manifestano le crisi emolitiche

L’ingestione delle fave può scatenare le crisi. Per questo ci sono persone che pur avendo un calo di produzione di G6PD, possono non avere alcun disturbo per anni e quindi non presentare sintomi. Questi compaiono solo in corrispondenza del “rapporto pericoloso” che le fave che caratterizza appunto il favismo. A quel punto si può avere un’anemia più o meno seria, legata appunto all’emolisi più o meno diffusa per la distruzione dei globuli rossi.

I segni e i sintomi più classici sono quindi quelli dell’anemia, che ovviamente si presenta in forma acuta. La carenza di ossigeno per l’organismo porta innanzitutto il cuore a battere con una maggior frequenza, quindi si parla di tachicardia. Non solo. Ovviamente ci si sente stanchi, può comparire qualche linea di febbre, si possono manifestare mal di pancia. Soprattutto, la distruzione massiccia dei globuli rossi può dar luogo all’ittero, cioè alla comparsa di una colorazione giallognola degli occhi e della pelle. I problemi si manifestano temporalmente in base alla risposta dell’organismo all’ingestione delle fave. Possono quindi comparire entro poche ore o a volte dopo pochi giorni.

Come si riconosce il favismo

Visto che a determinare l’anemia in questo caso è la mancata o comunque ridotto attività dell’enzima G6PD, è proprio questo il parametro discriminante per capire se la distruzione dei globuli rossi è dovuta al favismo o ad altre cause di anemia emolitica. L’esame, come ricordano gli esperti, va eseguito quando non è in corso una crisi emolitica. I risultati consentono di comprendere se l’enzima è presente, e in quale quantità. Sulla scorta dei risultati alla persona viene poi indicato quali sostanze evitare per limitare i rischi futuri.

Cos’è la bilirubina e come mai determina l’ittero

La bilirubina è, in termini generali, lo “scarto” più importante della morte dei globuli rossi. Nasce infatti in seguito alla distruzione dell’emoglobina, la sostanza presente nelle unità del sangue che ha il compito di legare l’ossigeno per portarlo a tutte le aree del corpo. La bilirubina si forma quindi nella milza, dove i globuli rossi terminano la loro esistenza, e passa direttamente al fegato giungendovi attraverso i vasi sanguigni. Una volta formatasi la bilirubina giunge al fegato, attraverso il torrente circolatorio e viene “trattata” chimicamente. A questo punto sotto forma di bilirubina coniugata o diretta (frazionata, diretta) viene secreta nella bile e quindi espulsa nell’intestino.

Nell’adulto sano la bilirubina diretta dovrebbe essere pressoché assente, mentre quella totale dovrebbe essere compresa entro valori ben precisi. L’aumento del valore di bilirubina totale può indicare: un’eccessiva distruzione di globuli rossi; diverse forme di epatite o altre patologie epatiche, un blocco della strada attraverso cui la bile giunge all’intestino. Invece se aumenta di molto la bilirubina diretta indica che esiste un blocco parziale o totale dell’emissione della bile. Questo blocco può essere dovuto a patologie legate direttamente alla colecisti o alle vie biliari o anche a lesioni degli organi vicini che comprimono le vie biliari stesse. In tutti i casi quando la bilirubina è particolarmente alta si ha un colorito giallognolo alla base degli occhi (cioè sulle sclere) e della pelle.

Il favismo non si può curare, ma si può prevenire

Il deficit di G6PD non ha una cura precisa. Per questo la prevenzione è fondamentale. Nelle forme più serie si può procedere a trasfusioni per reintegrare i globuli rossi e con essi l’emoglobina che trasporta l’ossigeno, oltre ad offrire altri trattamenti di sostegno. È sul fronte della prevenzione che occorre prestare attenzione, ricordando che non solo le fave, ma anche alcuni farmaci, possono scatenare le crisi.

Per questo, oltre a non mangiare fave (attenzione in particolare ai legumi di questo tipo assunti crudi) bisogna sempre parlare con il medico se si assumono farmaci o comunque composti ad azione antiossidante. Occorre anche ricordare che la dose di sostanze potenzialmente in grado di scatenare l’emolisi è importante. Per questo bisogna sempre prestare attenzione.

C’è un quadro, infine, che va affrontato con immediatezza e ricorrendo a trattamenti mirati, come la fototerapia. nel neonato un’emolisi diffusa può portare alla liberazione di bilirubina all’interno dell’organismo, con conseguenti potenziali danni per lo sviluppo cerebrale. La fototerapia consente di favorire l’eliminazione della bilirubina in eccesso. In certi casi occorre procedere alla trasfusione di elevate quantità di sangue da donatore, per sostituire appunto il liquido biologico in cui si è sviluppata la distruzione dei globuli rossi.

È utile l’asportazione della milza?

Nella maggioranza dei casi l’intervento può non essere indicato. Con la splenectomia, intervento che prevede l’asportazione della milza e che a sua volta può essere parziale o totale, si asporta un organo molto importante, soprattutto nel bambino. Anche se la vita senza milza può essere del tutto normale, a patto ovviamente di seguire le indicazioni dei medici. La milza è infatti un organo che per la sua struttura ha il ruolo di una “spugna” in grado di assorbire il sangue e di “trattarlo”.

Infatti uno dei compiti principali che la natura ha affidato all’organo è quello di assicurare i processi di emolisi, ovvero di consentire la distruzione dei globuli rossi che hanno compiuto il loro ciclo vitale, che è più o meno di 120 giorni. Nella milza queste cellule che hanno il compito di portare l’ossigeno a tutto l’organismo vengono quindi distrutte e ne viene asportato il ferro presente, che poi viene immagazzinato anche all’interno dello stesso organo. Ma la capacità di “riempirsi” di sangue della milza ha anche un altro scopo: nella milza si possono infatti conservare i globuli rossi vitali che possono quindi essere immessi nel sangue quando se ne verifichi la necessità, come ad esempio dopo un’emorragia o dopo un intenso sforzo fisico che richiede una maggior disponibilità di ossigeno per l’organismo.

La milza, soprattutto nell’adulto gioca poi un ruolo importante nella formazione di particolari tipi di globuli bianchi, le cellule che ci difendono dalle infezioni, e consente l’ottimale formazione di anticorpi attivi contro gli invisibili nemici. Inoltre può agire come “deposito” di piastrine (cellule che intervengono nella coagulazione del sangue) e nella produzione di altri fattori che regolano la coagulazione stessa. Per questi motivi in assenza di milza si è più soggetti a eventuali infezioni e a fenomeni di coagulazione del sangue, come le trombosi.

A cosa bisogna prestare attenzione

Come si ricorda sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità, chi soffre di favismo deve prestare attenzione a non ingerire fave, ad evitare i contatti con le piante, a sapere se negli ambienti in cui si preparano i cibi possono esserci fave e al polline delle piante. Ma non bisogna dimenticare che anche alcuni altri alimenti andrebbero evitati, come quelli che contengono soia, il vino rosso, altri legumi e i mirtilli.

Sul fronte dei farmaci, una volta fatta la diagnosi il medico provvede ad indicare una lista di medicinali che sarebbe meglio non assumere, sempre tenendo presente che chi ha deficit di G6PD può avere reazioni diverse dopo l’assunzione di medicinali. Possono esistere infatti varianti dell’enzima e possono influire anche altri elementi, come l’eventuale dosaggio del farmaco, l’interazione tra molecole diverse, la presenza di infezioni e le caratteristiche del sistema difensivo dell’organismo. Per questo il parere del medico va sempre richiesto.

Fonti bibliografiche

Deficit di G6PD- Favismo, AIEOP

Favismo, ISSalute

Favismo, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù