La diastasi addominale è una patologia ancora poco conosciuta. Eppure non è certo rara. Pur se può colpire anche i maschi, interessa soprattutto la donna. E tra le donne è diffusa: le stime dicono che il quadro riguardi il 30% circa delle donne dopo la gravidanza.
Comporta un allargamento dei muscoli retti dell’addome, quelli paralleli alla linea mediana dell’addome stesso, che tendono a separarsi fra loro determinando un indebolimento della parte centrale della parete addominale causando spesso anche ernie o una ridotta funzionalità della muscolatura, per cui quando ci si alza in piedi o si fanno gli addominali è possibile che ci sia una protrusione dei visceri verso l’esterno, che non vengono più tenuti all’interno della parete addominale da questi muscoli.
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Come cambia la vita
“La diastasi addominale non è solo disturbo estetico – segnala Michele Carlucci, Primario dell’Unità Operativa Chirurgia Generale e delle Urgenze e dell’Unità Operativa Pronto Soccorso, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Presidente ISHAWS – Italian Society of Hernia and Abdominal Wall Surgery,. Le donne che ne soffrono possono andare incontro a un vero e proprio disturbo funzionale perché il cedimento della parete addominale fa assumere posture sbagliate dando luogo a lombalgia, mal di schiena, incontinenza urinaria, alterazioni della normale funzione gastrointestinale, oltre al disturbo psicologico conseguente al fatto di non sentirsi a posto con il proprio fisico”.
Tutti questi aspetti impattano fortemente sulla qualità di vita delle pazienti e sulla conseguente decisione di rivolgersi al chirurgo per correggere questo tipo di patologia. “Ma qui c’è ancora il problema della sostenibilità: oggi esistono diverse tecniche chirurgiche per correggere la diastasi addominale, ma non è chiaro come dobbiamo classificare questo tipo di malattia per poter avere poi un rimborso dalle regioni della prestazione data – riprende l’esperto. Come se non bastasse, ci troviamo di fronte a donne giovani, spesso in età fertile, e quindi anche nelle scelte delle tecniche da utilizzare dobbiamo considerare il fatto che potrebbero avere un’ulteriore gravidanza nel tempo, successiva all’intervento”.
Il problema diastasi è crescente
“È opportuno sensibilizzare non solo il mondo sanitario, ma anche il mondo che definisce l’economia di scala della nostra sanità, affinché queste persone possano trovare una risposta in un trattamento quanto più completo possibile e risolutivo”. A dirlo è Pierpaolo Sileri, Primario dell’Unità di Chirurgia Colonproctologica e Malattie Infiammatorie croniche Intestinali, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Anche perché i numeri sono davvero imponenti. “Siamo di fronte a un problema crescente nella popolazione, sottovalutato e sottostimato: abbiamo circa 400mila parti l’anno e, purtroppo, una buona quota di queste donne sviluppa una diastasi dei muscoli retti, per altro anche sintomatica – ricorda l’esperto”
Chi rischi di più la diastasi?
“La diastasi dei retti storicamente non è mai stata considerata dalla comunità chirurgica una patologia degna di trattamento – denuncia Alessandro Carrara, Direttore Unità Operativa Chirurgia Generale – Rovereto e Arco. È stata considerata un problema prettamente estetico e non se ne è mai capita la problematica funzionale che comporta. Eppure è un problema che riguarda quasi il 50% delle donne pluripare oltre i 50 anni.
Queste donne soffrono spesso di lombalgia, incontinenza urinaria, dispepsia, gonfiore addominale. Un corteo di sintomi che ne danneggiano fortemente la qualità di vita. Spesso questi sintomi vengono inquadrati come effetti di una disfunzione del singolo apparato e pertanto i medici curanti inviano le pazienti ad una serie di visite specialistiche da urologo, gastroenterologo, ortopedico, neurochirurgo senza ottenere apprezzabili risultati in molti dei casi, perché sfugge che alla base di tutto c’è una disfunzione della muscolatura addominale”.
In quasi il 90% delle diastasi dei retti inoltre coesiste un’ernia della linea mediana (ombelicale o epigastrica) ‘conditio sine qua non’, e la chirurgia non è prevista dal nostro SSN. “Molto spesso l’intervento che viene proposto a queste pazienti è la riparazione della sola ernia con o senza protesi. Ma dati di letteratura ci dimostrano che la riparazione di un’ernia della linea mediana nel contesto di una diastasi è gravata da un 30% di recidive in più, se contestualmente non viene eseguita anche la riparazione della diastasi stessa – conclude Carrara”.