Spesso citata all’interno di articoli di cronaca nazionale, la fascite necrotizzante è una temibile infezione dei tessuti molli da parte di microrganismi (molto spesso batteri) che può, se non riconosciuta e trattata precocemente, condurre anche a un esito fatale.
In questo articolo scopriremo insieme cos’è la fascite necrotizzante, come riconoscerla tempestivamente e come trattarla efficacemente.
Indice
Fascite necrotizzante: cos’è e quali sono le cause
Con fascite necrotizzante si definisce una grave infezione, a insorgenza improvvisa e con decorso rapido, che può coinvolgere i tessuti molli del corpo.
La sua eziologia è, molto spesso, batterica e fa parte di un ampio gruppo di patologie denominate “infezioni necrotizzanti” che interessano i tessuti molli determinandone la necrosi. Possono raggiungere strutture profonde denominate fasce, ossia le porzioni di tessuto connettivo che circondano nervi, grasso, muscoli e vasi sanguigni.
Si tratta di una patologia detta necrotizzante in quanto causa la morte delle cellule e dei tessuti e generalmente riguarda gli arti inferiori, il perineo e l’addome. Esistono diversi tipi di fascite necrotizzante, di diversa entità e, a seconda della regione anatomica in cui si sviluppa l’infezione, questa può avere nomi specifici.
Gli agenti scatenanti di questa pericolosa patologia sono particolari batteri tossigeni (solo raramente ha natura fungina), in particolare una combinazione di microrganismi aerobi e anaerobi, in grado cioè di sopravvivere e proliferare anche in assenza di ossigeno, come succede nei tessuti necrotici dove è interrotta la circolazione sanguigna. In queste regioni, a causa della necrosi tissutale, il sangue e l’ossigeno scarseggiano e con loro l’attività del sistema immunitario, in un circolo vizioso che porta a una progressione molto rapida e rischiosa della condizione patologica.
I batteri più coinvolti nei casi di fascite necrotizzante sono gli stafilococchi (soprattutto Staphylococcus aureus), lo streptococco β emolitico di gruppo A, gli anaerobi appartenenti al genere Clostridium, Aeromonas hydrophila, Vibrio parahaemolyticus, Vibrio vulnificus.
La gravità dell’infezione è dimostrata anche dai nomi con cui viene identificata al di fuori del mondo scientifico, tra cui malattia mangia-carne e sindrome dei batteri divoratori di carne. Gli agenti patogeni che scatenano l’infezione vengono definiti in questo modo perché paiono effettivamente consumare i tessuti, anche se in realtà ne provocano la necrosi. Inoltre, sintetizzano enzimi che ne facilitano l’adesione alle cellule, impedendo l’efficace azione del sistema immunitario e massimizzando la proliferazione dei batteri.
Chi è più a rischio di sviluppare una fascite necrotizzante?
Chiunque può sviluppare la fascite necrotizzante, anche se è da considerarsi una patologia rara o una complicanza possibile in casi molto limitati, nei quali generalmente coesistono più problematiche di salute. Ciò non toglie che l’infezione possa svilupparsi anche in soggetti sani e che sia necessario imparare a riconoscerne i sintomi fin dagli esordi.
Le categorie a rischio di contrarre la fascite necrotizzante sono:
- le persone con sistema immunitario compromesso;
- quelle che soffrono di malattie croniche;
- quelle che presentano ferite, traumi o ustioni;
- i tossicodipendenti;
- gli alcolisti;
- i pazienti con patologie epatiche o vascolari (come le vasculopatie periferiche);
- i pazienti immunodepressi;
- chi è affetto da tubercolosi, da neoplasie maligne o da herpes zoster;
- chi presenta malattie renali o epatiche;
- chi assume farmaci antinfiammatori;
- i bambini che sviluppano la patologia come rara complicanza, ad esempio, della varicella.
L’infezione che provoca la fascite necrotizzante è contagiosa in linea teorica, anche se per un soggetto sano i rischi di contrarla sono trascurabili.
I sottotipi di fascite necrotizzante
La patologia viene classificata in tre diverse entità cliniche:
- L’infezione di tipo I, che coinvolge tronco e perineo ed è causata da una combinazione di batteri aerobi e anaerobi e di streptococchi del gruppo A. I pazienti diabetici sono particolarmente a rischio di sviluppare questa tipologia di fascite necrotizzante che spesso arriva al tessuto sottocutaneo attraverso ulcere aperte e traumi. Spesso risulta essere interessato il perineo, in una forma di fascite definita anche gangrena di Fournier. Frequentemente si tratta di complicazioni post-operatorie in caso di interventi chirurgici (come, ad esempio, il trattamento degli ascessi perirettali). Tali infezioni stimolano la produzione di gas all’interno dei tessuti molli.
- La fascite necrotizzante di tipo II è, invece, monomicrobica e a causarla sono più spesso gli streptococchi beta-emolitici di gruppo A o, meno frequentemente, lo Staphylococcus Aureus. Spesso colpisce soggetti giovani che hanno subito da poco un intervento chirurgico o che hanno, in passato, fatto uso di droghe per via endovenosa. Tale sottotipo ha un decorso molto rapido e facilmente conduce a gravi complicanze anche a livello sistemico.
- La fascite necrotizzante di tipo III colpisce sempre i tessuti molli, ma è causata da lesioni che si sviluppano in acqua. A scatenarle è spesso il Vibrio Vulnificus e le sue caratteristiche sono molto simili a quelle delle infezioni di tipo II.
Fascite necrotizzante, i sintomi
Riconoscere tempestivamente i sintomi della fascite necrotizzante può fare la differenza nella velocità della cura, evitando al paziente gravissime complicazioni. I sintomi dell’infezione hanno uno sviluppo decisamente rapido e possono osservarsi aggravamenti significativi anche nell’arco di poche ore.Riuscire a cogliere per tempo i sintomi di questa malattia particolarmente complessa è indispensabile per predisporre un approccio terapeutico personalizzato ed efficace. Se si ravvisano segnali che possono far sospettare la presenza di una fascite necrotizzante è necessario rivolgersi immediatamente al proprio medico di fiducia o al più vicino pronto soccorso, per una diagnosi corretta e una cura adeguata.
Il sintomo principale della condizione è il dolore. Le sue caratteristiche sono peculiari, in quanto si tratta di un dolore particolarmente intenso e sproporzionato rispetto all’entità della lesione superficiale. Altri sintomi comuni sono:
- rossore nella zona interessata, oltre che calore e tumefazioni che rendono la cute discromica;
- percezione alterata della consistenza dei tessuti al tatto;
- lividi;
- necrosi dei tessuti sottocutanei;
- edema e gonfiore;
- eritema;
- lesioni bollose;
- pus o siero nella zona infetta;
Esistono anche alcuni sintomi sistemici a cui prestare attenzione:
- brividi;
- stanchezza;
- dissenteria;
- febbre;
- stato confusionale e alterazioni del comportamento;
- sudore;
- tachicardia;
- ipotensione;
- nausea e vomito;
- disidratazione.
I sintomi si manifestano in modo repentino e si aggravano con il passare del tempo. I muscoli possono essere coinvolti in una fase secondaria della malattia, rispetto agli altri tessuti molli.
Complicazioni della fascite necrotizzante
La fascite necrotizzante può condurre, in alcuni casi, a sepsi, sindrome da shock tossico da streptococco, shock settico e insufficienze multiorgano.
Come intuibile, si tratta di una patologia particolarmente pericolosa, che presenta un tasso di mortalità che varia tra il tra il 20 e il 40%, a seconda dello stato di salute del soggetto colpito. In 6 casi su 10 si presenta una contemporanea sindrome da shock tossico da streptococco causata dallo streptococco del gruppo A e particolarmente grave.
Tra le complicanze permanenti della fascite necrotizzante c’è la perdita degli arti o la presenza di cicatrici particolarmente evidenti sul corpo a seguito dei necessari interventi chirurgici. Ovviamente, un intervento non tempestivo può incrementare vertiginosamente le probabilità di andare incontro a conseguenze anche molto gravi.
Come diagnosticare una fascite necrotizzante
Il primo passo per diagnosticare la fascite necrotizzante è quello di recarsi dal medico che eseguirà un esame obiettivo della cute e dei tessuti circostanti per formulare un’ipotesi clinica. L’anamnesi completa del paziente può essere supportata da altre indagini, quali:
- un prelievo ematico che verifichi la presenza di leucocitosi o di un livello elevato di proteina C-reattiva;
- colture dei tessuti presenti nelle ferite;
- RX per osservare la presenza di gas nei tessuti molli;
- TAC e risonanza magnetica per approfondire la situazione e valutare l’eventuale diffusione della patologia ai tessuti profondi.
In caso di sospetta fascite necrotizzante non dev’essere, però, commesso l’errore di ritardare i trattamenti in attesa dei risultati di tutti gli esami. È meglio intervenire nell’immediato, per contenere i danni che la malattia può provocare nell’organismo, anche in assenza di una diagnosi eziologica certa.
Fascite necrotizzante: le cure
Quando l’ipotesi è quella di un’infezione dei tessuti molli, è d’obbligo pianificare immediatamente un intervento chirurgico, supportato generalmente da una terapia antibiotica ad ampio spettro e/o dall’infusione di liquidi per via endovenosa.
Intervento chirurgico
A livello dei tessuti infetti e compromessi si può intervenire con un’operazione chirurgica detta sbrigliamento o debridement: si tratta della rimozione totale dei tessuti necrotici, necessaria per evitare un’ulteriore proliferazione di batteri che vivono bene in assenza di ossigeno (anaerobi). Lo scopo è rimuovere le porzioni necrotiche e i batteri presenti, consentendo alla ferita di guarire anche grazie al ripristino di un corretto e sufficiente flusso sanguigno.
Una rimozione incompleta dei tessuti è pericolosa per l’esito a lungo termine del trattamento, in quanto non consentirebbe alla zona di guarire del tutto ma permetterebbe all’infezione dei tessuti molli di progredire. Generalmente è necessario ripetere l’intervento più volte nei giorni seguenti, per controllare l’assenza totale di tessuti infetti e asportare quelli eventualmente presenti.
Un’estensione particolarmente ampia della necrosi può comportare, ovviamente, un danno estetico maggiore, nonché eventuali conseguenze derivanti dall’operazione. Quali sono le più comuni problematiche? Complicazioni cardiovascolari e polmonari tipiche degli interventi chirurgici, reinfezioni dell’area trattata, lesioni dei vasi sanguigni o dei tronchi nervosi (con connessi deficit nel movimento o nella sensibilità).
È bene contattare sempre il medico se dopo l’intervento si notano gonfiori agli arti inferiori, dolori addominali, stipsi, diarrea o vomito persistenti, febbre, materiale sieroso che fuoriesce dalla ferita o difficoltà respiratorie. Solitamente il ricovero è di lunga durata per consentire il monitoraggio clinico del paziente e un intervento tempestivo in caso di complicanze o recidive.
Antibiotici
La fascite necrotizzante può essere trattata anche con la tempestiva e massiccia somministrazione di antibiotici. Solitamente l’assunzione di antibiotici ad ampio spettro per via endovenosa può comprendere 2 o più farmaci attivi contro i microorganismi aerobi e anaerobi. Quali antibiotici usare viene suggerito anche dai risultati delle colture di sangue e tessuti, in modo da impostare una terapia personalizzata che, però, non deve ritardare l’inizio della stessa.
Terapie di supporto
Nel corso del ricovero vengono somministrate al paziente delle terapie di supporto come, ad esempio, dei liquidi per via endovenosa. Spesso i pazienti con fascite necrotizzante vengono sottoposti ricoverati nei reparti di terapia intensiva e sottoposti a trattamenti in camera iperbarica per l’ossigenoterapia. Qualora dovessero presentarsi anche febbre, ipotensione o shock può essere richiesto il ricovero immediato nel reparto di rianimazione, per la somministrazione di farmaci per la gestione della pressione sanguigna e/o liquidi endovena. Per la sindrome da shock tossico streptococcica con infezione sottocutanea necrotizzante sono indicate le immunoglobuline EV.
Fonti bibliografiche
- Infezione necrotizzante dei tessuti molli, Manuale MSD
- Infezioni necrotizzanti della cute, Manuale MSD
- Necrosi, ISSalute
FAQ
Possono comparire rossori, tumefazioni, discromie, necrosi, lividi, edemi, eritemi, pus, lesioni bollose e può essere rilevata una consistenza anomala dei tessuti. Caratteristico è un dolore intenso e sproporzionato rispetto alla ferita.
Spesso i batteri patogeni che causano la fascite necrotizzante penetrano nei tessuti in seguito a ulcere, eventi traumatici, punture di insetti o ferite derivanti da interventi chirurgici.
La necrosi di cellule o tessuti, ossia una loro morte non programmata, può essere causata da un aumento eccessivo della temperatura, dalla mancanza di ossigeno, da agenti tossici o da infezioni.