Cerberus, Gryphon, Omicron: cosa aspettarci dalle varianti di Sars-CoV-2

Covid, come riconoscere le due nuove varianti Cerberus e Gryphon, dai sintomi simili all'influenza

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 5 Dicembre 2022 13:00

Se sfogliassimo un album di fotografie, ovviamente parlando di immagini invisibili ad occhio nudo, forse guarderemmo con un pizzico di nostalgia al primo virus Sars-CoV-2 isolato a Wuhan, in Cina. Tante, nel frattempo, sono state le varianti virali che si sono presentate nel tempo, in un percorso caratterizzato da un sostanziale aumento della capacità di diffusione del virus ma anche da un mutamento nelle manifestazioni cliniche ad esso collegate.

Pensate solamente ad ageusia e anosmia, ovvero perdita di gusto ed olfatto: all’inizio della pandemia erano praticamente segni classici dell’infezione, oggi sono rarissimi. Insomma: oggi i virus appaiono diversi, ma questo non significa che si debba abbassare la guardia e che si debba rinunciare al percorso vaccinale, con i richiami consigliati dal medico caso per caso.  Soprattutto occorre capire come le sottovarianti che si manifestano potranno impattare in futuro. Ed allora, pur ricordando che quanto sta avvenendo è di estrema complessità e che le conoscenze sono destinate ad aumentare, proviamo a fare il punto sulla situazione.

Cerberus e Gryphon sostituiscono Omicron?

Di certo c’è che i sintomi, sempre più frequentemente, con il diffondersi delle varianti Cerberus e Gryphon, tendono a modificarsi diventando sempre più simili, sul fronte clinico, a quanto avviene con l’influenza. Proprio per questo, soprattutto in questo periodo di grande diffusione dei virus influenzali, c’è il rischio di confondersi quando si presentano sintomi e segni come starnuti frequenti, naso, chiuso, tosse e mal di gola. Il dato più importante che si osserva in caso di infezione da nuove varianti è che progressivamente si osservano sempre meno i problemi più seri ai polmoni, sotto forma di polmoniti interstiziali, che hanno caratterizzato i primi tempi dalla pandemia.

Per il resto. al momento Omicron 5 riesce a mantenere ancora il primato nel numero dei contagi, ma le altre varianti si stanno “allargando” in termini epidemiologici. E soprattutto confermano le loro “differenze, tanto che l’Istituto Superiore di Sanità segnala come sia importante controllarne evoluzione e diffusione, visto che possono trasmettersi con facilità e soprattutto avere caratteristiche in termini di mutazioni che possono influire sulla possibile risposta difensiva dell’organismo. Questo vale in particolare per Gryphon, al momento ancora poco frequente da noi (ma pur sempre presente) che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sarebbe la variante maggiormente portata ad evadere le risposte del sistema immunitario.

Cosa caratterizza Cerberus e Gryphon

La definizione scientifica di Cerberus è Bq.1. Il ceppo gira nel Vecchio Continente e presenta una possibile sottovariante, definita Bq.1.1. Tra le sue caratteristiche c’è la possibilità di eludere facilmente il sistema immunitario e quindi le reazioni difensive dell’organismo. Non si sa comunque se e come questo ceppo possa dare quadri clinici più seri.

Da una ricombinazione tra BA.2.10.1 e BA.2.75, ovvero quel ceppo che era stato definito Centaurus, nasce invece la variante Gryphon. Viene attentamente monitorata dalle autorità sanitarie ma non se ne sa ancora molto: stando ad alcune evidenze raccolte in laboratorio pare proprio che abbia caratteristiche che la rendono molto meno in grado di stimolare una risposta immunitaria in chi è stato vaccinato o ha contratto Covid, con un maggior rischio di reinfezione in chi ha già avuto la malattia rispetto a quanto osservato con altre sottovarianti di Omicron. In ogni caso Omicron è ancora dominante e solo osservando cosa accadrà potremo avere informazioni per il futuro.

Cosa ci ha insegnato Centaurus

Fasciarsi la testa, in ogni caso, è probabilmente inutile. Quello che si deve fare è seguire le indicazioni delle Istituzioni sanitarie, cercare di limitare i rischi di infezione, proteggersi con le misura di protezione quando si è con molte persone e procedere con le vaccinazioni e i richiami in particolare per le persone ad elevato rischio per età o per fragilità da patologie e chi vive a contatto con loro. A volte, pur se i nomi mitologici paiono preoccuparci, l’evoluzione delle varianti virali si rivela meno temibile di quanto ipotizzato.

Pensate solo a Centaurus. O sottovariante BA.2.75. Insieme ad altre due sotttovarianti caratterizzate dai numeri vicini (un po’ come accade con gli indirizzi dei palazzi, si chiama BA.2.74 e BA.2.76) parrebbe in grado di avere una fortissima diffusione, con potenziale impennata del numero dei contagi. In particolare, nel processo continuo di “riaggiornamento” dei virus che fa parte del loro naturale sviluppo nel tempo, colpisce il fatto che presenti nove mutazioni rispetto alla progenitrice Omicron 2, localizzate sulla proteina Spike.

Cosa dobbiamo aspettarci?

Insomma: come accaduto per Centaurus, anche per queste nuove varianti occorre ancora raccogliere dati che potranno aiutare a capire cosa potrà accadere. Studiarli è compito della scienza e applicare le conoscenze per la prevenzione e la cura ottimale di chi si ammala è compito dei medici. Facciamo nostra la lezione di Omicron 5, che ci ha permesso di capire come il virus possa diventare più trasmissibile e quindi potenzialmente più contagioso, con una maggior facilità di “attecchire” nell’organismo umano e di diffondersi da una persona all’altra.

Ma dal nostro punto di vista, ricordiamo che le strategie di prevenzione rimangono comunque l’arma più efficace che abbiamo per limitare i rischi. E non dimentichiamo che nei casi più seri o in soggetti a rischio i farmaci, utilizzati con la massima appropriatezza e prima possibile (siano essi antivirali specifici o cocktail di anticorpi monoclonali che si sono rivelati utili anche nei confronti di Omicron) possono consentire di affrontare in modo più efficace un’eventuale infezione.