Artrosi dell’anca, la differenza con quella dolorosa e quando e a chi serve la protesi

Non sempre il dolore all'anca dipende dall'artrosi: come riconoscerla attraverso questi sintomi e quando è necessaria la protesi

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

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La cartilagine che si consuma. Dovendo rappresentare un evento legato alla salute che interessa soprattutto le articolazioni più grandi per descrivere l’artrosi, si può pensare a qualcosa di questo tipo anche se in realtà i processi che si sviluppano sono più complessi.

Di certo c’è che l’artrosi, la più comune malattia reumatologica, può colpire tutte le articolazioni dello scheletro, anche se appare prevalentemente alle dita delle mani, alle ginocchia e all’anca. Ecco, l’artrosi dell’anca, anche per l’impatto che ha sulla qualità di vita della persona e per il dolore che provoca, rappresenta una delle forme più diffuse e temute.

Recentemente gli specialisti della SIOT  (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) hanno fatto il punto su questa condizione, mettendo anche in luce come e quando si può pensare ad una protesi per affrontare la situazione e soprattutto mettendo in luce cosa sia la cosiddetta “anca dolorosa”.

Non sempre il dolore è frutto dell’artrosi

Dolore persistente all’anca, difficoltà nei movimenti quotidiani, qualità della vita in costante peggioramento: sono questi i segnali da non sottovalutare. Ma non sempre l’anca dolorosa può essere considerata il risultato di un quadro di artrosi, visto che altre condizioni possono determinare algie in questa sede.

Infatti quando si parla di “anca dolorosa” si intende un sintomo che può essere espressione di patologie che effettivamente coinvolgono l’articolazione dell’anca, ma non solo. A volte il dolore è il frutto di condizioni patologiche che invece riguardano i tessuti in prossimità dell’articolazione come muscoli, tendini, borse: queste ultime hanno solitamente un’evoluzione benigna e prevedono dei percorsi medici e riabilitativi che devono essere personalizzati ed effettuati sotto la guida di persone esperte.

Le patologie articolari “vere” invece – spiega Alessandro Massè, Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia 1U, AOU Città della Salute e della Scienza-CTO di Torino, ed esperto SIOT per la Chirurgia Protesica – tendono a progredire. Esistono diverse gradazioni di danno della cartilagine e delle altre strutture articolari che, in un tempo variabile, possono portare all’artrosi.

Molte di queste forme possono essere legate a fattori predisponenti congeniti, come malformazioni di diversa entità. Al contrario le variabili legate al sovrappeso, all’attività lavorativa o a quella sportiva possono accelerare la progressione del danno: sovraccarichi eccessivi o movimenti estremi possono concorrere al peggioramento del danno articolare. Altre forme di danno articolare sono riconducibili a traumi importanti, a malattie infiammatorie (poco noto ma frequente è, ad esempio, il coinvolgimento articolare nella psoriasi) o a problemi vascolari localizzati”.

Come si presenta l’artrosi dell’anca e cosa fare

In generale l’artrosi “classica” nelle sue manifestazioni conclamate si evidenzia per lo più nell’età adulta, con uguale frequenza nei due generi. “I quadri di danno articolare iniziale invece possono dare i primi sintomi in età giovanile, o addirittura pediatrica, se sono presenti patologie o malformazioni che producono un precoce danno delle strutture articolari: la cosiddetta “pubalgia” dei giovani sportivi, spesso è espressione di un iniziale danno articolare” – precisa Massè”.

Quando si evidenzia un difetto strutturale dell’anca è possibile effettuare interventi chirurgici per eliminare il difetto prima che questo produca un danno della cartilagine. Si tratta di interventi complessi e di invasività variabile, finalizzati a ritardare anche di molto l’insorgenza dell’artrosi e, quindi, la necessità di ricorrere ad una protesi d’anca. Molti passi avanti sono stati fatti nelle tecniche artroscopiche, realmente mini-invasive, ma a volte si rendono necessari complessi interventi di invasività anche elevata, soprattutto in età pediatrica e nei giovani adulti, finalizzati a correggere le anomalie più severe attraverso delle “fratture” controllate di femore e bacino, le osteotomie.

Quando serve la protesi

Negli ultimi decenni in Italia abbiamo registrato un costante incremento di interventi di protesizzazione dell’anca, che ha superato abbondantemente i 100.000 casi ogni anno. “Questo in parte è dovuto all’invecchiamento della popolazione – interviene Pietro Simone Randelli, Presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia-SIOT, Ordinario di Ortopedia dell’Università degli Studi di Milano e Direttore della Clinica Ortopedica dell’Istituto Gaetano Pini – ed in parte all’incremento di richieste da parte dei pazienti che mal tollerano le limitazioni derivanti dall’artrosi e vogliono rapidamente recuperare una buona qualità di vita: è sempre fondamentale che il paziente sia informato sulla reale entità dell’intervento e sulle possibili, anche se rare, complicanze. A volte, purtroppo, le aspettative del paziente non sono realistiche per una incongrua informazione da parte di “dottor Google””.

La protesizzazione dell’anca è un intervento di grande diffusione e straordinario successo tanto che, già nel 2007 l’autorevole rivista scientifica Lancet lo ha definito “l’intervento del secolo” per il rapporto estremamente favorevole tra rischi e benefici; grazie allo sviluppo delle tecniche chirurgiche e anestesiologiche, il tasso di complicanze è molto basso e il recupero estremamente veloce;  si deve ricordare che si tratta comunque di un intervento di chirurgia ortopedica maggiore per il quale il termine “mini invasivo”, si riferisce al risparmio dei tessuti e al più rapido recupero funzionale, ma non ad un intervento di piccola complessità.

Quando si pensa alla protesi e cosa propone la ricerca

“L’intervento – precisa Massè – deve essere effettuato quando il paziente ritiene che la sua qualità di vita non sia più accettabile per la sintomatologia dolorosa e la limitazione funzionale; non si tratta di un “intervento preventivo” e quindi se il paziente con poche accettabili limitazioni mantiene una buona qualità di vita, può essere procrastinato senza che questo comporti un risultato peggiore. L’intervento oggi viene effettuato a qualsiasi età, anche in considerazione dell’aspettativa di durata degli impianti molto migliorata”.

Come segnalano gli esperti, negli ultimi decenni si sono realizzati costanti e significativi progressi nelle tecniche chirurgiche e nell’affidabilità dei materiali: questo ha portato ad una più rapida ripresa funzionale dopo l’intervento e a un incremento nella durata delle protesi.

Le recenti innovazioni tecnologiche fornite dalle industrie (navigazione, robotica, realtà aumentata) si stanno affacciando anche in questa chirurgia: “Siamo in una fase di transizione – conclude Massè – e i vantaggi di queste innovazioni non sono ancora evidenti  soprattutto l’attuale altissimo tasso di successo di questa procedura;  è però verosimile che alcune tra queste nuove tecnologie in futuro dimostrino una reale efficacia nell’incrementare il tasso di soddisfazione dei pazienti definendo nuovi standard”.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.