Vestirci “come ci pare” è un nostro diritto. E lo rivendichiamo

Perché se una è scollata è scollata, e basta. Non è una prostituta, né tanto meno una provocatrice o una donna disponibile

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Tutte le donne sono puttane. Lo siamo quando facciamo un sorpasso azzardato e quello dietro di noi, al volante, scalpita e offende, e anche se non possiamo sentirlo o leggere il suo labiale, lo sappiamo bene che è così che ci ha chiamate. Lo siamo quando facciamo soffrire qualcuno, lo siamo quando diciamo delle bugie e veniamo scoperte, lo siamo quando litighiamo con un’altra donna, e anche con un uomo. Ma lo siamo soprattutto – e sempre – quando indossiamo una camicetta troppo scollata o un vestito troppo corto.

Ecco cosa siamo agli occhi di chi ci guarda mentre siamo alla fermata della metro, o per strada. Lo siamo anche se non facciamo assolutamente niente, ma semplicemente “stiamo”. E lo sentiamo che gli altri pensano quello di noi, lo percepiamo da quei sguardi che ci costringono ad abbassare gli occhi. Come se dovessimo vergognarci di qualcosa, come se fosse nostra la colpa.

E questa sensazione è forse la più dolorosa. Perché ci dicono che possiamo scegliere di essere chi vogliamo, di fare quello che ci pare, salvo poi toglierci il privilegio di sentirci a nostro agio e soprattutto al sicuro. Dalle violenze, fisiche e verbali, dai giudizi, dalle critiche e dagli sguardi.

Perché se una è scollata è scollata, e basta. Non è una prostituta come invece si legge nel regolamento della polizia municipale di Cassina de’ Pecchi, dove si parla di prostituzione legandola agli atteggiamenti e al modo di vestire.

In luogo pubblico è vietato contrarre ovvero concordare prestazioni sessuali oppure intrattenersi con soggetti che esercitano l’attività di meretricio su strada o che, per atteggiamento, ovvero per l’abbigliamento ovvero per le modalità comportamentali manifestino comunque l’intenzione di esercitare l’attività consistente in prestazioni sessuale

Perché come si fa a definire l’abbigliamento di chi si appresta a esercitare delle prestazioni sessuali? E come può, un semplice abito, diventare un capo d’imputazione? E i diritti a vestirci come vogliamo, dove sono finiti? A guardare questo regolamento, allora, sembra proprio che abbiano ragione tutte quelle persone che pensano che un abito sexy o una camicetta siano provocatorie, e hanno ragione anche quelli che dicono che ce la siamo cercata o ce lo meritiamo.

Ma la verità è che no, non hanno ragione. Ribadiamolo ancora una volta, e un’altra se necessario, che tutte le donne, così come gli uomini, hanno diritto a vestirsi come vogliono. E che nessuno, al contrario, ha il diritto di giudicare, di avere pretese e o di invadere il nostro spazio.

Ricordiamo inoltre che la scelta di vestirci in un determinato modo è fatta solo per stare bene con noi stesse e che l’abbigliamento femminile non implica niente, né una disponibilità sessuale, né un atteggiamento immorale, né tanto meno la nostra intelligenza o il nostro modo di essere.

E smettetela di guardarci come creature in funzione degli uomini. Certo, possiamo anche vestirci per essere ammirate o per sedurre qualcuno, ma questo non vuol dire che è degli altri il diritto di fissarci in modo morboso o di molestarci. È invece nostro il diritto di vestirci come ci pare!