Quiet quitting: perché sempre più persone abbandonano silenziosamente il lavoro

È una tendenza che allarma gli imprenditori, ma che fa stare bene i lavoratori. Ecco perché quelle dimissioni silenziose devono farci riflettere

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Ci sono persone che non riescono mai a staccare la spina. Che solo al pensiero di non fare niente, per qualche ora o per diversi giorni sono invase e divorate dai sensi di colpa. Sono le stesse che sentono il bisogno, quasi ossessivo, di riempire l’agenda, anche degli impegni più inutili, per non sprofondare nel vortice del dolce far niente.

Sono le persone che, inconsapevolmente, sono già vittime del busy bragging e dell’oziofobia, che rispecchiano, rispettivamente, le conseguenze di quel mito della produttività al quale siamo fortemente ancorati.

Dall’altra parte, però, c’è chi ha messo in atto una rivoluzione silenziosa. Un’inversione di tendenza che ha a che fare con il lavoro e con il tempo libero e che prende il nome di quiet quitting.

Cos’è il quiet quitting

Basta fare un rapido giro sui social network per vedere come l’hahstag #quietquitting sta spopolando tra persone di ogni età. A farsi portavoce di questa rivolta del tempo sono soprattutto i giovanissimi, come dimostrano i tantissimi profili TikTok.

Ma che vuol dire esattamente quiet quitting? E quali sono i rischi e i benefici di questo atteggiamento che sovverte le regole?

Il termine, coniato da diversi economisti lo scorso decennio e tornato in auge proprio negli ultimi tempi, può essere tradotto come dimissioni silenziose, anche se non si tratta di veri e propri licenziamenti, quanto più della scelta di mettere dei limiti ragionevoli al tempo da dedicare al lavoro.

Le persone che sposano questa idea, che sembra trasformarsi in una filosofia di vita, scelgono consapevolmente di dedicarsi al lavoro, e ai conseguenti impegni e responsabilità, solo nell’arco di determinati orari prestabiliti. Succede quindi che, piuttosto che lasciare la posizione ricoperta perché fonte di stress e stanchezza, i lavoratori scelgano di impegnarsi solo lo stretto indispensabile per iniziare a godersi finalmente il tempo libero.

Non si tratta di una novità assoluta, quella di vedere dipendenti disposti a non impegnarsi oltre l’orario di lavoro, quanto più di una tendenza che in questi mesi è diventata sempre più popolare. Il motivo è dato probabilmente dall’esigenza di rivalutare il peso della propria professione all’interno della vita privata che, in molti casi, è troppo ingombrante.

La tendenza è stata confermata anche dal report State of the global workplace 2022, stilato dalla società Gallup, che ha rivelato che solo il 14% dei dipendenti è coinvolto nell’attività lavorativa. La stessa ricerca ha fatto emergere un dato ancora più interessante e cioè che solo il 33% dei lavoratori si sente appagato.

La naturale conseguenza di questo stato d’animo sempre più dilagante è che il lavoro e la carriera non sono più le uniche priorità delle persone che, invece, scelgono di riprendere in mano la propria vita e avere più tempo da dedicare a se stessi, alla famiglia, agli amici e alle passioni.

Rischi e benefici

Nella società delle performance ottimali a tutti i costi, anche al rischio di compromettere il benessere personale, il quiet quitting sembra una doverosa inversione di tendenza che però non trova l’approvazione di tutti. Da una parte, infatti, i datori di lavoro potrebbero percepire questa scelta come qualcosa di dannoso per i risultati dell’azienda. Dall’altra, però, ci sono le persone che sentono l’esigenza di occuparsi del loro benessere, fisico e mentale, e di evitare la spirale del burnout lavorativo.

Un’esigenza che, di questi tempi, sembra legittima e che trova le sue motivazioni proprio nel malcontento generale dei professionisti che spesso lavorano in condizioni tali che li privano del tempo libero.

La tendenza del quiet quitting, piuttosto che allarmare, potrebbe diventare un’ottima occasione per ripensare al benessere dei dipendenti che troppo spesso viene trascurato. Basta ricordare, infatti, che in alcuni Paesi la settimana corta si è rivelata un successo: lavorare di meno, e dare la possibilità ai professionisti di avere più tempo libero nella sfera privata, non intacca le performance, anzi, le migliora.