Donne e pedofilia: l’orrore dei numeri che nessuno riesce a pronunciare

La pedofilia femminile esiste e miete più vittime di quante ne possiamo immaginare. E non parlarne non farà sparire il problema

Foto di Sabina Petrazzuolo

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Pubblicato: 11 Aprile 2021 12:16

“Ma donne attratte dai bambini e dagli adolescenti esistono, e se di solito non sono prese in considerazione è perché sono molto pochi i casi che vengono alla luce.”

Le parole della psicoanalista Marina Valcarenghi delineano un quadro spaventoso davanti al quale tutte noi, per reazione naturale, tendiamo a chiudere gli occhi. E non si tratta di menefreghismo o di omertà quanto più di incapacità di accettare una realtà silenziosa che però miete oggi troppe vittime.

Fare finta di nulla, non parlare della pedofilia femminile, non attutirà la sensazione di orrore provata davanti a quei numeri che vedono, nelle donne, delle carnefici senza anima. Perché la parola pedofilia può essere pronunciata solo a piccole dosi. Perché fa paura, fa male. Perché ogni volta che immaginiamo che un bambino o un adolescente sia stato abusato, una lama affilata trafigge la nostra coscienza e distrugge l’anima delle vittime.

Associare poi la pedofilia all’universo femminile è quasi inconcepibile. E allora facciamo finta di niente, non ne parliamo, perché in fondo è meglio così.

Donne e pedofilia

Duemila anni fa Petronio raccontava dello stupro di una bambina di sette anni da parte un gruppo di donne. Non era un romanzo dell’orrore, ma una testimonianza di qualcosa che aveva vissuto lui in prima persona. Alberto Bevilacqua nel suo libro Lui che ti tradiva, racconta di aver subito una violenza sessuale da una donna all’età di sei anni. Un racconto che lascia l’amaro in bocca ma che viene considerato al limite del surreale e resta confinato lì, tra le domande dei lettori che si chiedono se tutto questo sia stato reale.

Perché la pedofilia femminile non esiste. Preferiamo pensarla così. In realtà basta andare oltre le notizie dei giornali e delle dichiarazioni mainstream per renderci conto che non è così. Occorre scavare, neanche poi tanto, per ritrovare i numeri dell’orrore degli abusi femminili nei confronti dei più piccoli.

Secondo i dati forniti dalla cyberTipline del NCMEC (National Centre for Missing and Exploited Children) il fenomeno della pedofilia in rete è aumentato tantissimo. Dal 2014 al 2016 si è arrivati da un milione di casi a otto milioni. Le utenti di sesso femminile sono in costante aumento. Le lobby femminili pedofile, ovvero quelle organizzazioni che sostengono che la pedofilia non sia perversione o disturbo, ma un orientamento sessuale, erano due nel 2003 e già cinque all’inizio del 2004.

La psicoterapeuta Loredana Petrone sostiene che su cento abusi pedofili, otto sono compiuti da donne. Allora è per questo che non se ne parla? Solo perché tirando le somme sono gli uomini a detenere una percentuale maggiore? Questo è un dato di fatto, certo, che però non giustifica la leggerezza con cui la violenza commessa dal sesso femminile venga messa a tacere.

“È amore”

A differenza degli uomini che compiono abusi sui minori, le donne spesso raccontano di essersi innamorate delle loro vittime e di aver agito esclusivamente in nome dei sentimenti. Ad approfondire il tema ci ha pensato Eliana Lamberti, autrice di Pedofilia Rosa- il crollo dell’ultimo tabù. La psicoterapeuta ha delineato il profilo delle donne pedofile e restituisce un quadro tutt’altro che confortante. Si tratta, infatti, di madri, insegnanti e baby sitter, principalmente. Donne, quindi, che dovrebbero avere la grande consapevolezza della delicatezza e dell’importanza dei legami con i più piccoli.

Un problema comune della pedofilia femminile è proprio quello che le carnefici hanno una versione distopica dell’amore e dei sentimenti al punto tale da razionalizzare i loro comportamenti con l’amore. Perché non c’è niente di male nell’approcciarsi fisicamente a qualcuno quando c’è sentimento, questo il loro pensiero.

E lo fanno attraverso un approccio materno e premuroso, tipico del loro ruolo. Per questo motivo le vittime sprofondano in una condizione confusionale di incertezza e sensi di colpa, acuita ancora di più dalla loro giovane età.

Il caso di Prato: quando il pedofilo è una donna

Correva l’anno 2019 quando il caso di Prato sconvolse l’Italia intera. La storia, forse, la conoscono tutti: un’infermiera si offre di dare ripetizioni al figlio tredicenne di un’amica, ma con questo inizia una relazione sessuale che dura due anni. Poi la donna resta incinta, ma tutto viene messo a tacere con la complicità di suo marito che registra quel bambino come figlio suo.

Una storia terribile che però, sin dall’inizio nella sua diffusione, non è stata raccontata come un caso di pedofilia. È stata utilizzata la parola amore disturbato, anche in base ai messaggi che la donna inviava al ragazzino, e poi ancora si è parlato di atti sessuali consensuali da parte del tredicenne.

Forse utilizzare quel termine, in questo caso, voleva dire scardinare, se non distruggere, la figura della donna che appartiene da sempre all’immaginario collettivo. Perché la donna, nella nostra società, è prima di tutto madre.

Pedofilia femminile in Italia

Il caso Prato non è sicuramente l’unico che riguarda il nostro Paese. Secondo i dati raccolti da Eliana Lamberti e Loredana Petrone, su ogni tre casi di abuso compiuti da uomini ce n’è uno a opera di una donna. Ancora una volta a sorreggere l’esistenza della pedofilia femminile è l’amore.

Lo ha spiegato bene Fabrizio Quattrini, psicoterapeuta e sessuologo, intervistato in occasione di un servizio de Le Iene che raccoglieva la testimonianza di un bambino abusato dalla vicina di casa. “Il pedofilo riconosce il bambino più fragile, più vulnerabile“ – ha raccontato Quattrini – “Potrebbe diventare l’amico o il confidente, quindi sempre con una maggiore intimità tra bambino e adulto”.

Specificando che poi, anche nell’abuso, troviamo quella differenza di genere che da sempre crea il divario tra uomini e donne. Se, infatti, l’uomo è schiavo di un meccanismo legato al sesso, e non lo nasconde, la donna è capace di creare un legame affettivo e sentimentale, pur arrivando ad abusare sessualmente di un bambino. E la conferma delle parole dello psicoterapeuta arrivano dal racconto della vittima intervistata nel medesimo servizio: “Mi aveva detto che mi amava e che pensava solo a me”.

Ed è proprio l’amore, utilizzato come strumento per mietere vittime, che crea ancora più confusione nell’abusato che inizia a essere tormentato dai sensi di colpa per non corrispondere quel sentimento. Quindi no, non è vero che le donne sono meno colpevoli o efferate degli uomini perché quando si parla di pedofilia non c’è una differenza di genere, Non senz’altro sui danni e le conseguenze.

A chi si chiede infatti se un ragazzo molto giovane, o comunque pre adolescente, possa vivere un rapporto con una donna matura in maniera appagante, la risposta è no. Lo ha raccontato la Lamberti intervistata dal Corriere: “È una convinzione diffusa ma sbagliata. Anche se il rapporto alla vittima può non sembrare una violenza, chi subisce una figura femminile più grande non ha gli strumenti per potercisi rapportare. Non è un rapporto alla pari”.

Le conseguenze, quindi, possono essere molto gravi e trascinarsi, con tutte le ripercussioni del caso, per tutta la vita.