L’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re

Sono tantissime le storie, le filastrocche e le favole costruite intorno a questo proverbio. Cambiano i dettagli, la prosa e il colore dei fiori, ma tutte restituiscono la medesima lezione

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

È un proverbio che ci accompagna da quando siamo bambine, da quando i nostri genitori ci insegnavano che con i capricci e la prepotenze non avremmo ottenuto niente.

Crescendo poi siamo state noi ad appropriarci dello stesso proverbio, ma solo per elargire saggi consigli ai più piccoli sulle cose da fare e da non fare. Ma la verità è che quella frase che dice L’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re dovremmo tenerla a mente anche noi, alla stregua di un mantra.

Perché è vero che volere è potere, ma è vero anche non possiamo ottenere tutto ciò che vogliamo, soprattutto quando lo pretendiamo senza il minimo sforzo, soprattutto quando assumiamo quella falsa consapevolezza che tutto ci è dovuto.

C’era una volta il giardino del re

Il proverbio che accompagna le storie della buonanotte da generazioni, e tutte quelle che utilizziamo per insegnare lezioni di vita ai più piccoli, ha un significato chiaro e preciso: non si può ottenere tutto ciò che si vuole.

L’origine del proverbio si trova in Cronache di poveri amanti di Vasco Pratolini. È nel celebre romanzo che l’autore utilizza l’espressione “L’erba voglio non si trova nemmeno in Boboli“, facendo riferimento allo splendido giardino della città di Firenze.

Ieri, così come allora, l’espressione ha assunto un significato molto più profondo, un monito nei confronti del volere, senza dare, nel pretendere qualcosa insistentemente, senza richiesta o senza merito.

Sono tantissime le storie, le filastrocche e le favole costruite dagli autori più contemporanei proprio a partire da questo proverbio. Cambiano i dettagli, la prosa e il colore dei fiori del giardino, ma tutte restituiscono la medesima lezione.

Anche la trama della storia è più o meno la stessa: c’era una volta un re che voleva e pretendeva, che ordinava ai suoi sudditi e ai servitori di fare e prendere ciò che lui voleva, senza mai una parola gentile, senza mai dire grazie o per favore. Un giorno quel re, durante una passeggiata in un bosco, vide dei fiori gialli e graziosi e decise di piantarli nel suo giorno.

Ordinò quindi alla servitù di prendere i fiori e piantarli nel suo giardino. Ma quelli non crebbero mai. A nulla servì l’intervento dei migliori giardinieri del reame, né tanto meno l’utilizzo di prodotti e stratagemmi. I fiorellini non sarebbero mai cresciuti nel suo giardino a meno che il re non avesse imparato a smettere di pretendere e comandare e a essere gentile con gli altri, e anche con i suoi fiori.

Cosa ci insegna il proverbio

È una storia, quella dell’erba voglio, che appartiene all’immaginario dei più piccoli e che conserva nel suo lieto fine una grande lezione di vita che dovremmo fare nostra, indipendentemente dall’età che abbiamo.

Perché è vero che spesso, dall’alto delle posizioni che ricopriamo, indipendentemente dal fatto che queste siano sociali o lavorative, ci dimentichiamo dell’importanza che ricopre la gentilezza e della reciprocità. Del dare a qualcuno senza pretendere e di ricevere senza chiedere. Di sorridere e di ringraziare, di farlo sempre, anche solo per ricordare alle persone che tutto ciò che fanno è sempre un dono.

Ecco, raccontiamo la storia dell’erba voglio e del giardino del re ai bambini, insegniamo alle future generazioni la gentilezza. Ma non dimentichiamoci mai di praticarla.