A mia madre che mi ha cresciuto da sola tra mille difficoltà

Non è facile comprendere certe cose quando si è bambini. Storia vera di un ragazzo e di una mamma coraggiosa e instancabile

Non ho mai vissuto la mia condizione di figlio di separati in modo particolarmente problematico. I miei genitori si sono salutati definitivamente quando io avevo appena iniziato le scuole elementari e tutto sommato la cosa più dolorosa è stata dovere cambiare scuola in corsa, cambiare città.

Perché dei litigi tra i miei, a 6 anni, ne ero già stufo da un pezzo. Questa era la verità.

Sono cresciuto con mia mamma. Ricordo ancora oggi il giorno in cui ce ne siamo andati via. Io seduto sul divano la guardavo mentre caricava le valigie sulla sua auto. Forse piangeva.

Mio padre pensava che di lì a pochi giorni saremmo tornati. «Ci vediamo domani», le disse con aria di sfida chiudendo la porta. Forse non mi salutò nemmeno. Di certo non mi fece quelle raccomandazioni e quelle rassicurazioni che si fanno ai bambini di quell’età, come «Fai il bravo» o «Ci vediamo presto».

Una settimana dopo la mamma appendeva il poster di Ben 10 sulla porta della mia nuova camera (mamma dormiva nel divano letto del soggiorno cucina del nostro bilocale), e io iniziavo la nuova scuola. Lei cominciava il nuovo lavoro. Gli anni seguenti sono stati belli, non navigavamo nell’oro ma non ci è mancato nulla. Un tetto sopra la testa, il frigo mai vuoto, le scarpe nuove quando servivano e le vacanze al mare quasi tutti gli anni. Lei faceva i salti mortali per garantire tutto questo.

Sono cresciuto con mia madre, e per me questo è stato normale. Non ero certo l’unico figlio di separati nella mia classe. Quello che non sapevo è che mio padre non ha quasi mai versato l’assegno di mantenimento a mia madre. Non ha mai pagato la mensa della scuola quanto toccava lui, le uscite didattiche, il basket, il calcio, i vestiti, le scarpe, i giochi. Non si è mai fatto vivo ai colloqui con maestre e professori. Ma nonostante ciò mai una volta mia madre ha parlato male di lui in mia presenza.

Mio padre lo vedevo sì, di tanto in tanto. A volte ci rimanevo male, perché aspettavo con ansia il fine settimana che avrei passato con lui e poi il venerdì sera chiamava per dire che non poteva. Davanti alla mia delusione mia mamma mi spiegava che: «Papà deve lavorare».

Gli voglio bene, e per anni, proprio quando lui non c’era, è stato il mio eroe. La mamma invece c’era sempre, era scontata, e poi era quella che mi obbligava a studiare, a farei compiti. Quella che mi vietava l’uso della play quando ne combinavo una e che mi ha costretto a trovarmi un lavoretto l’estate che mi hanno bocciato.

Qualche volta mia mamma mi ha chiesto scusa, che ha sbagliato anche lei. Me lo ha detto chiaro e tondo, anni dopo, che fare tutto da sola non è semplice, e che non si è divertita a fare la parte del gendarme, ma è stato necessario fare anche quello. Io le ho risposto che non importa, che ho sbagliato anche io. Che abbiamo sbagliato tutti, ma che siamo qui, stiamo bene e guardandoci indietro le cose non ci sono andate male per niente. Che siamo una squadra.

Oggi sono abbastanza grande per capire tutto, ma proprio tutto quello che lei, mia madre, ha fatto per me, lei sola.

Per capire quanto è difficile cambiare vita, ma quanto è necessario farlo quando stai male e sei infelice.

Che stare insieme solo “per il bene dei figli” è una grande stupidaggine.

Che le apparenze non contano nulla, che una vera famiglia può essere composta solo da due persone.

Grazie mamma, te lo dico oggi, sempre.