Dici presidente e nell’immaginario collettivo si delinea la sua figura, il suo sguardo arguto, quella pipa che metteva giù quando sorrideva, quando parlava agli italiani, al suo popolo. Perché Sandro Pertini non è stato solo il Presidente più amato della Repubblica in Italia, ma è stato il Presidente, quello che resta e resterà nei cuori e nella mente di tutti.
Era un un uomo onesto, rigoroso e generoso, tutto d’un pezzo. Era l’uomo degno del suo popolo perché in quello credeva. Perché “Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo” diceva, e così aveva fatto per tutta la sua vita.
Lui, il partigiano che aveva combattuto per la libertà, che era stato in carcere e aveva subìto le percosse del regime fascista. Sempre lui, il Presidente della Repubblica italiana dal 1978 al 1985, “L’uomo che era fatto della stoffa di cui sono fatti gli eroi”, come lo aveva definito Giuseppe Saragat, quello che lottò per tutta la vita senza mai tradire gli ideali in cui credeva. Ecco chi era Sandro Pertini.
25 settembre 1896: nasceva Sandro Pertini
Era il 25 settembre del 1896 quando a Stella nasceva Alessandro Giuseppe Antonio Pertini. I suoi genitori lo avevano già ribattezzato Sandro senza immaginare che un giorno quel nome avrebbe cambiato la storia dell’Italia.
Amava le cose semplici, come leggere libri o passeggiare in bicicletta, ma soprattutto amava trascorrere il suo tempo con Maria Giovanna Adelaide Muzio, sua madre. Una volta cresciuto si diceva orgoglioso di assomigliare a quella donna, si diceva grato di tutti i suoi insegnamenti perché quelli lo avevano reso l’uomo che era.
Aveva un carattere ribelle e sicuramente anticonformista, ma era buono al punto tale da ripudiare le armi. Nonostante questo però sentì di dover rispondere a quella chiamata alle armi della Prima guerra mondiale. Aveva solo diciannove anni, ma le sue idee erano già chiare.
Lottò sul fronte dell’Isonzo senza mai tornare indietro, ricevendo quella medaglia d’argento al valore militare che però le fu negata dai fascisti. Perché lui aveva già un suo credo e parlava la lingua del socialismo.
Nel primo dopoguerra entrò a far parte del Partito Socialista Unitario di Filippo Turati e si oppose, neanche troppo velatamente, al fascismo. Fu allora che fu segnalato come avversario pericoloso per il regime. Costretto a fuggire in Francia per evitare la cattura non smise mai di darsi da fare per chi era rimasto nella sua terra, ma nulla di tutto ciò che fece in quel nuovo Paese poteva fargli dimenticare quello che stava accadendo in Italia.
Così, nel 1929 tornò con un solo obiettivo, quello di riorganizzare il Partito Socialista. Ma al suo ritorno fu catturato e arrestato. Quelli del carcere furono anni duri, gli stessi in cui Pertini da dietro le sbarre stava guardando l’Italia sprofondare nella dittatura. Fu sempre in carcere che conobbe Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano. Non gli importava se i loro ideali politici erano diversi, a unirli era un sentimento di ammirazione reciproca.
Negli anni di prigionia, Sandro Pertini, continuò a far valere i suoi ideali con dignità, opponendosi alla richiesta di grazia che sua madre fece a Mussolini perché per nessun motivo avrebbe tradito la sua fede, il suo credo. E fu quello a dargli la forza di resistere fino a quel 25 aprile del 1945 quando l’Italia fu liberata. Per l’uomo si apriva una nuova fase della sua vita, fatta di sfide da accogliere e affrontare.
Sii sempre, in ogni circostanza e di fronte a tutti, un uomo libero e pur di esserlo sii pronto a pagare qualsiasi prezzo.
Il settimo presidente della Repubblica
Divenne segretario del partito socialista, deputato e membro dell’Assemblea costituente. Fu anche giornalista e direttore dell’Avanti! e non smise mai, neanche per un momento, di raccontare i suoi ideali, di battersi per essi. Era un uomo onesto e corretto, ma così ineluttabile al punto tale da essere considerato troppo rigoroso. Eppure, proprio la sua tenacia e la sua fermezza furono ripagate.
Dopo essere stato presidente della Camera per due legislature, l’8 luglio del 1978 Sandro Pertini divenne il settimo presidente della Repubblica italiana, eletto quasi all’unanimità dei voti. Fu allora che si spogliò della sua tessera del partito socialista dichiarando e promettendo di anteporre gli interessi del popolo italiano al suo credo politico. E così fece.
In quello stesso anno fu eletto anche il nuovo Papa: Giovanni Paolo II. E anche se il Presidente era un ateo dichiarato, con il pontefice instaurò un legame di amicizia, stima e rispetto. Perché questo era Sandro Pertini, l’uomo che rispettava le idee altrui e che le ammirava, anche se lontane anni luce dalle sue.
Come fece con Enrico Berlinguer, con quell’ultimo saluto al segretario generale del Partito Comunista Italiano dopo la sua morte. Perché per lui gli altri politici non erano rivali da combattere, ma uomini con ideali e valori da rispettare.
Sandro Pertini non aveva nulla a che fare con i politici che oggi vanno a caccia di voti e di dimostrazioni, che si sfidano a suon di promesse non mantenute e di attacchi diretti e personali. Lui si muoveva seguendo i suoi ideali e quelli piacevano, perché erano onesti, autentici e unici. Per quello divenne il Presidente di tutti gli italiani. Degli adulti, degli anziani, dei bambini e soprattutto dei giovani, perché in quelli lui credeva: “I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. È con questo animo quindi, giovani che mi rivolgo a voi: ascoltatemi vi prego: non armate la vostra mano. Armate il vostro animo. Non armate la vostra mano, giovani, non ricorrete alla violenza, perché la violenza fa risorgere dal fondo dell’animo dell’uomo gli istinti primordiali, fa prevalere la bestia sull’uomo ed anche quando si usa in istato di legittima difesa essa lascia sempre l’amaro in bocca”.
Non fece sua l’arte del compromesso, ma portò avanti le sue idee con rigore, anche se questo lo portò a scontrarsi più volte con gli uomini al governo. Chiese ai giudici di continuare a fare il loro lavoro per sradicare il marcio dal Paese negli anni in cui morivano il Generale Dalla Chiesa e Aldo Moro, esortò il popolo di Sicilia a combattere la mafia.
Forse ogni tanto sbagliava, del resto lui stesso, consapevole del suo brusco carattere, dichiarava che “Chi cammina talvolta cade. Solo chi sta seduto non cade mai”, ma questo non gli impedì mai di camminare a testa alta.
Bisogna essere degni del popolo italiano. Non è degno del popolo italiano colui che compie atti di disonestà. I corrotti ed i disonesti sono indegni di appartenere al popolo italiano, e devono essere colpiti senza alcuna considerazione.
E lui ne era degno, con la forza del suo carattere, con l’entusiasmo. Credeva nei suoi ideali ma soprattutto credeva nel popolo italiano e lo supportava, mostrandosi uomo, oltre che politico. Calandosi anche nei panni del tifoso per celebrare la sua Italia nella la finale contro la Germania. E questo era lui, il nostro Presidente.
Nel 1985 lascio la carica da presidente al suo successore, Francesco Cossiga e divenne senatore a vita. Morì cinque anni dopo, all’età di 93 anni, lasciando un segno indelebile nella storia del nostro Paese.
Io sono orgoglioso di essere cittadino italiano, ma mi sento anche cittadino del mondo, sicché quando un uomo in un angolo della terra lotta per la sua libertà ed è perseguitato perché vuole restare un uomo libero, io sono al suo fianco con tutta la mia solidarietà di cittadino del mondo.