Era una notte di primavera inoltrata, tradita da un forte temporale, quando a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, un gruppo di ragazzi uccideva due coniugi all’interno della loro casa. Si trattava di Antonio Maso e Mariarosa Tessari che, rientrati da una serata dedicata alla preghiera, sono stati brutalmente massacrati da quattro giovani mascherati con spranghe, bloccasterzo e pentole.
Ad allertare la polizia di quell’efferato omicidio fu Pietro Maso, il figlio, che rientrato dalla discoteca a tarda notte aveva trovato i corpi dei suoi genitori martoriati e senza vita.
In realtà, però, Pietro non si era mai allontanato da casa. Era stato lui, insieme ai suoi amici Damiano Burato, Paolo Cavazza e Giorgio Carbognin a uccidere Antonio e Mariarosa. Lo aveva fatto per soldi, per accedere all’eredità dei genitori.
Il caso Maso
Tutti ricordano il caso Maso, conosciuto anche come delitto di Montecchia di Crosara, lo stesso che ha sconvolto l’Italia intera e che per settimane, mesi e anni ha popolato le pagine di cronaca nera del Paese. Un parricidio brutale, violento e apparentemente inspiegabile consumato ai danni di una coppia di coniugi uccisi tra la notte del 17 e il 18 aprile del 1991.
A uccidere Antonio e Mariarosa era stato proprio lui, il figlio Pietro, aiutato da tre dei suoi più fedeli amici. Il movente, dietro l’atroce delitto, era il più banale di tutti: lo aveva fatto per soldi.
Tra Pietro e i genitori i rapporti si erano incrinati soprattutto nell’ultimo periodo. Papà Antonio e mamma Mariarosa erano preoccupati per il futuro del figlio, per il fatto che aveva da poco lasciato il suo lavoro e trascorreva la maggior parte del suo tempo fuori casa con amici poco raccomandabili.
A far preoccupare ancora di più i genitori poi, ci fu il ritrovamento di alcuni oggetti lasciati in casa da Pietro e che non facevano presagire nulla di buono. Il ragazzo, infatti, aveva premeditato l’omicidio dei suoi genitori posizionando due bombole di gas nella taverna di casa e un cuscino davanti al camino per ostruirlo. A trovare gli oggetti sospetti era stata proprio mamma Maria Rosa. Pietro, però, si giustificherà con lei millantando l’organizzazione di una festa proprio in quell’ambiente della casa. In realtà si trattava del primo tentativo del ragazzo per uccidere i suoi genitori.
Non fu l’unico però. Alcune settimane dopo Pietro aveva chiesto al suo amico Giorgio supporto per uccidere sua madre. Il piano era quello di colpire la donna alla testa con uno schiaccia bistecche, ma al momento dell’azione a Giorgio mancò il coraggio e il piano andò in fumo. Anche il terzo tentativo fallì, ancora una volta l’amico Giorgio non riuscì ad agire.
Più i progetti di sterminare la famiglia fallivano, più Pietro cercava di perfezionare quel piano omicida. E ci riuscì grazie all’aiuto di altre due persone: Damiano Burato e Paolo Cavazza.
La notte tra il 17 e il 18 aprile del 1991, i quattro ragazzi indossarono tute scure e maschere e si recarono in casa Maso per attendere il ritorno dei due coniugi.
Cronaca di un delitto
Alle 23:10 Antonio e Mariarosa rientrarono in casa parcheggiando l’auto nel garage. Tutto era buio però, perché Pietro aveva pensato bene di svitare la lampadina e lasciare così l’ambiente senza luce. Fu così che Antonio salì in casa per raggiungere il contatore, convinto di uno sbalzo di corrente, e fu colpito brutalmente con un tubo di ferro proprio da suo figlio. Qualche minuto dopo arrivò Mariarosa, anche lei colpita in maniera violenta da Paolo e Giorgio con pentole e bloccasterzo.
Nessuno dei due morì all’istante, ma la furia dei quattro ragazzi non si fermò. Così dopo 53 minuti di calci, colpi e tentativi di soffocamento il cuore di quei corpi stremati a terra smisero di battere. L’omicidio era stato compiuto.
Dopo aver occultato le tute utilizzate per il delitto, i quattro amici simularono una rapina, poi Pietro e Giorgio raggiunsero una discoteca nelle vicinanze per crearsi un alibi. Passate le 2 Pietro tornò a casa e, trovandola in disordine, avvisò subito i vicini che si apprestarono a raggiungerlo. Fu così che vennero ritrovati i corpi senza vita dei coniugi Maso.
Le indagini
Giunta sul posto la polizia insegue subito la pista della rapina. Ma non ci vuole poi molto prima che le autorità scoprano che, in realtà, quella scena del delitto è stata manipolata per simulare un furto. I sospetti, così, si dirigono tutti su Pietro. Nessuno vuole immaginare che sia stato il figlio a uccidere i propri genitori, eppure tutto sembra condurre a quello. Le sue stesse sorella sospettano di lui, ancora di più per il grosso prelievo sul conto di famiglia fatto proprio da Pietro qualche giorno prima falsificando la firma di sua madre.
Anche il suo atteggiamento, disinvolto e apparentemente disinteressato, insospettisce la polizia. Negli occhi dei ragazzo non c’è neanche un’ombra della disperazione per aver perso i genitori.
Ascoltato e riascoltato per ore durante numerosi interrogatori Pietro cede, e la sera del 19 aprile confessa l’omicidio. Dopo di lui anche i tre amici coinvolti si assumono le loro responsabilità. I quattro ragazzi vengono così arrestati per duplice omicidio volontario e premeditato.
La sentenza viene emessa il 29 febbraio del 1992 e Pietro Maso viene condannato a 30 anni e 2 mesi di reclusione. Gli amici Cavazza e Carbognin furono condannati a 26 anni ciascuno, mentre Damiano Burato, che all’epoca dei fatti era minorenne, ottenne una condanna di 13 anni.
Pietro Maso oggi
Nel corso degli anni, il delitto di Montecchia di Crosara non è stato mai dimenticato, e come poteva essere altrimenti? Fortissimo è stato il riscontro mediatico, non solo durante le indagini e il processo, ma anche e soprattutto dopo. Uscito dal carcere prima del previsto, il 15 aprile del 2013 Pietro è tornato in libertà. Da quel momento è stato ospite di diverse trasmissioni televisive raccontando il suo percorso di redenzione.
È apparso sulle copertine delle riviste ed è stato protagonista di numerose interviste. Ha scritto anche un libro Pietro, dal titolo Il male ero io, dove non solo racconta gli attimi di atrocità e follia del duplice delitto, ma anche degli anni trascorsi in carcere, della sofferenza e dell’avvicinamento alla fede.
È tornato in televisione come ospite di Cronache Criminali nella puntata andata in onda lunedì 14 novembre, dichiarando che quella sarebbe stata l’ultima intervista sull’omicidio del 1992. “Mi sarebbe piaciuto prendere le mani di mio papà e dire ‘ti voglio bene’, o quelle di mia mamma, però non ci sono mai riuscito. Ed è una cosa per cui oggi soffro.” – ha raccontato Pietro alle telecamere della trasmissione – “E mi manca la possibilità di dire ai miei genitori che ho bisogno di loro. Perché la vita è difficile e avrei bisogno anche io di essere confortato e di dare i miei valori, i miei sentimenti, le mie emozioni ai miei genitori. Umanamente mi mancano, perché vorrei il contatto fisico, però spiritualmente mi sono vicini e questo è già molto per me”.