Egonu, lo sfogo dopo il Bronzo mondiale del volley. Perché le sue lacrime sono anche un po’ nostre

Paola Egonu è una nostra connazionale e grandissimo orgoglio dell'Italia del Volley. Le sue lacrime sono un dolore per tutte noi

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Martina Dessì

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Content editor di tv, musica e spettacolo. Appassionata di televisione da sempre, designer di gioielli a tempo perso: ama i particolari, le storie e tutto quello che brilla.

A chi la definisce come l’attaccante più forte del mondo, Paola Egonu risponde esaltando la bravura delle sue compagne. A chi le chiede se sia italiana, risponde con un gesto di resa. Con le lacrime, con un ritiro annunciato che fa male a tutti. Lei, che gli unici muri che conosce sono quelli sollevati dalle sue mani, elevati dalla sua forza. Gli unici muri che dovremmo poterci permettere di non abbattere. La “pantera nera” fa un passo indietro ed è con questo suo arretrare che si riaprono le lacune culturali che incrinano il terreno della nostra società. Che sì, ha estremo bisogno (ancora) di personalità come la sua.

Lo sfogo di Paola Egonu è una ferita per tutti

A raccogliere le sue parole è stato il procuratore Marco Raguzzoni che, a bordo campo, ha assistito sorpreso a uno sfogo pieno di lacrime: “Basta, basta, basta. Non puoi capire, non puoi capirmi, è stancante. Mi hanno chiesto addirittura perché sono italiana. Questa è la mia ultima partita con la Nazionale”.

Parole inaspettate poiché giungono al termine di una partita soffertissima contro gli Stati Uniti e nella quale Paola Egonu ha dato il massimo, com’è solita fare, appuntandosi al petto una nuova medaglia che – in questa giornata amarissima per lei – rappresenta quasi una sconfitta. Una dichiarazione che pesa perché figlia di un nuovo e insopportabile insulto razzista. Lei, che giganteggia sul campo e nelle vita.

È il suo procuratore a smorzare i toni, a definire quello di Paola solo uno sfogo: “Non lascerà la Nazionale”. Lo dichiara e un po’ ci spera, perché sì, rispondere alla becera ignoranza con una resa non sarebbe accettabile. E no, specificare che la Egonu sia orgogliosa della maglia che indossa non è necessario.

Lo ha fatto in tante, tantissime occasioni sul campo, portando la maglia azzurra con grande entusiasmo. Anche per rappresentare quelli che oggi la definiscono non all’altezza perché non sarebbe italiana. Perché il bellissimo colore della sua pelle, forse, disturba ancora chi non è capace di guardare oltre, oltre tutto. Persino oltre lo sport.

Paola Egonu è italiana, certo. È nata a Cittadella il 18 dicembre 1998 da genitori nigeriani, giunti nel nostro paese per sperare in un futuro migliore. Italiana si è sempre sentita, lei, che qui ha messo le radici della sua più grande passione, entrando a far parte del Club Italia. Di questa passione ha fatto un vanto, una professione, un nastro di trasporto per veicolare i messaggi a cui tiene di più. Il suo gioco non è solo potente ma è fatto di un’intelligenza tattica e difensiva che – unite a una forma fisica spettacolare – sono stati capaci di fare la differenza.

Paola Egonu campionessa libera

È stata lei a insegnarcelo, tante volte, dimostrando che il campo non è solo un disegno rettangolare ma un simbolo. Un riquadro in cui far esplodere i propri sogni, quelli più veri e che oggi fanno ridacchiare i pochi che biascicano senza troppa convinzione uno “Scusa, ma sei italiana?”.

Le sue battaglie sono di certo la medaglia più luminosa che abbia mai indossato. Una corsa continua, ben più faticosa di quello scatto dalla metà campo con il quale si eleva per tre metri. La sua schiacciata è un marchio, un segno indelebile che trasforma ogni partita in un grande monologo azzurro che porta la sua anima al centro.

È una leader positiva, una trascinatrice. Gioca e incoraggia, da sempre allergica a ogni forma di individualismo che possa dare sfogo a una personalità ingombrante e lesiva per la squadra. Si è fatta portatrice delle più importanti istante del nostro tempo, icona dei diritti LGBTQ+.  Una figura di cui abbiamo bisogno ed è per questo che vederla crollare, oggi, è stato un dolore troppo difficile da sopportare.