I miei esami di maturità, un ricordo che non cancellerò mai

La paura delle notti prima, le ore che scorrono veloci, le prove scritte, il colloquio, la sensazione di libertà: tutto risuona ancora in me, vivido e forte

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DiLei

Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

Me li ricordo ancora, i miei esami di maturità. Mi ricordo il profumo dell’estate che avvolgeva ogni giornata mentre io rincorrevo, con lo sguardo, le parole scritte sui libri sperando di immagazzinare al meglio tutta la loro sapienza, tutti i loro segreti. E il mio computer? Era pieno di note, di appunti, di file con riassunti e schemi, così come i miei quaderni.

Io non ero brava in tutte le materie. Avevo le mie preferenze. Non mi piaceva granché la matematica, per esempio. L’ho amata successivamente, quando ne ho capito la vera importanza. Così guardavo quelle formule, chiedendomi cosa sarebbe successo allo scritto: quanta ansia, quanta paura di fallire. E se tutto fosse andato a rotoli proprio per quelle materie che non digerivo? Cosa avrei fatto? Cosa avrei detto?

Quello che ho provato nei giorni precedenti ai miei esami di maturità probabilmente non lo proverò mai più. Non perché mi manchi la mia dose di incertezza quotidiana, ma perché c’è qualcosa di magico nell’incertezza e nei dubbi legati a questa fase di passaggio così decisiva. Le mie compagne di classe, alcune delle quali sono ancora le mie migliori amiche, entravano e uscivano da casa mia con i loro quaderni. Ci stringevamo le mani, ci abbracciavamo, ci incoraggiavamo.

Il giorno della prima prova ho sentito il mio cuore andare veloce, più veloce di quando ho baciato il mio primo amore. Una parte di me sapeva che stava per fare un passo decisivo, che avrebbe chiuso un capitolo immenso, fatto di pesi e spensieratezza, di interrogazioni e lunghe giornate passate con le amiche. Seduta al banco, con la mia classe intorno, mi sono voltata a guardare ognuno dei miei compagni. Lo sentivano anche loro? Sentivano anche loro quanto era importante quel momento? All’uscita, ho abbracciato le mie amiche. Sì, lo sentivano. Lo vedevo nei loro occhi.

La seconda prova è stata quasi più leggera. Non saprei spiegare perché, forse perché a dispetto della materia che dovevo affrontare, mi sembrava di galleggiare nel mezzo. Non era il primo giorno, neanche l’ultimo: era una prova di mezzo. E infatti, una volta terminata, ridevo con le mie amiche. Ridevo tanto, come se avessi fatto una sciocchezza più che affrontare un esame. Il groppo in gola mi si è formato solo quando ho detto loro «ci vediamo domani». Perché?

Perché ho realizzato, subito dopo, pur nella mia leggerezza da adolescente, che era l’ultimo «ci vediamo domani» che dicevo in quel contesto. Non ci sarebbero state più classi dove sedere tutte insieme. I nostri destini si stavano separando, com’è giusto che sia, com’è anche bello che sia. Ma quel groppo mi avvolgeva. E infatti, quando ho terminato la terza prova, il giorno dopo, ho pianto. Abbiamo pianto tutte, un po’ per il sollievo un po’ perché era finita. Era davvero finita.

Rimaneva soltanto l’orale. L’ultima prova da affrontare in solitaria, non dentro una classe canonica, ma con una commissione davanti e i/le supporter vere, quelle che contano, alle spalle. Hanno annunciato la lettera estratta qualche giorno dopo: ero nel mezzo. Questo mi ha concesso tempo per riposare e rilassarmi, ma anche per pensare. Avevo già scelto l’università, avevo un’idea di quello che avrei fatto. Ma cosa avrei fatto davvero? Cosa ne sarebbe stato di me?

La notte prima dell’orale, ho stretto forte al petto un quaderno. Non quello dove avevo appuntato tutto ciò che avrei dovuto dire durante l’esame: un quaderno dove nel corso dei cinque anni avevo raccolto dediche e ricordi. Le ultime erano state scritte proprio l’ultimo giorno di scuola e alcune dicevano: «non ci perderemo mai». Per alcune amiche è stato vero. Altre sono andate via, si sono allontanate. Ma ora so che non importa, che è la vita. Ai tempi, invece, ne avevo paura.

E infine eccolo, l’orale. L’esame più ostico. Io sono timida. Eppure, l’ho affrontato con spavalderia. Incredibile da dire, ma tanta era la foga di esserci arrivata, che ho risposto a (quasi) tutte le domande. Sì, comprese quelle di matematica. Ero felice. Una felicità cristallina, tintinnante, che sapeva di libertà e di opportunità, di nuovi inizi e di bellezza. Terminato il colloquio, non ho più badato a dove fossi: mi sono alzata dalla sedia, saltellando e urlando «è finita, ce l’ho fatta»!

Fuori dall’aula, eccole ancora lì, le mie amiche. Loro avevano già completato gli esami prima di me. E poi, il mio primo amore, con una rosa. Insieme siamo andati al bar e abbiamo bevuto un (trasgressivo!) Bacardi Breeze, immersi in un’euforia che probabilmente non ritroverò mai più. Era iniziata la nostra estate. Il futuro era alle porte. E a dispetto delle malinconie e delle nostalgie, la vita era pronta a schiudersi per noi, a farsi vivere.

E quella è la cosa più bella che porto con me. Per questo non scorderò mai i miei esami di maturità, perché sono stati un trionfo di emozioni pure, quasi ingestibili. Travolgenti, contrastanti. Emozioni che, ancora oggi, fanno di me quello che sono. E che amo cullare nel mio cuore, nonostante siano passati tanti anni.