Ci sono alcune storie d’amore destinate a non essere dimenticate mai, perché sono così belle, intense e straordinarie che ci fanno sognare, oggi esattamente come ieri. E non si tratta solo di favole moderne da raccontare prima delle buonanotte, perché spesso il lieto fine non gli appartiene, o almeno non esiste come lo intendiamo noi.
Perché queste storie fatte d’amore, di complicità e follia, senza cavalli bianchi, principi coraggiosi e principesse da salvare, sono reali e per questo destinate a esistere per l’eternità, anche se sono imperfette.
Quella che vi raccontiamo oggi non è una favola, ma è la storia vera di due persone, due grandi artisti che sono stati complici e amanti, che hanno condiviso la strada, restando sempre uno al fianco dell’altro, mai un passo indietro, né uno avanti, fino a quell’ultimo viaggio che ha sancito la fine, che ha infranto i sogni e le promesse. Quella che vi raccontiamo oggi è la storia del grande amore tra Marina Abramović e Ulay.
Marina Abramović e Ulay
Marina Abramović non ha bisogno di presentazioni perché è l’artista femminile per eccellenza, l’essenza della performance art. Donna dallo sguardo indecifrabile ed enigmatico ha sempre avuto solo una missione nella vita, indagarla intensamente attraverso le più diverse forme d’arte. Come lei, anche Ulay, all’anagrafe Frank Uwe Laysiepen, era un artista, fotografo ed esponente della performance art di origini tedesche.
Erano nati entrambi il 30 novembre 1946, come se il destino avesse già scritto quell’incontro che avrebbe cambiato per sempre le loro vite. Come se la loro unione fosse la più grande testimonianza del Simposio di Platone. Perché a guardarli insieme, Marina Abramović e Ulay, sembravano davvero la metà della mela, fatti l’uno per l’altra. E sembrava davvero avessero atteso tutta la vita per incontrarsi, per ricongiungersi.
Il fatto che fossimo nati lo stesso giorno era più di una coincidenza. Fin dall’inizio, respirammo la stessa aria; i nostri cuori battevano all’unisono. Ciascuno finiva le frasi dell’altro, sapendo esattamente che cosa aveva in mente, anche quando dormiva Quell’uomo era tutto ciò che volevo, e sapevo che lui provava lo stesso per me Ci sono coppie che, quando iniziano a convivere, comprano pentole e padelle. Ulay e io cominciammo a progettare di fare arte insieme
È il 1976 quando i due artisti si incontrano per caso ad Amsterdam nella galleria d’arte Appel. Basta una sguardo e qualche parola fugace per giungere alla medesima conclusione: sono fatti l’uno per l’altra. Non è solo una passione travolgente che li spinge l’uno verso l’altra, ma è anche lo stesso modo di pensare, di agire e di vedere la vita. Marina Abramović e Ulay sentono di appartenersi e insieme si completano. Così cedono all’amore, quello vero. Quello grande, intenso e inspiegabile che non si può raccontare, ma solo vivere.
Non importa che Marina sia già sposata con l’artista concettuale Neša Paripović, i due diventano amanti e non hanno alcuna intenzione di rinunciare a quel legame.
Una mattina ero a letto e sentì aprire la serratura, era Nesa, mio marito, era stato così lontano da me e non mi vedeva da mesi, ignorando l’esistenza di Ulay. Dopo 8 mesi con il mio amore presi coraggio e raccontai la verità. Divorziammo, In un paese comunista era semplice, bastava andare dal notaio e firmare un paio di documenti. Nesa si rese conto che doveva lasciarmi andare per la mia strada e partì.
Nascono così i The Other, al secolo Marina Abramović e Ulay. Due persone distinte che però, insieme, formano una cosa sola. La loro casa è quella della perfomance art, e non vedono l’ora di aprirla al mondo intero. Lo stesso anno dal primo incontro scelgono di indagare l’arte insieme, e lo fanno organizzando una perfomance condivisa in occasione della Biennale di Venezia.
In Relation in space, Marina Abramović e Ulay, si raccontano. Sono completamente nudi in una stanza, sono vicini e si sfiorano. Cosa li lega davvero? Loro lo sanno già, ma è questa la domanda che lasciano allo spettatore.
L’amore oltre ogni confine
Dal 1976, e per tutti i 12 anni successivi, Marina Abramović e Ulay condividono ogni cosa. I sentimenti, le idee, la casa e il regno dell’arte. Lo fanno con tutta una serie di performance condivise che diventano iconiche e restano nella storia come Breathing in/Breathing out, dove entrami si mostrano al pubblico legati in un bacio di venti minuti. Impossibile riconoscere la fine di uno e l’inizio dell’altro. I due artisti condividono tutto, anche il respiro.
Gli anni passano, ma Marina Abramović e Ulay sono sempre insieme. Continuano a portare in scena l’arte e l’amore. Progettano di sposarsi e viaggiano, lo fanno tantissimo insieme. Poi, nel 1988, organizzano quella che è destinata a diventare la più grande perfomance artistica dell’era contemporanea. Ma nessuno dei due può immaginare che sarà anche l’ultima, quella che li dividerà per sempre.
Lovers: l’ultima passeggiata insieme
Il progetto si chiama Lovers: The Great Wall Walk. Marina Abramović e Ulay partono per l’Asia orientale con un solo obiettivo, quello di percorrere a piedi la Grande Muraglia Cinese partendo dai due lati opposti per incontrarsi a metà strada. Lo faranno dopo 90 giorni di cammino, ma per dirsi addio per sempre.
Durante la preparazione della performance, che ha richiesto otto mesi e diversi viaggi in Cina, Ulay perde la testa per la sua interprete e inizia con lei una relazione che porterà alla gravidanza della donna, ma the show must go on. Entrambi continuano a camminare per raggiungere il punto designato, quello dove si incontrano per l’ultima volta.
“Che cosa devo fare adesso?”, chiede lui a Marina, guardandola negli occhi, confessandogli ciò che è successo in quei tre mesi di lontananza. “Non lo so” – risponde lei – “Ma io vado via”.
Lasciata la Cina, le strade dei due si dividono per sempre, o almeno è questo quello che credono. Ulay sceglie di convolare a nozze con l’interprete mentre Marina Abramović si dedica completamente alla sua arte.
L’amore è il presente
A distanza di oltre vent’anni dall’addio dei due artisti succede qualcosa di inimmaginabile. È il 2010 e Marina Abramović presenta al Moma di New York una delle sue perfomance più iconiche: The artist is present. Migliaia di persone provenienti da tutto il mondo raggiungono il museo per sedersi davanti all’artista, per guardarla negli occhi e nient’altro.
All’improvviso, però, quella sedia viene occupata da un uomo con capelli argentati e barba bianca. Si tratta di Ulay, il suo grande amore.
Fu uno shock. In un attimo mi passarono davanti dodici anni della mia vita. Per me non era un visitatore come gli altri. Così solo per quella volta, infransi le regole. Misi le mie mani sulle sue, ci guardammo negli occhi e, prima di rendermi conto di quello che stava accadendo, ci ritrovammo in lacrime.
Si rincontrano ancora, Marina Abramović e Ulay. Lo fanno nel 2019 in occasione del film documentario No Predicted End. Entrambi scelgono di partecipare, di sedersi ancora una volta l’uno di fronte all’altro. Come se fosse forte l’esigenza di cristallizzare quel passato condiviso per l’eternità. E lo fanno, per l’ultima volta, ripercorrendo insieme la storia di un grande amore che per sempre sarà. L’anno dopo, il 2 marzo del 2020, Ulay muore a causa di un linfoma.
“Nel ricordare quegli anni, penso alla totale libertà che abbiamo avuto. Sono stati alcuni degli anni più felici della mia vita”, scriverà Marina Abramović in ricordo del suo grande amore.