Il mito di Medea: madri che uccidono i figli

Accecata dalla rabbia e desiderosa di vendetta nei confronti di Giasone, Medea uccise i suoi bambini. Così la sua storia rivive come una maledizione nelle madri che uccidono i figli

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Alessandra Del Re

Giornalista esperta di Costume&Società

Scrive per necessità e passione. Ama le storie degli altri, famosi e non, leggerle e raccontarle

Medea la maga, la strega, l’eroina che superò ogni limite per salvare il suo amore. Medea l’assassina, la donna che si appropriò di una violenza innaturale, della macchia e del fardello di uccidere i propri figli.

È difficile spiegare la grande complessità che si cela dietro il mito di Medea, più facile e drammatico, invece, è parlare di come questo sembra rivivere nella società contemporanea alla stregua di una maledizione che siamo costretti a subire. E magari si trattasse di un incantesimo dal quale poterci risvegliare.

La sindrome di Medea, così la chiamano gli altri, è reale e innaturale. È quella che distrugge famiglie intere, che fa aumentare quel numero drammatico di figlicidi in Italia e nel mondo. Madri che uccidono i figli, questo è. Impensabile, inconcepibile, drammatico. Eppure questo scenario si presenta tutte le volte che sfogliamo le pagine di cronaca nera, quelle che parlano di delitti atroci, di follie omicide, di morti di creature innocenti, di Medee dei nostri giorni.

Il mito di Medea

E quando avrò rovinato l’intera casa di Giasone, lascerò la terra e fuggirò dall’assassinio dei miei cari figli, e avrò compiuto un atto orribile. Perché non è sopportabile essere deriso dai nemici.
Così deve Che profitto ho nella vita? Non ho terra, né casa, né rifugio dal mio dolore.
– Euripide, Medea

Celebre e controverso, osannato e odiato, compreso e giudicato: questo è il personaggio di Medea, probabilmente uno dei più complessi dell’intera mitologia greca. Donna scaltra, astuzia, forte e coraggiosa, considerata per certi versi anche il simbolo del riscatto e dell’emancipazione. Ma Medea è stata anche la donna che ha ucciso i suoi figli per una vendetta sentimentale.

Figlia di Eeta, re della Colchide, si innamorò perdutamente di Giasone, l’uomo incaricato di recuperare il Vello d’Oro durante la spedizione degli Argonauti. Disposta a tutto per salvare e proteggere quell’amore ostacolato dalla famiglia si macchiò di un crimine terribile uccidendo il suo stesso fratello. Ma la scia di sangue che la donna seminò non era destinata a finire.

Dopo aver coronato il suo sogno d’amore, e messo al mondo due figli con l’amato Giasone, dovette affrontare la sua più grande delusione. Il condottiero della spedizione degli Argonauti si innamorò della figlia del re di Corinto. Fu allora che Medea mise in atto la sua vendetta contro di lui, fu allora che uccise i suoi figli.

Così eccola la maga valorosa e coraggiosa trasformatasi in un’assassina, diventata il simbolo delle madri che uccidono i propri figli, per vendetta o per follia.

La sindrome di Medea

I numeri non sanno mentire e sono proprio quelli che ci catapultano in una realtà della quale non vorremmo fare parte. In vent’anni, infatti, sono stati 480 i bambini morti per mano dei genitori in Italia (Fonte Ansa), la maggior parte dei quali sono compiuti soprattutto dalle mamme.

Ma come è possibile che una madre sia in grado di spezzare la vita del suo stesso bambino? Come è possibile annientare quel legame indissolubile che dovrebbe unire per l’eternità figli e genitori? Il delitto di una creatura innocente è già insopportabile e apparentemente inspiegabile, ma diventa ancora più atroce se a uccidere è chi lo ha messo al mondo, come ha fatto Medea.

E di madri Medea, in Italia, ce ne sono tante. Alcune di queste varcano la soglia di una struttura mantovana, l’unica che ospita il reparto femminile dei diversi Ospedale Psichiatrici Giudiziari Italiani (OPG). A essere rinchiuse qui sono le donne dichiarate totalmente incapaci di intendere e di volere e considerate socialmente pericolose.

Annamaria Franzoni è stata qui, ma solo per poco tempo perché poi dichiarata di essere capace di intendere e di volere. C’è stata anche Daniela Falcone, la mamma che ha accoltellato il suo bambino di 11 anni per vendicarsi del tradimento del marito. Ci sono passate anche Edlira Dobrushi che nel 2014 ha ucciso le sue tre figlie perché tanta era la disperazione della separazione dal marito e Loretta Zen che ha ucciso la sua bambina intrappolandola nella lavatrice.

Nell’OPG di Castiglione delle Stiviere queste madri sono sottoposte a trattamenti farmaceutici e a percorsi psicoterapeutici. Madri che devono scontare una pena molto più grande della reclusione, quella che le costringe a convivere con quello che hanno fatto. Ma nessuno dimentica, non possono farlo.

Non lo fanno le famiglie, anche se questo non è sempre vero e il cado di Cogne lo conferma. Non lo fa sicuramente l’opinione pubblica che volge lo sguardo inquisitorio su quei mostri della società. Lo fanno dopo, però, mai prima, quando forse quell’attenzione sarebbe bastata a salvare la vita di un innocente e la stessa anima di una madre.

Madri Medea

I figlicidi ai quali abbiamo assistito negli anni hanno radici profonde, inspiegabili e incomprensibili. A volte si parla di depressione post-partum, altre volte di vendette nei confronti del marito. E poi ci sono le vere e proprie patologie mentali che si trasformano in follie omicide. Le vittime sono i figli, perché del resto rappresentano il cambiamento più ingombrante nella vita delle persone. I motivi sostanzialmente sono due, mentali e relazionali. Ma ogni storia è a sé e analizzarle, o giudicarle, non è il nostro compito.

Certo è che sconvolgono e non si possono dimenticare, così come non si può dimenticare il caso che lasciò l’Italia attonita, ferma e incredula. Era il 2002 quando, nel piccolo paese di Cogne, veniva trovato il corpo senza vita del piccolo Samuele Lorenzi. Fu la madre stessa a denunciare il cadavere del suo bambino che giaceva nel letto dei genitori. L’arma del delitto non fu mai trovata, ma sua madre Annamaria Franzoni, nonostante la negazione dell’infanticidio, fu considerata colpevole di delitto.

Quello stesso anno, a pochi mesi di distanza, era stata Loretta Zen a sconvolgere l’Italia. La donna aveva ucciso la sua bambina di soli 8 mesi, mettendola in un cestello della lavatrice e attivando il lavaggio. Fu il marito a trovare il cadavere della sua bambina quando ormai era troppo tardi.

Due anni dopo, nel luglio del 2004, Giuseppina Di Bitonto, 33 anni, soffoca i figli di 2 e 4 anni con del nastro adesivo. Il perché lo ha fatto non lo scopriremo mai, quello stesso giorno la donna si è suicidata nello stesso modo.

Nel 2014, invece, il piccolo Loris è stato trovato in un canale non distante dalla scuola che frequentava. Sua madre, Veronica Panarello, aveva fatto ricadere le accuse sul suocero. Era stata lei. Il delitto venne confessato tempo dopo.

Nel 2022 una madre annuncia il tragico rapimento della sua bambina di 5 anni nel catanese mobilitando il paese intero e le forze dell’ordine, si tratta di Martina Patti che denuncia il sequestro della piccola Elena. Sono stati degli uomini incappucciati a prenderla, dichiara. Dopo 24 ore arriva la confessione: è stata lei a uccidere sua figlia.