La madre della piccola Elena non è pazza. È una lucida assassina

I suoi "non ricordo", "era come se non fossi io", sono tutti finalizzati a un unico scopo: quello di venire dichiarata incapace di intendere e di volere

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Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

No, questo non sarà uno dei tanti articoli letti sulla barbara uccisione della piccola Elena, non sarà una ricostruzione morbosa di come la bambina sia stata massacrata, già tanti e oserei dire, perfino troppi, atti a solleticare la morbosità del lettore. Quelle che leggerete di seguito sono delle semplici considerazioni che in questi terribili giorni ho fatto dopo aver letto e ascoltato quello che è stato detto e scritto su questa storia devastante e, in particolar modo, sulla figura materna,  Martina Patti, che è la stessa che dopo aver dato la vita a sua figlia, gliel’ha tolta. Sono stati scomodati paragoni con la letteratura greca, in effetti quello con Medea di tutti gli obbrobri che ho letto è quello più calzante, ma soprattutto, quasi da subito, è stata invocata una parziale, e in alcuni casi totale, infermità mentale.

Perché la donna, che difficilmente riesco ad appellare madre, da subito ha rilasciato dichiarazioni volte a scagionarla dal delitto appena commesso e confessato, i suoi “non ricordo”, “era come se non fossi io”, “era come se qualcuno si fosse impossessato del mio corpo”, sono tutti finalizzati a un unico scopo: quello di venire dichiarata incapace di intendere e di volere. In poche parole lei si dichiara colpevole, ma da subito cerca una via d’uscita dall’atrocità da lei commessa, come a dire “sì è vero l’ho uccisa, ma non sono stata io a guidare la mia mano, ma un raptus, momenti di cui nemmeno ricordo l’itinere. E poi mentre la colpivo lei era girata perché non volevo guardarla (come se il fatto che fosse di spalle potesse in qualche modo restituire una sorta di pietas nei suoi confronti)”.

Allora diciamo la verità, diciamo le cose come stanno e chiamiamole con il loro nome, la mamma della piccola Elena, Martina Patti, non è stata colta da raptus, non ha un vizio parziale di mente, è un’assassina lucida e calcolatrice, perché a parti inverse, se a compiere il delitto fosse stato il padre, così lo avremmo indicato, e i titoli dei giornali sarebbero stati ben diversi, così come le analisi dell’omicidio, e sapete perché? Perché in Italia è difficile, se non quasi impossibile, dire qualcosa di brutto sulla figura materna, indicata da sempre come l’angelo del focolare, quella che nutre, cresce e protegge i propri figli, anche a discapito della propria vita, perché si fa fatica ad associare l’aggettivo assassina a quello di madre, perché è contro natura, perché una madre dà la vita, non la toglie.

E invece no. Non è così. Esistono le madri di merda, così come i padri, esistono donne che non sono nate per accudire i propri figli, esistono donne che non sono in grado di fare le madri. Certo non tutte hanno un epilogo così mostruoso, e aggiungo per fortuna, ma questa è la realtà dei fatti. E allora dovremmo avere il coraggio di farlo, di scriverlo e di gridarlo, un assassino è tale senza alcuna distinzione di genere, essere donna e madre non ti esime dall’essere un omicida, così come allo stesso modo essere uomo, in casi di separazione, non ti esime dall’essere un buon padre. Conosco uomini nati per fare i padri, e donne che avrebbero fatto meglio a non diventare madri, perché ogni storia è un caso a sé, perché ogni persona porta il suo vissuto, ed è il suo vissuto, poi se vogliamo parlare di statistica e casistica, è evidente che gli omicidi compiuti dai maschi siano in misura nettamente superiore, non a caso la letteratura criminale è piena di serial killer uomini, mentre quelli al femminile si contano sul palmo di una mano.

La madre e la nonna di Elena, la bambina di cinque anni rapita ieri, lasciano la questura di Mascalucia
Fonte: ANSA
La madre e la nonna di Elena, la bambina di cinque anni rapita ieri, lasciano la questura di Mascalucia

Ma in questo caso no, non ci sono scappatoie, non ci sono chiavi di lettura diverse da quello che raccontano i fatti, e i fatti raccontano, anche attraverso le immagini, di una donna che lucidamente va a prendere la sua bambina un’ora prima all’asilo, e quei frame di quello scricciolo che corre incontro alla morte con il sorriso, abbracciando la madre, diventano il più grande atto d’accusa nei confronti della donna, la premeditazione. No, la signora Martina non è stata colta da raptus, ha pianificato l’uccisione della figlia, inscenando un finto rapimento, per poter incolpare il marito, che in passato era stato incarcerato e poi prosciolto dalle accuse. Per quale motivo? La gelosia folle nei confronti della nuova compagna, rea, ai suoi occhi, di aver distrutto la sua famiglia, di “averle portato via” il marito, il padre della sua bambina. Ed è lì che matura nel tempo la sua vendetta. Se non possiamo più essere genitori insieme, tu non sarai più padre, e la tua nuova compagna non potrà mai essere la matrigna di nostra figlia. Meglio morta che felice in un nuovo nucleo familiare da cui sono stata esclusa. Di cui non faccio più parte.

Io me la immagino Martina che porta a casa la piccola Elena, e mentre le dà la merenda, pensa a dove sia meglio ucciderla, dove sia più facile occultare il cadavere, dove sia più facile nascondere le tracce di sangue, perché certo l’arma del delitto l’aveva già individuata e sapeva perfettamente che il sangue avrebbe imbrattato muri e pavimenti, e sarebbe stato difficile a quel punto far credere al rapimento. Ed è stata talmente lucida da inventarsi una storiella, andare a vedere un posto dove la mamma giocava da bambina e dove la piccola non era mai andata e che era curiosa di vedere. E non ce ne sarebbe stato bisogno, perché quello scricciolo l’avrebbe seguita in capo al mondo, perché lei era la sua mamma, e le mamme non fanno del male, le mamme proteggono. Le mamme non uccidono. E invece no. Perché in quel campo dove la bambina voleva tanto andare è stato il teatro della sua morte, undici coltellate, il piccolo corpicino infilato nei sacchi grandi della spazzatura, portati da casa, come si fa con i rifiuti impegnativi, e poi seppellito in modo sommario, perché c’era da tornare a casa ad inscenare la seconda parte del piano, quella del commando armato che le avrebbe strappato dalle mani sua figlia, che l’avrebbe consacrata a martire agli occhi dell’opinione pubblica. Ma la storiella è durata poco, 24 ore per trasformarsi da vittima degli eventi, a carnefice. Perché questi sono i fatti.

Martina non è una vittima del sistema, non è incapace di intendere e di volere, non ha subito abusi, non è stata maltrattata. Martina ha ucciso coscientemente e scientemente sua figlia per vendetta nei confronti del suo ex marito, reo di aver smesso di amarla. Martina non ha avuto un raptus. Martina è semplicemente una lucida assassina, pur essendo donna, pur essendo madre.