C’era una volta il mostro di Firenze

Otto duplici omicidi e tanta violenza, il mostro di Firenze ha lasciato dietro di sé una scia di orrori e paura

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Redazione

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Sono storie spaventose, spesso incomprensibili che spingono a fare sempre la stessa domanda: perché? Perché una persona arriva a uccidere in modo seriale vittime spesso sconosciute macchiandosi di crimini indicibili?

Questa domanda spesso ce la siamo posta davanti agli omicidi commessi dal mostro di Firenze, il primo assassino seriale accertato in Italia che dalla fine degli anni ’60 e per 17 anni ha lasciato una scia di sangue dietro di sé e una serie di vittime (8 duplici omicidi) la cui unica colpa era quella di stare nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Ancora oggi sono molti gli aspetti oscuri della vicenda avvolti in una nuvola di confusione che per anni ha visto come protagonista assoluto Pietro Pacciani e i suoi compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Tutti sono stati processati e condannati, ma col tempo si è pensato che fossero dei semplici mandanti e che gli omicidi fossero di natura esoterica.
I depistaggi, le persone coinvolte e le ipotesi nel corso degli anni sono state molteplici, l’inchiesta è tuttora aperta, quindi facciamo un passo indietro e cominciamo dall’inizio.

Il modus operandi del mostro di Firenze

Otto giovani coppie appartate ritrovate senza vita in auto e la stessa arma da fuoco (una Winchester marcata con la lettera “H” sul fondello del bossolo), utilizzata da un certo momento in poi: troppe coincidenze per far pensare a omicidi isolati e far giungere gli inquirenti alla teoria del serial killer. Ma c’è di più, i luoghi del delitto sono tutti poco frequentati quindi si è pensato che l’assassino fosse una persona del posto che conosceva bene queste zone.

Ma quando ha iniziato ad agire il mostro? Il primo delitto risale al 1968, anche se per anni si è pensato a un altro autore. Le vittime Antonio Lo Bianco e Barbara Locci sono state sorprese mentre erano in auto e il fatto che la Locci fosse sposata ha fatto subito immaginare che il colpevole fosse suo marito, Stefano Mele. L’uomo è rimasto in carcere per alcuni anni dopo aver fornito diverse versioni prima di essere completamente scagionato. Soltanto nel 1983 si è intuito che Mele era innocente perché i bossoli ritrovati sul posto erano gli stessi dei successivi delitti del mostro di Firenze.

Dopo questo omicidio ce ne sono stati altri, uno nel 1974 e due nel 1981 con lo stesso modus operandi. I fidanzati appartati in auto in una strada secondaria venivano colti di sorpresa dall’assassino che prima li uccideva o feriva con la pistola e poi trasportava il corpo della ragazza fuori dalla macchina per darle il colpo finale con il coltello e mutilarla al pube e al seno. Un’altra cosa in comune degli omicidi è la sensazione avuta da tutte le vittime di sentirsi pedinate nei giorni precedenti all’omicidio. Solo in quello dell’82 la mutilazione sulla ragazza non è stata eseguita perché il fidanzato aveva provato a scappare e l’assassino non aveva avuto il tempo di eseguire il suo “rituale”.

Uno dei delitti del mostro di Firenze
Fonte: IPA
Una delle scene del delitto

Minuzioso, attento e preciso: il serial killer agiva sempre nello stesso modo, come testimoniano gli omicidi dell’84 e dell’85. Si sente sicuro di sé tanto da spedire dopo l’ultimo delitto una busta anonima al pm incaricato delle indagini, Silvia Della Monica contenente il brandello del seno della vittima, Nadine Mauriot.

Nessun omicidio, però, è perfetto e anche il mostro ha commesso degli errori: nell’83 ha ucciso due turisti tedeschi maschi, si pensa per sbaglio perché uno dei due aveva i capelli lunghi e probabilmente era stato scambiato per una donna, tanto che nessuno dei corpi è stato mutilato.

Il coinvolgimento di Pacciani

La metodicità e la sicurezza con cui si muoveva nella provincia di Firenze hanno portato la procura di Firenze e Perugia riunita alla SAM (Squadra Anti-Mostro) a seguire piste che spesso non hanno portato a nulla. I sospetti e gli arresti sono stati diversi, ma tutti poi risultavano estranei ai fatti, fino a quando le loro indagini li hanno indirizzati verso un certo Pietro Pacciani. L’uomo era un agricoltore descritto in una lettera anonima inviata in procura come una persona irascibile tanto da essere soprannominato “il vampa”.

Pacciani era noto alle forze dell’ordine perché quando aveva 26 anni, preso da un raptus di follia aveva ucciso l’amante dell’allora fidanzata dopo aver sorpreso la coppia in atteggiamenti intimi mentre lei gli mostrava il seno. Per quell’omicidio e per aver costretto la stessa fidanzata ad avere un rapporto sessuale accanto al cadavere, Pacciani ha scontato 13 anni di carcere. Il carattere burbero e brutale lo ha portato nuovamente dietro le sbarre con l’accusa di violenza sessuale ai danni delle figlie.

Crimini e un carattere che rispondeva alle caratteristiche del serial killer, tutto questo non poteva non suscitare l’attenzione della procura. Le prove indiziarie a suo carico sono state determinanti per l’arresto nel 1993, tanto che l’anno dopo è stato processato per gli otto duplici omicidi, ma condannato successivamente solo per sette (è stato prosciolto per quello del 1968). A questa condanna ha fatto seguito l’assoluzione in appello, ma in seguito si è capito che le grosse somme di denaro sul suo conto, non potevano essere compatibili con il lavoro da agricoltore tanto da richiedere la revisione del processo nel 1996. Pacciani, però, è morto due anni dopo in circostanze misteriose rendendo impossibile un nuovo processo.

I compagni di merende

Le indagini sul mostro di Firenze e i successivi processi sono stati ricchi di colpi di scena, in primis quelli dei cosiddetti compagni di merende. È questa l’espressione utilizzata da Mario Vanni, conoscente di Pacciani e uno dei personaggi coinvolti nei delitti.

Gli inquirenti si sono resi conto che gli omicidi non potevano essere stati compiuti da una sola persona. In particolare era impossibile che le asportazioni fossero state eseguite da non professionisti. Si è ipotizzato che il gruppo composto dallo stesso Vanni, Giancarlo Lotti, Fernando Pucci e Giovanni Faggi agisse per conto di un facoltoso mandante, probabilmente un medico, viste le ingenti somme sul conto di Pacciani, per realizzare rituali esoterici. Dei compagni di merende gli unici condannati sono stati Vanni e Lotti, accusati di quattro degli otto omicidi, mentre Faggi è stato assolto e Pucci è risultato un testimone chiave.

Attualmente secondo la legge sono questi i colpevoli degli omicidi che hanno sconvolto la zona di Firenze negli anni ’80, nonostante non sia stata messa ancora la parola fine alle indagini.