L’ascensore sociale, in Italia, non funziona. E chi nasce povero resta così

Se nasci povero, nel nostro Paese, resti povero. Non è un luogo comune: l’Italia è ultima tra i Paesi G7 secondo l'indice di mobilità sociale

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Volere è potere, dicono. Così come ci suggeriscono di non arrenderci mai, di appropriarci di quello splendido concetto di resilienza che invita a perseguire gli obiettivi, senza arrendersi mai e a qualunque costo. Ci dicono anche di non smettere di sognare, ma soprattutto di lottare affinché i desideri possano trasformarsi in realtà. Perché se lo vogliamo per davvero possiamo diventare e essere tutto ciò che abbiamo sempre desiderato.

Pensieri, questi, estremamente positivi che vengono trasmessi dagli esperti e dai guru del benessere, fatti propri dalle persone che li hanno trasformati in un mantra da ripetere fino allo sfinimento. E in fondo, va bene anche così. Se è vero che l’ottimismo è il profumo della vita, è altrettanto vero che un atteggiamento propositivo può cambiare le cose. Ma è davvero così?
Volendo essere più pessimisti, o semplicemente più realisti, ci rendiamo conto che il controllo della nostra vita, in realtà, non ci appartiene. Possiamo modificare il nostro atteggiamento, certo, così come le prospettive e il modo in cui approcciamo ai problemi quando li incontriamo. Ma la verità è che in Italia quel cambiamento è quasi impossibile, perché il nostro ascensore sociale è rotto e se nasci povero, con tutta probabilità, resterai tale. Certo esistono dei casi rari, quelli che riaccendono la speranza, ma si tratta pur sempre di eccezioni. La regola, invece, è tutt’altro che confortante.

Chiariamoci: l’Italia è piena di potenzialità, gente in gamba, aziende che lavorano benissimo. Il problema è che c’è molta intelligenza individuale ma manca intelligenza di sistema. Vuol dire che le competenze ci sono, ma non c’è la capacità di coordinarle. Non esiste più una struttura in grado di favorire lo sviluppo. E con esso, la crescita. Il Paese si è seduto ed è aumentato, a livello morale e materiale, il degrado. (Piero Angela, intervista a Linkiesta, novembre 2014)

Cos’è l’ascensore sociale

Prima di vedere insieme quali sono le reali possibilità di crescita del singolo che offre il nostro Paese, una premessa su cos’è e come funziona l’ascensore sociale è doverosa. Questo termine, che si è diffuso soprattutto tra gli anni ’60 e ’70, fa riferimento alla possibilità concreta e reale che hanno le persone di scalare il proprio stato sociale. È, sostanzialmente, il “Processo che consente e agevola il cambiamento di stato sociale e l’integrazione tra i diversi strati che formano la società” (Vocabolario – Treccani).

Come abbiamo anticipato, il concetto si è sviluppato e diffuso nel secolo scorso, proprio in riferimento ai progressi delle nuove generazioni che grazie all’accesso all’istruzione, per esempio, hanno potuto raggiungere uno stato sociale più elevato rispetto a quello di provenienza. Affinché l’ascensore si muova verso piani più alti, e quindi consenta di raggiungere stili e qualità di vita maggiore, occorrono diverse condizioni. Alcune, come l’accesso all’istruzione, il luogo di nascita e lo stato di partenza, consentono ovviamente una salita molto veloce. A queste, ovviamente, si aggiungono la capacità personale di riuscire ad accedere alle opportunità e fattori esterni come la crescita economica dello Stato dove si risiede.

Ma che succede quando l’ascensore sociale si rompe? Non è difficile immaginarlo: quei piani non sono più scalabili e le persone raramente riusciranno a cambiare la loro vita o la condizione sociale di nascita. È questo è quello che accade oggi in Italia dove chi nasce povero, purtroppo, resta tale.

La situazione in Italia

Nel nostro Paese il cambiamento del singolo è un’eccezione. Non bastano i buoni propositi, né tanto meno l’impegno e neanche la bravura. La meritocrazia, del resto lo sappiamo, è un sogno ormai lontano. E non lo dicono solo le esperienze di chi conferma la regola, ma anche i dati statistici che rivelano che non solo l’ascensore sociale non funziona più da tempo, ma che la frattura tra le classi sociali diventa sempre più ampia, al punto tale che sembra sempre più difficile risanarla.

Secondo la ricerca “Istruzione, reddito e ricchezza: la persistenza tra generazioni in Italia” condotta qualche anno fa dai ricercatori del dipartimento di Economia e Statistica della Banca d’Italia è emerso che le generazioni passate non si sono più evolute, mentre i giovani di oggi rischiano di restare per sempre nella stessa situazione in cui sono nati. La qualità della vita, così come la ricchezza e l’istruzione, vengono tramandate principalmente da padre in figlio senza subire modifiche, e quindi precludendo alle nuove generazioni la possibilità di muoversi verso i piani più alti.

“Il successo economico di un individuo può infatti essere ostacolato (o favorito) dall’esistenza di fattori che sfuggono al controllo delle persone come per esempio il sesso, il luogo di nascita, l’etnia, l’istruzione e le condizioni economiche della famiglia di origine” – si legge sullo studio di Banca d’Italia – “Occorre dunque interrogarsi sulle cause che danno origine alla disuguaglianza di opportunità e riflettere sulle politiche più appropriate per favorire la realizzazione dei singoli e una crescita più inclusiva”.

Perché questo accade è facilmente intuibile. Per chi nasce e cresce in un contesto abbiente è più facile avere accesso a nuove e diverse possibilità, in ambito lavorativo per esempio, grazie alle conoscenze e alle raccomandazioni. Più difficile è, invece, trovare spazio quando si proviene dal ceto medio basso e sbaragliare la concorrenza solo ed esclusivamente con le proprie capacità e il talento.

Ma il talento, lo sappiamo, non è solo una dote innata. Ha bisogno di essere costruito e nutrito anche grazie e soprattutto all’istruzione e all’educazione. E qui troviamo il secondo fattore, e forse il più importante, che blocca il movimento dell’ascensore sociale. È chiaro che chi parte da una condizione favorevole ha accesso a studi migliori e a scuole facoltose, ha la possibilità di svolgere più attività formative come, per esempio, periodi di studio all’estero. Possibilità, queste, che naturalmente le famiglie più povere non possono offrire ai loro figli.

Secondo il rapporto pubblicato dall’Unicef nel gennaio del 2023, i bambini che vivono ai limiti della soglia di povertà non solo hanno meno probabilità di accedere agli studi, ma abbandonano le scuole prima. Ed è chiaro che senza istruzione è davvero difficile ambire a condizioni di vita migliori.

Altri dati, che confermano la situazione italiana, arrivano dall’OCSE. Secondo il rapporto, infatti, per le persone che nascono povere ci vogliono almeno 5 generazioni per cambiare le cose e per arrivare a percepire un reddito medio. Questo vuol dire che l’ascensore sociale impiegherebbe 180 anni per raggiungere un piano discreto. Dallo stesso rapporto è emerso che il 31% dei figli di chi percepisce un reddito basso resterà nella stessa situazione economica in cui si trovano i genitori e che solo il 6% dei ragazzi che provengono da una famiglia poco istruita riuscirà a conseguire il diploma di scuola superiore. È evidente, secondo i dati analizzati fino a questo momento, che è necessario un intervento da parte delle istituzioni affinché istruzione e formazione siano accessibili a tutti, indipendentemente dal ceto proveniente.

Un altro dato, che conferma il blocco totale dell’ascensore sociale, proviene dal Global social mobility report del World Economic Forum. La ricerca ha svelato che l’Italia è il Paese europeo con l’indice di mobilità sociale più basso del continente sottolineando quello che già sappiamo: l’accesso alle possibilità è proporzionalmente legato alla situazione economica e si tramanda da genitori in figli senza possibilità di crescita. È davvero questo il futuro del nostro Paese?