Una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano stabilisce che è “illegittimo che il laureato in Medicina e Chirurgia sprovvisto della specializzazione in Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica possa definirsi o consentire di essere definito chirurgo estetico semplicemente per il fatto di praticare la chirurgia estetica”.
Il Dr. Paolo Santanchè, uno dei più importanti chirurghi plastici estetici italiani di fama internazionale, che da anni si batte per difendere la sua professione e per tutelare la salute dei pazienti, ha commentato la sentenza, ribadendo che solo se si riuscirà a far rispettare la legge, le cose cambieranno.
Cosa ne pensa della recente sentenza della Corte d’Appello di Milano che definisce i requisiti per essere considerati chirurghi estetici?
In realtà, non cambia nulla. La sentenza ribadisce un principio già esistente: solo chi ha una specializzazione può definirsi specialista. Come un ginecologo deve essere specialista in ginecologia, un chirurgo plastico deve esserlo in chirurgia plastica. Non è un’opinione: è un dato di legge e di logica professionale. Il problema è che per anni questo principio è stato ignorato.
Perché è accaduto questo?
Bisogna tornare indietro di qualche decennio. Negli anni ’80, con l’esplosione della chirurgia estetica, la domanda superò di gran lunga l’offerta. I chirurghi plastici erano pochi e la specializzazione non si improvvisa. Così nacque la figura del cosiddetto “chirurgo estetico”, priva di qualifica specialistica. Un’etichetta che suonava bene, ma che non aveva alcun fondamento accademico. Personalmente, più di vent’anni fa, scrissi un libro intitolato Come difendersi dal chirurgo estetico, proprio per denunciare questa ondata di improvvisati.
Da allora non è cambiato nulla?
Qualcosa si è mosso. Una decina di anni fa le scuole di specializzazione si sono finalmente uniformate: oggi la specializzazione è in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica. Questo dovrebbe bastare a chiarire che solo chi ha questo titolo può definirsi chirurgo plastico o estetico. Ma resta il problema dell’applicazione. Le leggi esistono, ma nessuno le fa rispettare.
Quindi la sentenza rafforza un concetto già stabilito?
Esattamente. Ma serve che venga fatta rispettare. Dopo la legge Bersani, che ha legalizzato la pubblicità medica, è diventato tutto più caotico. Oggi molte pubblicità sono ingannevoli, piene di falsi specialisti.
In tutto questo, chi ci rimette davvero?
Il paziente, sempre. Si affida a pubblicità studiate per sedurre, non per informare. Il medico ha un dovere morale: deve comportarsi come un buon padre di famiglia, non come un venditore. E invece si vende tutto: interventi, trattamenti, “pacchetti benessere”. Siamo arrivati al paradosso che a chi non vuole sottoporsi a un intervento, si propone qualcosa di alternativo “tanto per vendere”.

In alcuni casi, i danni sono stati anche fatali. Cosa ci può dire delle morti avvenute durante interventi estetici?
Il caso di Maria Teresa Avallone è emblematico. Operata in una struttura non autorizzata, da un medico generico. Una struttura dove mancavano gli strumenti minimi per garantire la sicurezza del paziente. Quando ha avuto un arresto cardiaco, non c’erano né anestesista né rianimazione. È morta dopo tre giorni. L’intervento che le fu praticato era addirittura vietato in quel tipo di struttura. Il medico ha avuto solo una condanna lieve. È ancora in attività. Capisce? Questa non è negligenza, è un sistema che consente l’impunità.
Perché non c’è un controllo serio da parte delle istituzioni?
Perché manca la volontà. Viviamo in un paese dove nemmeno le regole basilari – come il codice della strada – vengono rispettate. Le leggi ci sono, ma non vengono applicate. I delinquenti sono protetti, mentre chi lavora seriamente viene lasciato solo. È lo specchio di una società allo sbando.
Come possono difendersi i pazienti?
Verificando i titoli, controllando sull’albo dei medici, leggendo con attenzione. Non basta vedere i like sui social. Serve responsabilità. Non si può affidare la propria salute a chi mente fin dall’inizio.
È ottimista per il futuro?
Solo se si riuscirà a far rispettare la legge e a tutelare davvero il paziente. E se la gente imparerà a non cadere nelle trappole pubblicitarie. Ma finché il sistema resta così com’è, sarà sempre un Far West.