Giulio Scarpati: “Racconto l’uomo Verdi dietro il mito. Un medico in famiglia? Sono grato”

Giulio Scarpati ci racconta del docufilm "Le stanze di Verdi". In tv? Lo rivedremo a inizio 2026 in "Cuori 3", ma "Un medico in famiglia" è indimenticabile

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

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Giuseppe Verdi dietro il mito, questo è ciò che Giulio Scarpati ci rivela nel docufilm Le stanze di Verdi, diretto da Riccardo Marchesini, a cura di Pupi Avati, al cinema dal 6 ottobre.

Giulio Scarpati ci conduce ne Le stanze di Verdi attraverso i luoghi in cui ha vissuto il Maestro per ripercorrere la sua vita, rivelando i tratti più personali e poco conosciuti dell’uomo Verdi. Ma non solo.

Scarpati ci ha raccontato di Lele Martini, il protagonista di Un medico in famiglia che gli ha dato la notorietà, permettendogli poi di interpretare tanti altri personaggi in tv come in teatro. E a proposito di fiction, presto lo rivedremo in due serie, Estranei e Cuori 3.

Le stanze di Verdi descrive in modo diverso il grande Maestro: in che senso è un racconto inedito?
Ripercorrendo i luoghi di Giuseppe Verdi, tra Piacenza, Parma e Milano, vengono descritti aspetti poco conosciuti della sua vita e della sua persona. È un viaggio reale e un po’ onirico, che fa capire il suo animo, i dolori e come tutto questo sia entrato nella musica. Ciò che emerge è l’uomo dietro il mito. Le anteprime a Piacenza e Cremona hanno commosso il pubblico proprio perché rivelano lati poco noti. Poi dal 6 ottobre il film è distribuito in tutta Italia.

Giulio Scarpati Le stanze di Verdi
Ufficio stampa - Le stanze di Verdi
Giulio Scarpati nel ristorante Lanterna Rossa, “Le stanze di Verdi”

Tu hai un ruolo molto particolare in questo docufilm, ce ne parli?
Nel film io sono a Piacenza per teatro, dall’albergo vedo una gigantografia di Verdi e chiedo al portiere se sia la casa natale. Da lì vengo messo in contatto con Marco Corradi, avvocato ed esperto, che mi accompagna in un itinerario tra Piacenza, Parma e Milano. Io stesso, da curioso, divento intervistatore dei testimoni che incontriamo. E così scopro il Verdi agronomo, allevatore, benefattore; ma nei miei incontri scopro anche la sua famiglia vera, com’era la madre, come vivevano all’epoca, come lui viveva la l’idea di fare il musicista. Ho accumulato così tante storie che ho capito che c’è ancora tantissimo da scoprire su Verdi. Io pensavo di conoscere molto di lui e invece mi sono dovuto ricredere. È stato molto bello realizzare questo lavoro, credo che si tratti davvero di un bel documentario, perché fa capire molto anche dell’animo di Verdi, di quello che ha passato, delle esperienze anche dolorose che rivelano come lui è arrivato a diventare il musicista che è che è diventato.

Giulio Scarpati Le stanze di Verdi
Ufficio stampa - Le stanze di Verdi
Una scena de “Le stanze di Verdi”

Tu che cosa hai scoperto di nuovo di Verdi, al di là del mito?
Pensavo provenisse da una famiglia poverissima. Invece il padre gestiva una stazione di posta poi divenuta osteria e la madre, Luigia Uttini, fu una benefattrice, costruì un asilo. Anche questo entra nella sua musica: c’è la terra, il lavoro, la comunità. Un sacerdote mi ha detto: “I segreti del Pentagono sono più facili da capire dell’animo di Verdi”. Quella frase mi ha acceso: c’era molto più da scavare di quanto immaginassi.

Giulio Scarpati Le stanze di Verdi
Ufficio stampa - Le stanze di Verdi
Giulio Scarpati nella chiesa di San Bartolomeo a Busseto

Che cosa ti ha colpito di più di questo Verdi poco conosciuto?
La concretezza. Quando fa beneficenza, fa eccellenza: l’ospedale per chi lavorava nei campi non è “di serie B”, e la Casa di riposo per musicisti è pensata come un teatro vivo, che rimette in circolo competenze e dignità. Ho parlato con una mezzosoprano che lì “è rinata”: insegnava di nuovo, si sentiva in scena. E poi scelte controcorrente: il Requiem per Manzoni lo volle in chiesa, come liturgia, e con le voci femminili – non banale all’epoca. È il ritratto di un uomo moderno, che regimenta le acque, guida il trattore, innova senza proclami.

Le stanze di Verdi
Ufficio stampa - Le stanze di Verdi
Giulio Scarpati visita la casa di riposo per i musicisti fondata da Giuseppe Verdi a Milano

Come hai accennato, la vita di Verdi è attraversata da diverse sofferenze…
Sì, come il rifiuto rifiuto del Conservatorio di Milano, dove fu definito “inetto alla musica”, un giudizio che oggi suona paradossale. Seguire i passaggi dolorosi della vita di Verdi, che hanno forgiato la sua tenacia, dice molto ai ragazzi di oggi, mostra come si passa dall’umiliazione al capolavoro. E poi ci sono gli aneddoti diventati memoria collettiva. Tutti sanno che Verdi ormai morente alloggiava  all’Hotel de la Ville a Milano, in via Manzoni. La strada fu ricoperta di paglia per attutire i rumori al passaggio delle carrozze in modo che il riposo del Maestro non venisse disturbato. Ma questi racconti valgono solo se li riagganci alla persona, non al santino.

Verdi è anche il simbolo dell’unità d’Italia
Le arie di Verdi erano cantate per strada dal popolo, erano come le canzoni di oggi, per certi versi. E sicuramente questo ha contribuito a unificare il Paese, perché da Nord a Sud, le persone cantavano la stessa cosa, al di là delle differenze regionali.

Prima di questo film, conoscevi già bene la musica di Verdi?
Ho iniziato pianoforte a cinque anni: la musica classica la conosco, ma all’opera sono arrivato da ragazzo. All’inizio ero più “mozartiano”, sai le Nozze di Figaro, Don Giovanni, poi sono arrivati Verdi, Puccini, Donizetti, Bellini… In realtà ascolto di tutto: pop, cantautori, jazz, classica. La musica unifica, appunto come le arie di Verdi che nel Risorgimento si cantavano dappertutto.

Perché è importante “ricordare” figure come Verdi? Spesso ti sei trovato a interpretare o raccontare grandi figure, come Pascoli o Rosario Livatino nel Giudice ragazzino.
Quando interpreti qualcuno realmente esistito senti una responsabilità doppia: con Il giudice ragazzino i genitori di Rosario erano vivi, capisci il peso. Con Verdi non “interpreto” lui, ma metto in moto un ricordo che arricchisce la sua immagine: cadono le semplificazioni.

Per il grande pubblico televisivo tu resterai sempre Lele Martini, che ricordi hai di Un medico in famiglia?
Ci siamo divertiti molto, ma faticavamo tanto. Quando fai una serie con tante puntate, ti capita di girare 9 o 10 scene al giorno, magari di puntate diverse. Una bella fatica a ricordarsi tutte le battute. Ma il clima era davvero carino, si entrava in un set in cui ci si divertiva molto, ma lavoravamo sodo e seriamente. Stavamo tanto tempo insieme, per la prima stagione, che era doppia, abbiamo girato 14 mesi. Il legame che si è creato era davvero molto forte. Alcuni colleghi, come Lunetta Savino, li conoscevo già, con gli altri siamo diventati amici sul set. Con i bambini [ormai adulti ndr] ci sentiamo ancora ogni tanto. Un medico in famiglia è stata una bellissima esperienza e mi ha dato tantissimo, anche in termini di popolarità. E questo mi ha portato altro lavoro, altri film, tanto teatro. La possibilità di scegliere, perché quando sei giovane, agli inizi, devi accettare quello che trovi.

Ti rivedremo presto in tv in due fiction, giusto?
Sì, con Estranei dove interpreto un capitano. E credo all’inizio del 2026 con la terza stagione di Cuori dove interpreto un sensitivo. Devo dire che mi sono divertito tanto a farlo.

Allora come in Un medico in famiglia torni in ospedale?
Sì [ride ndr], ma questa volta da paziente. Anche se sono un paziente poco paziente, perché voglio fare le cose a modo mio. È stato davvero molto divertente. E poi in Cuori 3 ho ritrovato Riccardo Donna, regista anche di Un medico in famiglia. E quindi mi sono ritrovato con lui molto bene. Ma con lui faccio sempre cose particolari, come Fuoriclasse.

Oltre alle fiction, a quali progetti stai lavorando?
Quest’estate ho portato in scena Pascoli. Si tratta di un reading, un monologo in cui interpreto il poeta negli ultimi anni che parla al cane e in pratica ripercorre tutti i passaggi fondamentali della sua vita. Il prossimo 7 novembre porto questo bellissimo spettacolo a Barga.