Storie di femminicidi e dei bravi ragazzi che uccidono

Giulia Cecchettin è stata uccisa dal suo ex fidanzato, da un ragazzo d'oro. Anche gli assassini di Michelle e di Rosaria erano dei bravi ragazzi. E ricordarli così non aiuterà a cancellare l'orrore

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

“Alcuni persone si descrivono misteriose e oscure, ma io non sono così. Sono solo un bravo ragazzo”, le parole di Stefano Brizzi, pronunciate davanti alla giuria popolare nell’aula del tribunale di Londra nel 2016, risuonano oggi di fronte all’ennesimo fatto di cronaca aberrante come una sorta di maledizione. Quella dei bravi ragazzi.

La storia di Stefano, ex assistente sociale e informatico condannato all’ergastolo dal tribunale di Londra per aver ucciso e sciolto nell’acido il corpo di un poliziotto, è solo una delle tante che ha sconvolto l’Italia e il mondo intero. Trame insanguinate che si intrecciano tra di loro anche a distanza di tempo e di chilometri, e che rivelano quello che sembra un leitmotiv dell’orrore. Perché a uccidere, spesso, sono proprio i bravi ragazzi.

E questo è vero soprattutto nei casi di femminicidio dove gli assassini sono amici, fidanzati, mariti o conoscenti delle vittime. Dove i carnefici, quando non sono immediatamente individuati dalle autorità, sono i sospettati insospettabili. Perché provengono da buone famiglie, perché sono sempre stati gentili e rispettosi, perché mai hanno dato segno di squilibrio e di preoccupazione. E perché basta chiedere in giro e a chi li conosce, per avere conferma che sono davvero dei ragazzi d’oro.

I bravi ragazzi che uccidono

Giulia Cecchettin è l’ennesima vittima di femminicidio in Italia. La giovane ragazza di appena 22 anni stava per raggiungere un traguardo importantissimo, quello della sua laurea. Ma è sparita all’improvviso, insieme al suo ex fidanzato Filippo Turetta, insieme a quel coetaneo con il quale aveva condiviso gli anni più belli della sua vita. Ma quella che in un primo momento poteva sembrare un’innocua fuga d’amore, si è trasformata presto in un incubo dal finale drammatico.

Perché Giulia è stata uccisa da Filippo, dal suo ex fidanzato. Da quel bravo ragazzo che nessuno, prima delle evidenze, aveva messo in dubbio. Perché lo conoscevano tutti, perché gli volevano bene, perché mai fino a quel momento aveva mostrato un comportamento aggressivo o violento. “Filippo era il ragazzo perfetto” e questo ci dimostra che la perfezione cela delle ombre spaventose e feroci che nessuno dovrebbe guardare in faccia mai.

Non era perfetto, invece, il 17enne che ha ucciso Michelle Maria Causo. Ma era un bravo ragazzo, come confermava il fatto che la sua amica, perché è così che si considerava la diciassettenne romana, frequentava la sua casa. Il suo omicidio, avvenuto nel mese di giugno del 2023 a Roma, resta ancora senza un movente. Tantissime invece le ipotesi e poche le certezze: diverse coltellate, un cadavere avvolto in una busta di plastica e lasciato in un carrello della spesa vicino a un cassonetto, e un colpevole: il suo amico.

“Ce l’hanno ammazzata senza motivo” – ha dichiarato il papà di Michelle alle telecamere di Ore14 su Rai2 – “Non stavano insieme, lui era un amico. Io non l’ho conosciuto, mia moglie sì. Gli altri dicono che era un bravo ragazzo“.

Erano bravi ragazzi anche Giovanni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, che provenivano dal quartiere Parioli, dalla Roma Bene. Il primo era uno studente di architettura, il secondo frequentava medicina e il terzo era il figlio di un noto imprenditore romano. Eppure quei tre giovani apparentemente perfetti sono stati in grado, da soli, di portare l’inferno in terra, di farlo ai danni di due ragazze. Le hanno picchiate, le hanno violentate e seviziate per ore. Poi stanchi e annoiati da quel gioco perverso hanno deciso di ucciderle. Rosaria Lopez è morta per asfissia da annegamento. Donatella Colasanti non è stata risparmiata, ma fingendosi morta, è riuscita a salvarsi.

Le due giovani ragazze il male lo hanno incontrato e guardato negli occhi in quella villa del Circeo nel 1975. E quello portava il nome dei tre bravi ragazzi dei Parioli.

Era un ragazzo d’oro anche Michele Noto, il 27enne che ha sconvolto la tranquillità di Mussomeli quando ha ucciso una donna di 48 anni e sua figlia. Rosy Mifsud, questo il nome della vittima, era stata la sua compagna, anche se per poco tempo e in maniera ufficiosa. Poi la relazione era terminata e come nelle peggiori storie dell’orrore, Michele aveva scelto già l’epilogo macchiandosi di un duplice omicidio: quello di Rosy e di sua figlia Monica.

Il resto della storia – un’altra delle tante – è la maledizione che si ripete: amava i cani, era sportivo e religioso. Viveva con la famiglia ma lavorava per non gravare su questa e, ancora, non litigava con nessuno né aveva mostrato atteggiamenti violenti. “Una tragedia inaspettata”, così è stato descritto il duplice femminicidio di Mussomeli del 2020. L’ennesimo firmato da un bravo ragazzo.

“Un ragazzo d’oro”

“Un ragazzo d’oro”, “Un amico premuroso”, “Un uomo eccezionale”, così spesso vengono descritti i bravi ragazzi che uccidono le donne, quelli che non destavano sospetti, quelli che alla luce del sole si erano sempre comportati bene e che forse, dentro, stavano combattendo delle battaglie più grandi di loro.

Quelli che, in preda a un raptus, hanno compiuto la tragedia inaspettata. Perché forse è solo così, pensando a un atto improvviso e violento che una persona disturbata compie ai danni di un’altra, che si può spiegare l’inspiegabile.

Ma parlare di raptus, e riconoscere in questo la radice del problema, non aiuterà a farlo scomparire. Non aiuterà, di certo, a riportare le vittime di quei bravi ragazzi in vita. Ma soprattutto non aiuterà a contrastare tutta la violenza che subiscono le donne ogni giorno.

Forse la cultura dell’amore lo farà, anzi sicuramente. Insieme a lei l’educazione, la capacità di gestire i propri sentimenti e quelli degli altri, e il rispetto nei confronti delle relazioni che lo ricordiamo, qualora ce ne fosse bisogno, non hanno nulla a che fare con il possesso, con quell’insensata convinzione che le donne siano oggetto di qualcun altro e che quindi possono essere allontanate, umiliate, abbandonate o peggio uccise quando non vanno più bene, quando vogliono andare via.

Quei ragazzi sono gli stessi che oggi stanno crescendo senza una reale consapevolezza della violenza di genere. Sono quelli afflitti da una sorta di delirio di onnipotenza che gli ha fatto credere che hanno il potere di decidere della vita degli altri. Possono essere i nostri vicini, i conoscenti e persino dei parenti. Possono essere i nostri figli. “Bravi ragazzi” possono diventarlo pure i giovanissimi, quelli che credono che il tradimento possa giustificare una violenza, soprattutto quando è la donna ad averlo commesso.

Perché alla fine è giusto chiamare le cose per quello che sono, anche se fanno male. Come i femminicidi, che solo nel 2023 con un anno che ancora non è concluso, sono saliti a quota 83. E come i raptus che no, non possono giustificare l’orrore commesso dai bravi ragazzi.