Donne, qual è il filo rosso che unisce le proteste da Londra a Sydney

In tutto il mondo le donne stanno alzando la testa e protestando contro femminicidi e abusi: perché la violenza di genere va fermata, ovunque

Foto di DiLei

DiLei

Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

Sarah Everard, rapita e uccisa alle nove di sera a Londra mentre tornava a casa dopo una cena con amici. Brittany Higgins, stuprata da un collega all’interno della Camera dei rappresentanti del Parlamento, a Canberra. Due donne ai capi opposti del mondo. Due storie che hanno scosso l’opinione pubblica e che hanno acceso la miccia, quella dell’indignazione, che sta dilagando in ogni angolo del pianeta.

Perché c’è un filo rosso che unisce le proteste che stanno montando ovunque ed è quello riassumibile con una delle parole che campeggia nei cartelli delle manifestanti: “Enough”, ne abbiamo abbastanza.

Che la violenza di genere sia un problema lo sappiamo. Finora forse pensavamo fosse argomento di dibattito solo in Italia ogni volta che si sente dell’ennesimo fatto di cronaca, giusto il tempo di passare al femminicidio successivo, senza che nel frattempo si faccia un lavoro alla radice del problema. Perché le leggi ci sono, anche se persino su quel fronte si è dovuto faticare per ottenerle, ma non bastano.

Quella che deve cambiare è la cultura maschilista, l’educazione al rispetto, non tanto per le donne in quanto donne, ma per le donne in quanto esseri umani alla pari. Che la violenza di genere sia un problema lo sappiamo, dicevamo. Ma non facciamo abbastanza per contrastarlo. E allora ecco che le donne in ogni parte del mondo rivendicano l’attenzione e il rispetto che meritano.

Nel suo ultimo studio pubblicato sull’argomento, l’OMS ha fatto sapere che una donna su tre è vittima di violenza, fisica o sessuale. “La violenza contro le donne è endemica in ogni paese e cultura- – ha detto il dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS – causa danni a milioni di donne e alle loro famiglie, ed è stata aggravata dalla pandemia COVID-19. Ma a differenza di COVID-19, la violenza contro le donne non può essere fermata con un vaccino. Possiamo combatterlo solo con sforzi radicati e sostenuti da parte di governi, comunità e individui, per modificare gli atteggiamenti dannosi, migliorare l’accesso alle opportunità e ai servizi per donne e ragazze e promuovere relazioni sane e reciprocamente rispettose.”.

In Regno Unito, proprio mentre scoppiava il caso Everard, il Guardian ha pubblicato un sondaggio delle Nazioni Unite da cui emerge che nel Paese il 97% delle donne di età compresa tra i 18 e i 24 anni ha dichiarato di aver subito molestie sessuali, mentre l’80% delle donne di tutte le età ha dichiarato di aver subito molestie sessuali in spazi pubblici. La morte – terribile – di Sarah Everard ha solo confermato a queste donne che le loro paure sono fondate. E ha risvegliato il senso di frustrazione e ingiustizia.

Il 15 marzo in più di 40 città australiane ci sono state manifestazioni e proteste contro le violenze sessuali subite dalle donne e la cultura sessista che molti ritengono che ci sia nel Paese. Le denunce di stupri, misoginia e comportamenti inappropriati nei confronti delle donne in Australia stanno mettendo sotto forte pressione il governo, perché in almeno due casi le accuse sono state rivolte proprio a importanti funzionari e politici: un collaboratore del Partito Liberale, forza politica attualmente al governo, e il procuratore generale dell’Australia.

Ma non solo. A Città del Messico, l’otto marzo le donne hanno scritto sulle barricate della polizia i nomi delle vittime di femminicidio: sono talmente tanti da averle coperte per intero. E questa è solo una delle tante manifestazioni che negli ultimi mesi ha coinvolto i movimenti femministi, che protestano incessantemente contro il governo del presidente López Obrador che continua a minimizzare i problemi sollevati, nonostante i numeri siano spaventosi. Secondo quanto riporta il Post, nel 2020 in Messico sono stati denunciati circa 16mila casi di stupro e registrati 966 femminicidi. Quel che è peggio è che chi denuncia fa fatica a ottenere giustizia e questo certo non fa che scoraggiare chi subisce questi soprusi a farsi avanti per cambiare le cose.

“Enough is enough” si legge sui cartelli, da Londra a Sydney, da Città del Messico a Canberra. Quando è troppo è troppo. E quel troppo è stato già superato da un pezzo.