“Chi sarò se non sarò madre?” L’infertilità raccontata da Lena Dunham

Parole crude e autentiche, una verità che spiazza e che tocca il cuore di molte donne. L'attrice newyorkese ha raccontato il suo bisogno drammatico e ossessivo di diventare mamma

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Pubblicato: 22 Dicembre 2020 11:34

Oltre i luoghi comuni e gli stereotipi, oltre le aspettative delle persone e della società: cosa accade quando un desiderio si trasforma in ossessione? E quanto è possibile distinguere, davvero, quella sottile linea che separa quello che vogliamo davvero e quello che pensiamo sia giusto per noi?

“Chi sarò se non sarò madre?”, con questa frase spiazzante, dura e cruda, ma estremamente autentica Lena Dunham ha affrontato con pathos e verità una delle più drammatiche realtà che coinvolgono le donne del mondo occidentale: l’infertilità. E lo ha fatto partendo proprio dalla sua personale esperienza, rompendo quel labile equilibrio basato sul tacito silenzio e spezzando ogni tabù esistente sull’argomento.

La sceneggiatrice e attrice newyorkese, ha scelto di raccontare al mondo della sua esperienza personale, dedicando un post sul suo profilo Instagram alla maternità mancata e impossibile. E lo ha fatto con una semplicità disarmante, lasciando parlare il cuore e tutte quelle emozioni che riguardano lei, in prima persona, e forse tutte quelle donne che vivono la medesima situazione.

“Ho fallito come madre”

“Ho odiato me stessa per aver fallito come madre”, parole forti e disarmanti che colpiscono come un pugno in pieno stomaco di chi sa, di chi capisce, di chi ha vissuto. Parole che nascondono il dolore e la sofferenza dei sogni infranti, dei desideri e delle aspettative. Un dramma che viene ancora più accentuato dagli stereotipi che riguardano la società moderna, gli stessi che considerano una “non mamma” una donna a metà.

Una convinzione, questa, che seppur retrograda e superata è così intrisa nel tessuto sociale da condizionare inevitabilmente le menti e la vita delle stesse donne. Ma Lena Dunham, che di peli sulla lingua non ne ha mai avuti, ha utilizzato la sua popolarità per trattare anche questo argomento. Negli anni passati, infatti, ha utilizzato strumenti di comunicazione di massa come social network o stampa, per raccontare le sue personali battaglie: prima quella con la bilancia e il suo peso, poi una depressione costellata da numerosi attacchi di panico. E, ancora, il fallimento di quella che forse era la sua più grande guerra.

Lena ha raccontato attraverso un articolo di sua penna pubblicato su Harper’s Bazaar il tentativo fallito di fecondazione in vitro a cui si è sottoposta alcuni anni fa. Un momento, questo, che ha segnato l’inizio della spasmodica ossessione di diventare una mamma biologica a tutti i costi. Con il cuore in frantumi, e le lacrime come uniche compagne delle sue giornate, ha dovuto rinunciare a quel sogno: la vocazione di diventare genitore che lei sentiva sua.

“L’ironia è che sapere di non poter avere un figlio, la mia capacità di accettarlo e andare avanti, potrebbe essere l’unica ragione per cui merito di essere il genitore di qualcuno” – ha scritto Lena – “Penso di avere finalmente qualcosa da insegnare a qualcuno”.

Lena Dunham ha utlizzato il suo personale profilo Instagram per pubblicare un estratto del pezzo che lei stessa ha scritto per Harper’s Bazaar, lo stesso nel quale ha raccontato la sua personale esperienza per rompere ogni tabù e per creare una sorta di connessione con tutte le donne che hanno vissuto, o vivranno la medesima situazione. A ringraziarla, del coraggio di quel racconto, anche la top model Emily Ratajkowski e Paris Hilton.

Chi sarò se non sarò madre?

Un racconto, il suo, che affronta le origini del dramma e quel desiderio di maternità venuto prepotentemente dopo l’asportazione di utero, cervice e ovaio: “Quando ho smesso di essere fertile, è in quel momento che ho desiderato avere un bambino. A 31 anni, dopo vent’anni di dolori cronici dovuti all’endometriosi, ho deciso di farmi asportare l’utero, la cervice e una delle ovaie. Per tutta la vita, prima dell’operazione, diventare mamma non era mai stato tra le mie priorità. L’ossessione della maternità è arrivata subito dopo”.

È in quel momento che inizia un viaggio doloroso, con tutte le conseguenze psicologiche del caso, tra umori altalenanti, speranze e illusioni infrante giorno dopo giorno. Un viaggio che, in qualche modo l’ha portata a perdere se stessa: lei che voleva solo essere una madre, e coronare il sogno di creare una famiglia con l’uomo che amava, aveva dimenticato di essere prima di tutto una donna.

Un percorso, questo, che ha creato un distacco totale con la realtà e persino con se stessa. Poi, la consapevolezza della realtà e quella paura nei confronti del futuro, di affrontare una società che sembra voler additare a tutti i costi chi non è una mamma, come se fosse un’opzione necessaria a restituire un senso di pienezza e di completezza alle protagoniste dell’universo femminile. Ma per Lena a scegliere è stato il destino. Crudele e beffardo.

L’adozione e l’affidamento sono le alternative che Lena oggi sta prendendo in considerazione. Un’occasione per diventare una brava mamma, anche se non biologica. E forse sarà proprio questa scelta che riuscirà ad alleviare la sofferenza, il sacrificio e il dolore di quel travagliato vortice fatto di ossessioni e di dolori in cui Lena è stata risucchiata. Lo stesso in cui, forse, molte altre donne, si sono riviste.

“Quello della fertilità è un argomento complesso, molto facile da ridurre a meccanismi biologici scontati, ruoli di genere, foto e annunci di gravidanza, invidie tra ragazze” – ha scritto Lena su Instagram – “Ma per me e per tante donne aver fallito sia con il tentativo fecondazione in vitro, sia con la biologia, è equivalso a sviluppare un senso di odio verso me stessa, oltre a essere assalita dalla paura dell’ignoto. Chi sarò, se non una madre? Ho scritto questo pezzo pensando a chi, come me, non è riuscita a essere madre e si sente ulteriormente fallita perché la nostra società sembra non poter immaginare un altro ruolo alternativo per noi”.