Una poetessa moderna che attraverso le parole, reali ed essenziali, è riuscita a raccontare l’esistenza nelle sue sfaccettature più intime e quotidiane. Il suo nome è Graziella Romano, detta Lalla, ed è oggi considerata una delle figure più importanti e significative del Novecento letterario Italiano.
Amata da generazioni, è tra le poche donne a vincere il premio Strega con il romanzo Le parole tra noi leggere. I suoi libri sono testi contemplativi che, attraverso la memoria e una prosa poetica, raccontano verità esistenziali che riguardano tutte noi.
Per me scrivere è stato sempre cogliere, dal tessuto fitto e complesso della vita qualche immagine, dal rumore del mondo qualche nota, e circondarle di silenzio.
Lalla Romano nasce a Demonte nel 1906 da una famiglia di origine ebraica. Dopo la maturità classica si trasferisce a Torino per inseguire quello che è il suo primo amore, la pittura, diventando allieva di Lionello Venturi. Negli anni successivi però, inizia a scrivere alcuni racconti fino al suo esordio letterario del 1941 con la raccolta di poesie Fiore.
Era un’insegnante, ma raramente quando si parla della sua vita ci si sofferma su quella esperienza, nonostante lei abbia ricoperto quel ruolo dalla laurea al pensionamento. La stessa Romano, del resto, aveva affermato di come la carriera scolastica fosse stata condizionata dall’epoca storica in cui viveva.
Particolarmente devota alla poesia inizia a occuparsi anche di narrativa quando, durante la guerra, traduce su richiesta di Cesare Pavese e per conto di Einaudi i Trois contes di Flaubert. Da quel momento in poi numerosi sono gli scritti pubblicati dalla casa editrice con la quale aveva collaborato, tra i più celebri Maria, Tetto Murato, La penombra che abbiamo attraversato e Le parole tra noi leggere.
Io avrei voluto che corresse in mezzo ai prati,
ma lui dichiarò che intendeva sedersi sul bordo, sopra una sedia
Ed è stato proprio questo romanzo, premio Strega 1969, a renderla celebre, ma a mettere in discussione il rapporto con il figlio. Per la prima volta, infatti, una donna di quel tempo affrontava la tematica della famiglia, con il suo gravoso carico di responsabilità.
Un dibattito socio-culturale, questo, al quale oggi partecipiamo attivamente in prima persona, ma che a quei tempi ha dimostrato un inedito coraggio, e una sapienza magistrale, nel riuscire a raccontare con lucidità un rapporto conflittuale con il proprio figlio.
Le parole tra noi leggere, il cui titolo è tratto da verso di una poesia di Eugenio Montale, ha lasciato il segno perché per la prima volta la maternità è stata presentata al mondo in modo totalmente diverso da quello stereotipato. Con questo romanzo la Romano, affronta e racconta il problematico rapporto che la lega a suo figlio, dai primi anni d’infanzia fino alla sua piena maturità.
Un legame, il loro, lontano da quelli idilliaci della “famiglia ideale”, contraddistinto, al contrario, da conflitti e incomprensioni che l’autrice racconta attraverso una prosa trasparente e incredibilmente realistica. Una scrittura che rivela il tormentato vissuto di una madre che cerca, senza riuscirci, di comprendere il figlio ma che, lo difende e lo protegge nonostante l’inevitabile rottura dopo la pubblicazione del romanzo.
In uno di quei foglietti lettera a C., che coprivo di caratteri minuti, sottili, quasi indecifrabili, compare la frase “forse sono stata castigata per aver voluto un solo figlio”. Non so se la dimensione biblica si addicesse alle mie difficoltà. Indubbiamente ero sincera: non avevo certo voglia di scherzare, né di atteggiarmi. Ma pare più sensata l’ammissione della mia scarsa vocazione materna.