C’era una volta Marilyn Monroe. Ma non la Marilyn che tutti conosciamo, sensuale e provocante, con i capelli biondo platino a incorniciare un viso iconico e a riscrivere la storia. No, c’era una volta Marilyn raccontata dalla sua sorellastra, in maniera inedita e accorata. Sì, perché Marilyn aveva una sorellastra cui, per altro, era anche affezionata. Il suo nome era Berniece Baker ed è stata proprio lei a restituire il ritratto più dolce dell’attrice e icona mondiale.
Nella prima parte della loro vita, Berniece e Marilyn non ebbero molto in comune. Erano quasi delle estranee, per via della loro infanzia e per il boom della Monroe, che era sempre lontana da casa. Tuttavia, negli ultimi anni di vita di Marilyn, le due presero a vedersi con regolarità e a dimostrarsi reciproca vicinanza. Ed è questa vicinanza che sottolinea l’importanza di Berniece nella vita della Monroe.
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Berniece e Marilyn: stessa madre, infanzia diversa
La storia di Berniece inizia nel 1919, quando il padre, Jasper Baker, incontra la madre, Gladys Pearl. La madre di Berniece (che sarà poi anche la mamma di Marilyn) è assente, non solo con le figlie ma anche con se stessa. La sua salute mentale è precaria e, dopo pochi anni, lei e Jasper divorziano. Preoccupato dalle condizioni della donna, Jasper decide di prendere Berniece e il fratello, Robert, e portarli nel Kentucky.
La decisione di Jasper fu, probabilmente, ciò che rese Berniece meno fragile di Marilyn. Suo padre cercò di regalare a lei e al fratello un’infanzia il più possibile serena, nonostante l’assenza della figura materna pesasse, e non poco. Frattanto Gladys Pearl si risposò ed ebbe una figlia: Norma Jean, ovvero Marilyn.
Né Berniece e né Jasper, né tanto meno Robert (che poi morì di insufficienza renale) avevano idea della sua esistenza. Solo quando Berniece si sposò e rimase incinta della sua prima e unica figlia, Mona, la madre Gladys la informò di avere una sorella. Frastornata, Berniece fece di tutto per avere un rapporto con lei.
La corrispondenza e l’incontro
Ai tempi Marilyn Monroe aveva solo dodici anni e né lei né Berniece potevano immaginare che quella ragazzina sarebbe diventata una stella. Tra le due iniziò uno scambio di lettere, sporadico ma costante, accompagnato anche da cartoline e fotografie. Si trattava per lo più di lettere formali, ma comunque piene di affetto. Per entrambe sapere di avere una sorella era un modo per esorcizzare l’assenza e l’incostanza della madre Gladys.
Ciononostante, Marilyn non incontrò Berniece fino a quando non fu adulta e, nonostante l’entusiasmo iniziale, non ci furono nel breve periodo grandi occasioni di vicinanza. Berniece aveva un marito e una figlia, lavorava in un teatro a Venice come contabile e costumista e non aveva modo di raggiungere spesso la sorella. Marilyn, dal canto suo, stava muovendo i primi passi nel mondo dello spettacolo: la sua vita era sempre più frenetica.
L’avvicinamento e il libro di Berniece
Gli ultimi anni di vita di Marilyn, si sa, furono turbolenti. La dipendenza da alcol e psicofarmaci la rese inaffidabile e mise più volte a repentaglio la sua carriera. La sua fragilità la portò ad avvicinarsi a Berniece, raggiungendola più volte in California. Stando a quanto raccontava la Miracle, Marilyn era «Dolce, di cuore, forse eccessivamente altruista. Aveva una parola buona per tutti, tranne che per sé stessa. Amava le persone, i bambini, gli animali. E si faceva amare, ma forse non quanto avrebbe dovuto».
Berniece e Marilyn rimasero in contatto e la sorellastra più grande riuscì a individuarne le fragilità. Dichiarò, una volta: «Siamo cresciute entrambe sentendoci abbandonate. E sebbene a tutte e due fosse ribadito che eravamo carine e talentuose, avevamo bisogno di più coraggio. Di più forza. Lei in particolare, perché stava sotto gli occhi del mondo».
Alla morte di Marilyn fu Berniece, insieme al secondo marito dell’attrice Joe DiMaggio, e al suo manager, Inez Melson, a organizzare il funerale, scegliendo la bara e il vestito. Poco tempo dopo, insieme alla figlia Mona, scrisse il libro “My Sister Marilyn” [Mia Sorella Marilyn], dolcissimo, pieno d’amore, ma anche duro sui fatti che girano intorno al misterioso decesso dell’attrice. Per Berniece, infatti, Marilyn non aveva motivi per suicidarsi: riteneva quanto accaduto una fatalità conseguente all’assunzione smodata di alcol e barbiturici.
Ancora oggi, in effetti, ci si chiede perché Marilyn si sarebbe uccisa dato che solo il giorno prima aveva sostenuto di essere felice, viste le avventure che la attendevano. Ma la verità è che anche questo fa parte del suo intramontabile fascino e della leggenda che è diventata e sempre sarà.