Tumore al seno, si avvicina la terapia con CAR-T

Tumore al seno, come funziona la terapia con CAR-T: potrebbe davvero diventare rivoluzionaria per le donne

Foto di Federico Mereta

Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Riprogettare le cellule in laboratorio e poi, una volta “trattate”, reimmetterle nello stesso paziente, per farle diventare come soldati inflessibili e specifici contro le unità del tumore. Se per alcune forme di malattie del sangue questo approccio, definito immunoterapia CAR-T, ha già dimostrato il suo valore e viene effettuato in casi molto selezionati, in futuro potrebbe diventare realtà anche per il tumore al seno. Lo fa pensare una ricerca apparsa su Nature Communications, che al momento ha dimostrato le potenzialità dell’approccio negli animali da esperimento.

Modificare i geni per affrontare il nemico

La strategia mostrata nello studio è sicuramente molto specifica e va oltre quelle che sono le attuali prospettive offerte dal trattamento con CAR-T. In pratica, un gruppo di scienziati ha concentrato la propria attenzione su uno specifico gene che, in qualche modo, va ad agire sulla risposta immunitaria dell’organismo nei confronti del tumore.

Questa particolare ricerca dimostra che grazie alla tecnica “taglia e cuci” che si può utilizzare in genetica, valsa recentemente il Premio Nobel a due donne, Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna, si può andare a togliere il gene in questione e quindi anche il trattamento con i linfociti “istruiti” dagli specialisti in base alle necessità può risultare maggiormente efficace.

Ad oggi stiamo vedendo i risultati dell’approccio negli animali che hanno sviluppato tumori legati a cellule umane, ma in futuro si spera di arrivare a ricercare le prove cliniche di questa terapia, che potrebbe davvero diventare rivoluzionaria per le donne che affrontano questa neoplasia. Grazie alle “forbici molecolari” individuate dalle due ricercatrici, infatti, conoscendo la “cartina geografica” dei geni, diventa possibile fare un vero e proprio “taglia e cuci”, ovvero l’editing genetico.

La tecnica permette di cancellare, sostituire e letteralmente riscrivere intere sequenze del codice genetico utilizzando la proteina naturalmente presente in un batterio (chiamata Cas9 endonucleasi), che viene guidata nel punto esatto del Dna da ‘tagliare” grazie ad una molecola di Rna. Nel futuro gli scienziati potranno quindi agire sul tratto di Dna su cui si concentra l’attenzione, arrivando a correggerlo e quindi a modificare completamente l’alterazione alla sua origine, anche nell’essere umano.

CAR-T e TIL, come funzionano

Il trattamento con le CAR-T, in particolare, è una immunoterapia che utilizza particolari globuli bianchi, i linfociti T, ingegnerizzati per attivare il sistema immunitario contro le cellule tumorali, come succede ad esempio per le infezioni.

I linfociti T del paziente vengono prelevati e successivamente geneticamente modificati in laboratorio in modo da renderli capaci di riconoscere le cellule tumorali: così quando vengono restituiti al paziente entrano nel circolo sanguigno e sono in grado di riconoscere le cellule tumorali e di eliminarle attraverso l’attivazione della risposta immunitaria.

La terapia, anche se oggi non è applicabile a tutti i pazienti ed è approvata per alcune forme di tumore del sangue, ha il grande vantaggio di riuscire a trattare anche i soggetti che hanno fallito i trattamenti convenzionali di chemio e radioterapia. Quando si parla di TIL invece le cellule T del paziente (cioè specifici linfociti T che agiscono contro la malattia) possono essere prelevate dal sangue periferico o addirittura dal tumore, per poi essere cresciute in grandi quantità in laboratorio e restituite al paziente dopo averle “rinvigorite”. La sigla sta per “Therapy, Tumor Infiltrating Lymphocyte”. È una situazione diversa dalle CAR-T che invece prevedono l’ingegnerizzazione delle cellule stesse per metterle in condizione di riconoscere il bersaglio da eliminare. In ogni caso, le due strategie fanno sperare per il futuro. L’immunoterapia adottiva è in vista del traguardo anche per tumori degli organi solidi, come appunto quello del seno.