Sindrome di Down: come si riconosce e quali sono le cause

Con l’esperta, vediamo quali sono le cause della sindrome di Down, come e quando è possibile vederla in gravidanza

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Antonella Lobraico

Editor specializzata in Salute & Benessere

Specializzata nella comunicazione online, ha collaborato con testate giornalistiche, uffici stampa, redazioni tv, case editrici e agenzie web in progetti su Salute e Benessere.

La sindrome di Down, anche definita trisomia 21 per la presenza di una copia in più di questo cromosoma, è caratterizzata da tratti comuni sia a livello fisico che intellettivo, in coloro che ne sono portatori. Si tratta di una sindrome genetica che nel nostro Paese riguarda circa 500 bambini ogni anno. Può essere individuata nel corso della gravidanza attraverso test specifici (invasivi e non invasivi), ciascuno con un tasso di affidabilità differente.

Come si riconosce la sindrome di Down e quali sono le cause scatenanti? Abbiamo approfondito l’argomento con la Dottoressa Maria Grazia Terreni, Specializzata in Endocrinologia e Ginecologia e Ostetricia, Prenatal Tutor, Counsellor professionista, Personal Coach, Parent Coach.

Cause

«Un essere umano nasce con la sindrome di Down quando ha un cromosoma in più rispetto al resto della popolazione, ovvero il cromosoma numero 21. Per spiegare meglio questo concetto uso una metafora: immaginiamo che la mamma, dentro il suo ovulo, inserisca come regalo per la sua creatura un pacchetto prezioso, con all’interno 23 libri (numerati dall’1 al 23). Cosa ci sarà scritto? L’intera storia dei suoi genitori, ma anche quella dei nonni, dei bisnonni e di tutti gli avi, dal colore degli occhi ai sogni generazionali. Immagiamo poi, che anche il papà faccia lo stesso regalo. Quando l’uovo e lo spermatozoo si uniscono per creare una nuova vita, la creatura che arriverà troverà in regalo 46 libri con le istruzioni per costruire ed esprimere sé stessa. Uscendo dalla metafora, i libri “dati in regalo” dai genitori sono in realtà i cromosomi», spiega la dottoressa.

«Se la mamma (90% dei casi) o il papà (4% dei casi), per errore, mettono due libri numero 21 nel pacchetto, le istruzioni per la creatura che arriverà, saranno sbagliate; di conseguenza, avrà tutte le caratteristiche fisiche e intellettive che noi riassumiamo con il termine sindrome di Down. Nel 6% dei casi questo libro viene inserito dopo il concepimento. La possibilità che questo errore si verifichi aumenta con l’avanzare dell’età della mamma, in particolare dai 35 anni in poi», continua l’esperta.

La trisomia 21 è il tipo più frequente di sindrome di Down; tuttavia ci sono altre due forme:

  • la traslocazione, che si verifica quando una parte del cromosoma 21 in più è collegato ad un altro cromosoma. In questo caso il numero dei cromosomi è 46, ma la parte in più del cromosoma 21 causa gli elementi caratteristici della sindrome di Down;
  • il mosaicismo, che si verifica a seguito del concepimento, per cui sono solo alcune cellule ad avere 47 cromosomi.

Come riconoscerla

«Non servono molte descrizioni per riconoscere la sindrome di Down: tutti abbiamo infatti in mente l’immagine di un bambino con la faccia tonda, gli occhi a chicco di riso, un sorriso sempre aperto da regalare a tutti, un naso piccolo piccolo. Ciò che invece non possiamo vedere sono le possibili criticità a carico degli organi interni, come alterazioni cardiache molto frequenti o le difficoltà intellettive. D’altronde, i quadri clinici sono molto diversi fra loro e sono anche l’espressione dell’interazione tra l’ambiente e questi cromosomi alterati. Inoltre, ci sono casi in cui non tutte le cellule possono avere i libri sbagliati, cioè 47 cromosomi, e questi vengono chiamati mosaicismi».

Altri tratti fisici e non, comuni ai portatori di sindrome di Down sono:

  • parte posteriore della testa appiattita;
  • mani grandi;
  • dita corte;
  • lunghezza e peso al momento della nascita più basso rispetto a quello consueto;
  • ritardi a livello espressivo e psicomotorio.

Pur presentando alcuni tratti in comune, ogni soggetto è diverso dall’altro e in alcuni casi possono verificarsi disturbi dello spettro autistico.

Quanto vive in media una persona con la Sindrome di Down?

«Oggi si stima intorno ai 60 anni. Tuttavia, dal momento che nessun essere vivente è un modello matematico e che la durata di una vita è determinata anche dallo stile di vita e dall’interazione con l’ambiente esterno, possiamo dire che un’esistenza può essere molto più lunga o molto più corta», specifica la dottoressa Terreni.

Ad oggi ci sono numerose associazioni e gruppi di sostegno che supportano chi è affetto da sindrome di Down e le loro famiglie. Come abbiamo visto, l’iter di apprendimento di un soggetto può essere diverso e richiedere più tempo, per cui tecniche specifiche di sviluppo, giochi che favoriscono lo sviluppo intellettivo, possono essere di grande aiuto. Inoltre, a questa sindrome è associata la comparsa di alcune malattie (come quelle a carico del cuore, della tiroide, della vista, dell’udito), per questo è importante monitorare lo stato di salute con controlli medici costanti.

Come e quando si vede in gravidanza?

«Nel corso della gravidanza si possono svolgere test diagnostici e test di screening utili ad individuare la presenza della sindrome di Down».

Test diagnostici

«Si tratta di test che fanno diagnosi, cioè forniscono una risposta sicura al 100% e sono: la villocentesi e l’amniocentesi. Sfortunatamente, sono anche invasivi, ovvero presentano un rischio di aborto dello 0,5%, ovvero 1 su 200; la villocentesi ha il vantaggio di essere eseguita precocemente alla 10a settimana, mentre la amniocentesi dalla 14a. Entrambi i test vengono eseguiti attraverso una “puntura nella pancia”. Nel primo caso si prelevano dei villi coriali, che li possiamo immaginare come l’inizio della placenta, con l’amniocentesi si preleva il liquido amniotico. Questi test studiano tutti i cromosomi, non solo il cromosoma 21V».

Test di screening

«Sono dei test non invasivi, con un rischio di aborto pari a zero e sono definiti “di screening” poiché valutano una situazione di rischio e non fanno diagnosi. Vengono eseguiti per il riconoscimento della sindrome di Down e sono tre:

  1. la translucenza nucale, o plica nucale, che viene fatta tra l’11a e la 14a settimana. Consiste in una misurazione ecografica di una piccolissima quantità di liquido che potete immaginare dietro il collo del bambino. Ha una sensibilità dell’80% di sospettare la sindrome di Down;
  2. il test Combinato, o bi test, perché combina appunto questo tre cose: l’età della donna, la traslucenza nucale e i valori di tre ormoni prodotti dal bambino che circolano nel sangue della mamma. Si esegue fra la 11a e la 14a settimana. Un programma elabora questi dati e valuta, con una sensibilità del 90%, il rischio di alterazioni del cromosoma 13, 18, 21;
  3. il NIPT (Non Invasive Prenatal Test), ovvero quello che più precocemente permette di sospettare la sindrome di Down in gravidanza. Si basa sul fatto che, dalla 10a settimana in poi, circolano nel sangue della mamma frammenti di DNA libero del suo bambino. Questi frammenti del DNA sono parte dei cromosomi e dal DNA si risale al cromosoma relativo. Il NIPT è un esame di screening con una specificità del 99,9%, nel sospettare il rischio della patologia ricercata. Consiste nel fare un prelievo di sangue alla mamma, preceduto da una ecografia, per essere certi che la creatura abbia effettivamente almeno 10 settimane. È importante non eseguire l’esame prima, perché potrebbe esserci DNA insufficiente per l’esame. Con questo test si può decidere di ricercare solo tre cromosomi, come abbiamo già detto il 13, 18, 21, che sono i più frequentemente compromessi. Oppure, è possibile aggiungere a questi lo studio di cromosomi sessuali X e Y o di tutti e 23 i cromosomi.

Utili, ma non sufficientemente, per sospettare e/o confermare la sindrome di Down possono essere: l’ecografia ostetrica di secondo livello, la Doppler flussimetria, l’ecocardiogramma fetale, la risonanza magnetica fetale, in casi selezionati», conclude l’esperta.

La sindrome di Down non può essere curata, ma ad oggi ci sono strumenti e informazioni che forniscono a chi ne è portatore e alle loro famiglie, un supporto costante.