Olfatto. Abbiamo imparato a prestare più attenzione a questo senso, davvero fondamentale, soprattutto nel periodo del Covid. Uno dei segni più classici delle prime ondate dell’infezione da virus Sars-CoV-2 era infatti l’anosmia, ovvero la perdita delle capacità olfattive. Ad essa si associava spesso anche l’ageusia, ovvero il deficit delle percezioni nervose del gusto. Limitare però i problemi olfattivi al solo Covid, in ogni caso non è corretto.
Perché un olfatto che “gioca” brutti scherzi non è assolutamente legato solamente a Covid-19 ed alle sue sequele. Per alcune persone una distorsione della percezione olfattiva si può verificare anche in altri casi, ad esempio dopo un forte raffreddore o una sinusite. O ancora può diventare un primo segnale di problematiche neurologiche. Quindi occorre capire bene. A partire dalle definizioni
Indice
Come si classificano i disturbi dell’olfatto
Prima di tutto, cerchiamo di comprendere i termini. E partiamo di iposmia e anosmia. Sono infatti due momenti successivi di uno stesso evento, caratterizzate da riduzione o incapacità di percepire gli odori; possono estrinsecarsi in forma permanente o transitoria, totale o parziale (riguardante cioè alcuni odori), interessare solo una narice.
Diversa è ovviamente l’iperosmia. In questo caso si è ipersensibili agli odori, al punto da non sopportarli. È spesso elettiva, e si manifesta solo per particolari odori. Può conseguire a rinite acuta, infezioni, malattie nervose, turbe neuroendocrine come la gravidanza, la menopausa e l’ipertiroidismo).
Una variazione di questa sensazione è la cacosmia. È la percezione dei cattivi odori. Può nascere da una sensazione reale ed è determinata da lesioni della bocca, del naso, delle vie respiratorie o digestive. In qualche caso è figlia di allucinazioni e illusioni, La seconda è caratterizzata da allucinazioni o illusioni.
Infine, non dimenticate che col tempo le percezioni olfattive possono sfumarsi. Capita in caso di presbiosmia. È la classica alterazione dell’olfatto che si manifesta con con l’avanzare dell’età: oltre ad un certo grado di ostruzione dovuto a modificazioni delle cartilagini del naso e alla conseguente deviazione del flusso aereo si ha anche atrofia della mucosa nasale.
Come riconosciamo gli odori
La capacità di decodificare i segnali degli odori è ovviamente molto sviluppata nelle diverse persone, con alcune che riescono davvero a percepire sfumature che per altri sono insignificanti. Non per nulla che studia da sommelier o magari si trova a dare giudizi su piatti particolarmente prelibati deve prestare particolare attenzione all’olfatto. In teoria, l’essere umano potrebbe decodificare correttamente (le variazioni sono però estremamente ampie) qualche migliaio di odori diversi, con un sistema estremamente elaborato ma riducibile ad alcuni passaggi.
Tutto nasce dall’aria che inspiriamo (senza dimenticare che anche il gusto, in qualche modo, contribuisce a determinare la percezione olfattiva). Con l’aria entrano nelle narici molecole che interagiscono con alcuni milioni di neuroni sensoriali nell’epitelio olfattivo, capaci di legare gli stimoli odorosi. Questo “incontro” invisibile diventa poi un segnale elettrico che come tale viene riconosciuto dal cervello, attraverso ulteriori passaggi, fino al bulbo olfattivo (una specie di “stazione”) e alla corteccia olfattiva primaria. A quel punto, in pochi attimi, l’odore viene riconosciuto e classificato.
Perché esiste un “secondo” olfatto
L’olfatto umano sarebbe in grado di individuare circa 10.000 diversi odori. All’interno di un tessuto specializzato presente nel naso, l’epitelio olfattivo, ci sono milioni di neuroni olfattivi con centinaia di tipi diversi di recettori che legano le molecole odorose, generando un segnale elettrico che viaggia fino al cervello. Sebbene nel corso dell’evoluzione abbiamo perso alcuni recettori e quindi la capacità di percepire alcuni odori, continuiamo a sentire quelli che sono importanti per la nostra vita.
Esiste inoltre un “secondo” olfatto, quello retronasale, specializzato nel cogliere le molecole presenti negli alimenti: gli stimoli in questo caso non passano attraverso le narici quando inspiriamo ma transitano per il nasofaringe, un condotto che dalla parte posteriore della bocca arriva al naso, permettendo agli stimoli odorosi presenti nella bocca di raggiungere i neuroni olfattivi. Quando abbiamo il raffreddore, cibi e bevande perdono gran parte del sapore proprio perché non riusciamo ad espirare attraverso il naso e quindi le molecole odorose non raggiungono i neuroni olfattivi.
Perché l’olfatto può indicare se qualcosa non funziona
L’olfatto è un senso che viene troppo spesso sottovalutato. Soprattutto considerando che potrebbe diventare invece un segnale d’allarme utile, in caso di deficit. Diverse malattie neurologiche degenerative hanno un lungo periodo che precede l’esordio dei sintomi caratteristici della malattia, in cui possono comparire disturbi più generici ed aspecifici, di difficile classificazione, che però possono essere una spia ed un segnale di allarme, che marca l’inizio di una disfunzione del sistema nervoso centrale. Fra questi problemi generici vi è certamente la perdita dell’olfatto, che può essere un sintomo d’esordio della malattia di Parkinson, della malattia di Alzheimer o di altre forme più rare di decadimento cognitivo.
Perché nel Parkinson occorre studiare un calo dell’olfatto
Si può e si deve studiare l’olfatto, attraverso specifici test basati su stimoli odorosi. I disturbi della sfera olfattiva accadono perché le prime aree colpite nella malattia di Parkinson sono proprio le vie olfattive, il bulbo olfattivo e la corteccia piriforme, e solo successivamente la malattia andrà ad interessare il sistema extrapiramidale e la sostanza nera con la comparsa della rigidità e del tremore.
La malattia di Parkinson infatti si caratterizza nel periodo conclamato per la presenza di sintomi motori classici, come tremore, rigidità muscolare e lentezza nei movimenti, ma può essere preceduta da sintomi non motori, anche anni prima dell’esordio della malattia, con disturbi a tipo depressione, ansia, alterazioni del sonno, sonnolenza diurna, disturbi vegetativi, e, appunto, disturbi dell’olfatto. Le cifre, peraltro, segnalano questa associazione.
Quasi il 90 per cento dei pazienti con malattia di Parkinson ha diminuzione o perdita olfattiva, che in molti casi possono precedere di anni l’insorgenza della malattia. Attenzione però: occorre sottolineare che un disturbo dell’olfatto può essere frequente e più spesso è dovuto a cause locali (infiammazione cronica delle vie nasali, problemi locali della mucosa olfattiva) o a traumi cranici. E’ sempre necessario quindi valutare il disturbo nel contesto del quadro clinico più generale.
Cosa succede in chi soffre di parosmia
A far luce su ciò che accade in chi soffre di parosmia è un’originale ricerca apparsa su Communications Medicine, coordinata da esperti dell’Università di Reading. Per vedere cosa accade, gli studiosi sono in pratica andati a “spezzettare” le componenti chimiche che possono dar luogo ad una reazione dell’olfatto, testando poi su persone con parosmia e soggetti sani la reazione. Per lo studio si è utilizzata una tecnica molto specifica che permette di “spezzettare” i vari “ingredienti” olfattivi che compongono un aroma.
In pratica, quindi, si è scoperto che una specifica molecola, scelta tra 15 diversi potenziali “attivatori” della sensazione negativa tra le tantissime contenute all’interno della tazza di caffè, sarebbe la responsabile dei problemi più seri per chi affronta questo quadro. Ovviamente, non si tratta dell’unico “responsabile” della sensazione olfattiva alterata. Appunto, solo nel caffè sarebbero una quindicina le molecole chimiche in grado di dare il via alla percezione di fastidio cui si associa poi l’idea di disgusto che ci rende davvero impossibile accettare un certo cibo. Il fatto è estremamente interessante in chiave futura per capire i meccanismi che stanno alla base di parosmia e al successivo “non posso nemmeno avvicinare questo cibo alle narici”.
Perché un buon olfatto aiuta la memoria
Ricordare gli odori ed i profumi è un modo per riportare alla mente esperienze. Ma attenzione. Non bisogna mai smettere di allenare il nostro olfatto, tentando di percepire ogni singola molecola volatile che stimola l’olfatto, mantenetelo allenato imparando a degustare aromi e profumi, provate ad avere la giusta fragranza nell’abitazione. Perché la notte, con un giusto “mix” di stimoli olfattivi, si potrebbe mantenere più in forma la memoria. Anche nella terza età. A dirlo è una ricerca realizzata dagli esperti dell’Università di Irvine apparso su Journal of Neuroscience.
Stando all’indagine, con stimoli olfattivi studiati a tavolino si può avere un incremento superiore al 200% della capacità cognitiva degli anziani, proprio grazie al filo rosso che lega indissolubilmente odore e memoria. La ricerca ha preso in esame donne e uomini tra i 60 e gli 85 anni senza compromissione della memoria. A tutti è stato dato un diffusore con sette cartucce, ciascuna contenente un unico e diverso olio naturale.
Le persone nel gruppo trattato hanno ricevuto dosi massimali di aromi, mentre gli altri, nella popolazione di controllo, solo dosi minime. Il diffusore di aromi è stato attivato per due ore all’inizio della notte. Chi ha avuto lo stimolo olfattivo ha risposto in modo drammaticamente migliore al test dell’elenco di parole che si usa per misurare la memoria. Non solo. Attraverso gli studi di neuroimmagini si è visto un miglior flusso nel fascicolo uncinato sinistro, area di un percorso che collega il lobo temporale alla corteccia prefrontale, zona che ha il compito di aiutare nelle decisioni.
Questo percorso, col tempo, diventa sempre meno efficiente. come se non bastasse, gli aromi hanno avuto un altro effetto collaterale significativo: nelle stanze più “ricche” di fragranze” si dormiva anche più profondamente. In sintesi, il senso olfattivo ha il privilegio speciale di essere direttamente collegato ai circuiti di memoria del cervello.
L’emicrania che nasce per osmofobia
Tra i meccanismi che contribuiscono a creare l’attacco emicranico ci sono ovviamente gli stimoli ambientali ed il ridotto filtro nei confronti di questi. Si spiega così perché durante l’attacco fattori esterni, quali per esempio luce, suoni, rumori e percezioni tattili possono rivelarsi particolarmente fastidiosi. Tra questi, è emersa anche l’osmofobia, cioè la repulsione per gli odori, che può essere considerata causa di insorgenza e sintomo altamente specifico dell’emicrania – tanto che la sua presenza consente di escludere nel 43 per cento degli emicranici la cefalea di tipo tensivo, un’altra forma di mal di testa più diffusa.
Per quanto riguarda gli odori in causa, il più delle volte in entrambi i sessi sono i profumi dolci femminili, il fumo di sigaro e sigaretta, la benzina, i detersivi, i disinfettanti, i solventi e le vernici. Un elemento determinante nello scatenare l’attacco emicranico non è la sgradevolezza degli odori ma la loro intensità.
Più in dettaglio, una maggior percentuale di donne rispetto agli uomini riporta osmofobia (rispettivamente 45 e 33 per cento). Negli emicranici con osmofobia gli odori di cibo sono in causa nel 55 per cento, i profumi nel 65 per cento, il fumo di sigaretta nel 55 per cento, altri tipi di odori nel 15 per cento. Un ulteriore aspetto da considerare è che il 25 per cento degli emicranici che riferiscono osmofobia identifica un solo particolare odore come scatenante l’attacco. È tuttavia importante precisare che l’emicrania è normalmente caratterizzata da repulsione per i cibi, da differenziare opportunamente dall’osmofobia. In fase intercritica, l’emicranico può presentare una certa intolleranza agli odori e deve quindi evitare il contatto con essi (in particolare ambienti lavorativi fumosi o con esalazioni) che possono avere un ruolo scatenante delle crisi.
L’olfatto ci guida nella passione
Secondo una ricerca recentemente condotta su una popolazione di persone prive di olfatto per una particolare patologia (anosmia congenita isolata) individuare il partner senza l’aiuto del naso è davvero un’impresa: per i maschi è difficile percepire i feromoni che guidano alla scelta della “lei”, mentre per le donne mantenere a lungo un rapporto appare più difficile.
Lo studio, condotto all’Università di Dresda dal gruppo di ricerca di Thomas Hummel e pubblicato su Biological Psychology, è solamente l’ultimo di una lunga serie di ricerche che si stanno concentrando proprio sulla capacità di percepire gli odori e gli aromi. Alcune ricerche, in particolare, arrivano addirittura a ipotizzare un importante ruolo dell’olfatto nei meccanismi che danno origine ai principali disturbi del comportamento alimentare, come l’anoressia e la bulimia. Perché sentire un profumo o gustare completamente un cibo non è solo questione di naso, ma è anche e soprattutto un problema di cervello.
Lo stesso va fatto se accade l’esatto contrario: per alcune persone il problema si chiama iperosmia, ovvero una percezione degli odori abnormemente accresciuta, che proprio non permette di sopportare quasi nulla. Il fastidio è tipico delle donne, soprattutto in gravidanza o in menopausa e di chi ha la tiroide che lavora troppo.
Cinque consigli per migliorare l’olfatto
Attenzione all’alimentazione. Ci sono alimenti che in alcune persone possono dar luogo ad un’eccessiva produzione di muco, e quindi “chiudere” il naso. Tra questi il latte e i formaggi, lo yogurt e il gelato.
Correlare odori e sensazioni. In alcune persone l’odore può aiutare: l’aroma del caffè la mattina fa sentire più in forma e concentrati, mentre la cannella riduce il nervosismo, così come la menta.
Occhio ai nemici. L’olfatto è molto sensibile. Per preservarlo occorre smettere di fumare ed evitare gli alcolici, se si vuol tenere in forma. Attenzione ai vasodilatatori nasali, usati per i sintomi dell’allergia.
Un aiuto dallo zinco. Lo zinco può aiutare a mantenere pulite le vie respiratorie e quindi a migliorare l’olfatto. È contenuto soprattutto nelle lenticchie e nelle ostriche, oltre che nell’olio di girasole.
Igiene personale. È importante lavarsi spesso le mani per evitare di trasportare virus verso le vie respiratorie. Raffreddori, influenze e simili possono infiammarle e limitare le capacità olfattive.
Fonti bibliografiche
- M. P. Fried, Anosmia, maggio 2023, Manuale MSD