Lagoftalmo: cause, sintomi e cura

Il lagoftalmo è una condizione in cui le palpebre non si chiudono completamente, lasciando esposta la superficie dell'occhio, e può causare secchezza e irritazione

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Chiara Sanna

Ottico

Diplomata in Ottica e Optometria, è abilitata ed esercita la professione di Ottico, affiancandola al proseguimento dei suoi studi in Scienze Infermieristiche.

Il lagoftalmo consiste nell’ impossibilità di chiusura delle palpebre.

È dovuta ad una lesione periferica del faciale che determina la paralisi dell’orbicolare (lagoftalmo paralitico) o ad una forma cicatriziale conseguenza di qualche processo distruttivo che ha già un ectropion cicatriziale (lagoftalmo cicatriziale) o ad una qualche forma di esoftalmo, ad esempio conseguente a Morbo di Basedow, in cui la protrusione del bulbo è tale da impedire la chiusura delle palpebre (lagoftalmo da esoftalmo).

Cos’è il lagoftalmo

Il lagoftalmo è una condizione caratterizzata dall’impossibilità di chiudere correttamente la rima della palpebra.

Le palpebre svolgono una funzione protettiva degli occhi, soprattutto durante il sonno. Di giorno il loro movimento favorisce una distribuzione omogenea delle lacrime su tutta la superficie, garantendo l’idratazione degli occhi e la fuoriuscita di eventuali corpi estranei.

Fra le prime conseguenze del lagoftalmo c’è l’occhio secco, una patologia che causa irritazioni e fastidi, esponendo la vista a pericolose infezioni. La chiusura non completa della rima palpebrale infatti lascia la cornea e la congiuntiva esposte all’azione di agenti esterni, favorendo abrasioni corneali, cheratiti e congiuntiviti. Nelle forme più gravi di lagoftalmo, la cornea danneggiata presenta neovascolarizzazioni e si opacizza e può essere predisposta alla formazione di ulcere o a processi infettivi.

Cause del lagoftalmo

Il lagoftalmo solitamente è causato da una paralisi del nervo facciale, deputato a regolare il funzionamento dei muscoli delle palpebre. Questa patologia si può sviluppare anche in concomitanza con altre patologie, come l’ictus. Fra le cause troviamo inoltre traumi fisici, l’esoftalmo, ossia la protrusione del bulbo oculare dall’orbita, e l’ectropion, ovvero la rotazione della palpebra verso l’esterno.

Il lagoftalmo è frequente in pazienti in coma che presentano una diminuzione del tono del muscolo orbicolare e nelle persone che soffrono di disturbi della pelle gravi, fra cui l’ittiosi.

A volte il lagoftalmo è una conseguenza di un intervento chirurgico. Un esempio è la blefaroplastica, procedura di chirurgia estetica che prevede la rimozione dell’eccesso cutaneo a livello della palpebra per ridurre i segni del tempo. L’intervento può avere fra le sue conseguenze un allineamento sbagliato fra la rima inferiore e quella superiore. Più raramente il lagoftalmo colpisce chi soffre di disturbi della tiroide oppure come esito di intervento per l’asportazione di neurinoma acustico, una forma di tumore. Alcuni studi hanno evidenziato che la patologia si presenta con maggiore frequenza in soggetti che utilizzano lenti a contatto, specie se nuove.

Sintomi e diagnosi del lagoftalmo

Il lagoftalmo presenta dei sintomi piuttosto evidenti che vanno dalla secchezza degli occhi alla cheratite, sino all’opacizzazione della cornea e infiammazioni più o meno gravi. Più che una patologia vera e propria, in medicina il lagoftalmo viene considerato come una conseguenza di altre malattie. Fra queste le più comuni sono l’herpes simplex e l’herpes zoster oftalmico, l’ictus e la sindrome di Down.

Il lagoftalmo viene diagnosticato durante una visita oculistica. Solitamente l’oculista esegue un esame con la lampada a fessura, ispezionando il bulbo oculare e chiedendo al paziente di chiudere gli occhi per misurare lo spazio tra una rima palpebrale e l’altra.

Curare il lagoftalmo

Dopo la diagnosi di lagoftalmo è possibile procedere a una cura. Le terapie che si possono seguire sono diverse e variano a seconda della gravità del problema. Nei casi meno gravi basterà applicare delle lacrime artificiali per tenere la cornea sempre idratata.

L’approccio chirurgico più utilizzato prevede l’applicazione di alcune placche posizionate sulla palpebra superiore. La forza di gravità tende a spingere verso il basso la zona, riducendo lo spazio presente fra le rime. Se il lagoftalmo non migliora è possibile procedere all’impianto di placche in oro nella zona interna della palpebra mediante un intervento chirurgico. L’operazione dura circa due ore e viene eseguita in anestesia locale. Presenta però qualche controindicazione, in particolare la possibile insorgenza di astigmatismo corneale.

Per quanto riguarda le possibili cheratiti, siano esse causate da un lagoftalmo paralitico, cicatriziale o da esoftalmo il trattamento consiste nel chiudere l’occhio applicando punti di sutura fra palpebra superiore ed inferiore.

Fonti bibliografiche:

  • Luciano Liuzzi e Franco Bartoli, Manuale di Oftalmologia IV edizione, 2009