Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.
In medicina, ci sono patologie “tempo-dipendenti”. La definizione calza perfettamente per l’ictus cerebrale, che porta alla morte di una porzione più o meno ampia di neuroni. Per salvarne il più possibile ed avere esiti meno pesanti della lesione, è fondamentale arrivare presto. Appena si presentano sintomi come perdita di forza improvvisa ad un arto o difficoltà nella parola, occorre arrivare subito al Pronto Soccorso per una diagnosi e i relativi trattamenti necessari.
Lo ricordano spesso i messaggi di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione Italiana per la Lotta all’Ictus Cerebrale) e l’appello è stato rinnovato, in occasione della Settimana dedicata al cervello, dalla Società Italiana di Neurologia, attraverso le parole di Mauro Silvestrini, Direttore della Clinica Neurologica del Dipartimento di Neuroscienze dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche.
Attenzione ai segnali d’allarme
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“La comparsa improvvisa di perdita di forza o sensibilità a un braccio o a una gamba, la bocca che si storce, l’oscuramento o la perdita di visione da un solo occhio o in una parte del campo visivo, l’incapacità di esprimersi o di comprendere ciò che ci viene detto, sono tutte potenziali manifestazioni di un ictus – spiega l’esperto. Anche un mal di testa violento, mai presentato in precedenza, può rappresentare un sintomo di un ictus, più spesso di tipo emorragico. Quest’ultimo, nella forma di emorragia subaracnoidea, può rappresentare la conseguenza della rottura di un aneurisma congenito, che si verifica spesso in giovane età”.
Come comportarsi? E’ importante chiamare subito il 118 o recarsi in ospedale, perché la possibilità di essere curati è legata alla precocità della somministrazione delle terapie. Il cervello è l’organo più delicato e fragile che possediamo. L’ictus interrompe il flusso di sangue in una parte più o meno estesa del cervello e le cellule cerebrali, private dell’ossigeno e degli altri nutrienti, iniziano a morire ad una rapidità impressionante. “Anche la semplice consultazione del medico di medicina generale in questa fase è non solo inutile, ma anche dannosa perché le cure possono essere somministrate solo in un ospedale attrezzato – segnala Silvestrini. Saper riconoscere i sintomi sospetti, chiamare il 118 e arrivare in ospedale nel più breve tempo possibile, è la sequenza virtuosa che può salvare il nostro cervello”.
Le cure di oggi e di domani
Sul fronte del trattamento, segnalata l’importanza della rapidità dei soccorsi, occorre sempre ricordare che più precoce è l’intervento, più sono efficaci le terapie, minori sono le complicanze del trattamento.
“Per le emorragie, esistono tutta una serie di indicazioni rivolte al contenimento dell’estensione del sanguinamento, mentre sono in fase di sviluppo veri e propri approcci di terapia specifica – ricorda Silvestrini. Per l’ischemia sono invece disponibili già da tempo farmaci fibrinolitici che permettono la dissoluzione del materiale ostruttivo a livello arterioso, favorendo il ripristino rapido della circolazione in modo da limitare i danni al tessuto cerebrale”. In alcuni casi, la terapia farmacologica può essere associata o sostituita dai trattamenti “endovascolari”.
Attraverso un catetere inserito nell’arteria femorale, si risale fino al cervello e nella zona in cui è presente l’ostruzione vengono aperti dei tubicini metallici (stent) in modo da ricostituire un passaggio per il flusso sanguigno – conclude l’esperto. Si tratta di tecniche che richiedono una alta specializzazione e che, per tale motivo, non possono essere effettuate ovunque, ma solo ed esclusivamente negli ospedali dotati di Stroke Unit, ovvero di unità neurovascolari dedicate alla gestione dei pazienti con ictus acuto. Va ulteriormente ribadito che questo tipo di interventi in fase acuta non sono differenziati in relazione all’età del paziente.
Le stesse terapie vanno applicate ai giovani e ai grandi anziani, senza differenze. Esisteva inizialmente una perplessità si possibili rischi di effetti collaterali nei pazienti di età avanzata. Studi recenti hanno ribadito che la fibrinolisi farmacologica e gli interventi endovascolari mantengono la loro efficacia e sicurezza anche nei soggetti che sviluppano un ictus dopo l’età di 85 anni”.