Non solo dolore al torace che si irradia verso la gola e le spalle. A volte l’infarto inganna. E si manifesta in modo diverso da quello atteso. Accade soprattutto nelle donne e negli anziani. Per questo mancato riconoscimento, si rischia di arrivare tardi alle cure e quindi a limitare l’efficacia delle terapie, visto che si tratta di una classica patologia “tempo-dipendente”. Prima si arriva più si limitano i danni dell’ischemia cardiaca.
A ribadire l’importanza di conoscere anche sintomi che a volte non vengono collegati all’infarto è una ricerca presentata al Congresso della società Europea di Cardiologia (ESC) di Amsterdam, che mostra come chi ha avuto il classico dolore toracico ha sospettato quasi sempre l’infarto, mentre solo meno di un terzo dei pazienti coinvolti nella ricerca condotta nella Repubblica di Corea ha sospettato l’infarto per altri sintomi o segni.
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Occhio si segnali meno “precisi”
I sintomi di un attacco cardiaco possono includere dolore al petto, dolore irradiato alle braccia, alla mascella e al collo, vertigini, sudorazione fredda, mancanza di respiro, sensazione di malessere e perdita di coscienza. In queste circostanze appare basilare chiamare immediatamente un’ambulanza e ricevere un trattamento rapido per sopravvivere e riprendersi completamente.
Lo studio ha utilizzato i dati del KRAMI-RCC, un registro di pazienti con infarto miocardico nella Repubblica di Corea. Lo studio ha incluso 11.894 pazienti con infarto miocardico, di cui 10.623 (90,4%) hanno avuto un primo evento e 1.136 (9,6%) hanno avuto un evento ripetuto. Dei 1.136 pazienti con un evento ripetuto, 118 sono stati esclusi a causa di dati mancanti, mancata risposta al sondaggio sui sintomi o presentazione di arresto cardiaco, lasciando 1.018 pazienti per le analisi.
Nel complesso, poco più della metà (52,3%) dei pazienti ha riconosciuto i sintomi dell’infarto miocardico. La maggior parte dei pazienti (92,9%) potrebbe identificare il dolore toracico come sintomo di infarto miocardico, mentre circa un terzo ha riconosciuto mancanza di respiro (32,1%) e sudorazione fredda (31,4%). Poco più di uno su quattro ha riconosciuto un dolore irradiato (27,4%), mentre solo il 7,5% ha riconosciuto vertigini/stordimento/perdita di coscienza e l’1,3% ha riconosciuto mal di pancia.
Attenzione poi: gli uomini sono risultati più propensi a riconoscere i sintomi rispetto alle donne (il 79,3% degli uomini contro il 69,0% delle donne ha identificato i sintomi). Come rilevano gli autori dello studio, alla fine, le donne, i pazienti anziani, quelli con un basso livello di istruzione e le persone che vivono sole possono trarre particolare beneficio dall’imparare i sintomi a cui prestare attenzione.
Perché la donna non deve sottovalutare il rischio infarto
Lo studio aggiunge un ulteriore tassello alle conoscenze, in una situazione generale che vede comunque la donna particolarmente esposta alle malattie cardiovascolari, spesso senza averne la percezione. A rendere gravi queste condizioni nel sesso femminile sono l’età più avanzata nella quale in genere si manifestano, la frequente coesistenza di più fattori di rischio, la sintomatologia meno intensa con la quale si manifesta l’infarto e la tendenza delle donne a sottovalutare e trascurare i sintomi che fanno ritardare la richiesta di aiuto e, quindi l’intervento del cardiologo.
Purtroppo il danno dell’infarto diventa sempre più grave con il passare delle ore e che l’efficacia degli interventi terapeutici è tanto maggiore quanto più precocemente iniziati; l’ideale sarebbe metterli in atto entro la prima ora dall’inizio dei sintomi. Pertanto è importante non sottovalutare alcun fastidio al centro del petto o allo stomaco e chiedere subito l’intervento dei soccorsi. Come se non bastasse, in genere tra le donne dopo un infarto o un ictus si tende ad avere un minor uso di farmaci come gli antiaggreganti e le statine per ridurre il colesterolo, in particolare ad alte dosi.
Qualche tempo fa lo studio studio Aspire 5 ha chiarito che a volte la scelta terapeutica del medico è indirizzata dal genere. Ad esempio si vede che le donne, sul fronte della terapia antipertensiva, tendono ad essere trattate meno con farmaci come gli inibitori dell’angiotensina II e più con calcio-antagonisti. Probabilmente è fondamentale “personalizzare” al massimo i trattamenti in base al fisico femminile, anche per limitare i possibili effetti collaterali (ad esempio i dolori muscolari in chi assume statine per ridurre il colesterolo) dei farmaci che magari sono prescritti ad alti dosaggi”. A questi dati occorre poi aggiungere che spesso nella popolazione femminile le malattie cardiovascolari tendono a restare in secondo piano. La donna, in generale, pensa di più ai tumori, soprattutto della mammella, e meno alle patologie di cuore ed arterie.